Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l’unico immodificabile evento di cui si possa asserire l’incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell’errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutti intesa al male. Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, nell’attesa di perdermi nell’abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta, partecipando della luce inconversevole delle intelligenze angeliche, trattenuto ormai col mio corpo greve e malato in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, ripetendo verbatim quanto vidi e udii, senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l’Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione».
Si apre così il prologo, in maniera enigmatica, del famoso giallo storico Il nome della rosa scritto da Umberto Eco ed edito per la prima volta da Bompiani nel 1980.
È proprio la decifrazione, come specificato nelle prime battute del romanzo, la chiave di lettura dell’intreccio dell’intera vicenda narrata nel libro dal quale poi è stata realizzata la trasposizione cinematografica affidata alla regia di Jean-Jacques Annaud e con la partecipazione di Sean Connery nei panni di Guglielmo. A partire dal 4 marzo 2019, in anteprima mondiale, su Raiuno è andato in onda la prima delle otto puntate della serie tv di Giacomo Battiato e John Turturro che è anche attore protagonista e sceneggiatore.
Un romanzo particolare che nasconde vari livelli di lettura e una serie di riferimenti letterari ma soprattutto simbolici ed esoterici.
La trama
L'opera si colloca a metà strada tra il romanzo storico e il giallo. La vicenda si svolge all'interno di un monastero benedettino non chiaramente specificato dell'Italia Settentrionale. La trama si sviluppa in sette giorni sul finire dell'anno 1327. In apertura si fa riferimento al ritrovamento di un manoscritto, opera di un monaco di nome Adso da Melk che, divenuto ormai anziano, decide di mettere su carta i fatti vissuti da novizio, quando era in compagnia del suo maestro Guglielmo da Baskerville. Nel prologo l'autore racconta di aver letto il manoscritto durante un soggiorno all'estero e a quel punto ha iniziato a tradurlo su un quaderno di appunti.
Il monastero è sede di un importante incontro tra i francescani — sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'imperatore Ludovico — e i delegati della curia papale, insediata a quei tempi ad Avignone. L'abate è timoroso che l'arrivo della delegazione avignonese possa ridimensionare la propria giurisdizione sull'abbazia ed è altresì preoccupato che l'inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui; allora decide di confidare nelle capacità investigative di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio che i monaci attribuiscono all’opera dell'Anticristo. Altre morti violente si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo e quella di Berengario, aiutante bibliotecario alle cui invereconde profferte aveva ceduto il giovane Adelmo. La colpa, intanto, ricade su due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore che parla una strana lingua.
La situazione si complica con l'arrivo dell'inquisitore domenicano Bernardo Gui che dopo aver trovato la fanciulla (che nel frattempo aveva incontrato segretamente Adso) insieme a Salvatore li accusa di essere cultori di riti satanici e responsabili delle misteriose morti. Guglielmo, però, a un certo punto scopre che le morti sono tutte riconducibili a un manoscritto greco custodito gelosamente nella biblioteca (costruita come un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante). Guglielmo e Adso si avvicinano alla verità penetrando nel labirinto della biblioteca e scoprendo il luogo dove è custodito il manoscritto fatale, ossia l'ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele che tratta della commedia e del riso; scoprono così che le pagine del libro sono avvelenate in modo da uccidere chi lo sfoglia. Alla fine, il venerabile Jorge, dopo la morte del bibliotecario Malachia, tenta di uccidere Guglielmo offrendogli il manoscritto avvelenato. I due, però, riescono a scampare all’incendio che nel frattempo divampa nella biblioteca e si mettono in salvo.
Cosa si nasconde dietro il Nome della Rosa
Questa è la trama del romanzo, ma cosa si nasconde tra e oltre le righe delle pagine del romanzo di successo di Umberto Eco? Prima di tutto già l’ambientazione e la stessa vicenda è tanto misteriosa quanto avvincente: un’immersione in pieno Medioevo, un’epoca affascinante e oscura.
Il primo elemento da prendere in considerazione è certamente il titolo dell’opera. Durante lo sviluppo delle vicende non si fa mai riferimento esplicitamente alla rosa né l’autore fornisce elementi chiari che facciano capire cosa o quale sia in realtà il nome della rosa. Questo ci pone subito su un altro livello di lettura, ben più profondo e particolare che apre la strada sul significato mediato, simbolico ed esoterico del romanzo. Lo stesso autore dopo vari tentennamenti sul titolo da dare ha optato su questo più enigmatico e dichiara che tra quelli presi in considerazione “il Nome della Rosa era il più bello”. Chiaramente una risposta di circostanza che nasconde qualcosa. Questo titolo enigmatico potrebbe richiamare in primo luogo l’espressione latina “sub rosa dicta velata est”, una dicitura che ricorda come la rosa nei miti antichi era anche simbolo di silenzio e di riservatezza. La frase latina era utilizzata quando si poneva una rosa sul tavolo e chi aveva ascoltato o detto qualcosa si impegnava a tenerlo segreto. Questo ricorda da vicino la vicenda del libro custodito segretamente nella biblioteca.
In verità la scelta del titolo che potrebbe sembrare distante e distinto dalla trama racchiude il fulcro del messaggio che l’autore vuole far passare attraverso la stesura del libro. Infatti, il titolo richiama, inoltre, il motto nominalista tratto dal “De contemptu mundi” di Bernardo Cluniacense che poi è anche la chiusura del romanzo: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" ossia "La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi". Il senso, come sostenuto dai nominalisti, è in linea con gli studi di semiotica di Eco: ogni cosa non possiede realtà ontologica ma si riduce a un mero nome, a un fatto linguistico.
Non a caso, poi, sempre in apertura si fa riferimento a un passo biblico fondamentale, ossia Giovanni 1,1-2: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Si fa cioè accenno al segno creatore per antonomasia ossia al verbo, alla parola di Dio e quindi alla potenza creatrice dello stesso. Il segno e la parola hanno un potere creativo, ma nonostante questo ogni cosa è soggetto a decadenza.
Così, ad esempio, è anche il caso specifico della biblioteca e dei libri custoditi gelosamente ma distrutti dal fuoco, sebbene tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare segni e come dice lo stesso autore "libri che parlano di altri libri”. Ecco perché quindi il racconto si incentra su un volume maledetto ossia il secondo libro della “Poetica” di Aristotele, un testo inesistente, in quanto questa parte dell’opera è andata perduta.
Proprio tenendo conto di questo concetto diventa poi più chiaro l’intero disegno del romanzo e uno dei suoi messaggi: di tutte le cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo. Questo potrebbe essere anche il senso della vita e dell’esistenza.
Quando nel prologo l’autore scrive “senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l’Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione” fa riferimento proprio ai segni perduti o a quelli lasciati affinché chi capisca possa decifrarli. Questo potrebbero essere collegato ancora all’incipit quando si fa riferimento al passo biblico 1 Corinzi 13,12 ossia “Videmus nunc per speculum et in aenigmate” che tradotto significa “Ora vediamo come attraverso uno specchio, in maniera confusa, distorta”. Infatti nel romanzo lo specchio è l’elemento fondamentale presente proprio nel luogo deputato alla conoscenza, ossia la biblioteca e serve inoltre come elemento distintivo per uscire dal labirinto, ossia “riflettere” su se stesso per arrivare all’esterno anche di se stessi.
Questo pone il romanzo ben oltre il successo narrativo e lo fa diventare un percorso iniziatico. L’indicazione della valenza iniziatica del romanzo proviene anche da un altro elemento fondamentale: la vicenda si sviluppa in sette giorni, proprio come il tempo della creazione divina che ci riconduce ancora una volta alla genesi tramite il verbo.
Risulta, poi, significativa una scena fondamentale anche del film: i protagonisti sono alla ricerca della verità e si perdono nella biblioteca protetta dal labirinto; paradossalmente si “perdono” proprio quando “ritrovano” i libri e quindi la conoscenza. Quella stessa conoscenza alla quale si arriva necessariamente in maniera mediata: attraverso la prova del labirinto e metaforicamente utilizzando gli occhiali per la lettura tanto cari a Guglielmo. Allo stesso modo la cecità del Venerabile risulta essere da un lato in antitesi con gli occhiali di Guglielmo che invece aumentano la capacità di “vedere” e dall’altro lato simbolicamente rappresenta l’ottusità cieca dell’ordine costituito che deve mantenere il segreto nella divulgazione di conoscenze che possono invece far vedere le cose diversamente e forse nella giusta prospettiva.
Non a caso poi nelle vicende narrate ritroviamo in una disputa incrociata i tre ordini religiosi più importanti: domenicani, benedettini e francescani che rappresentano in maniera mediata la divisione del potere e la disputa per il mantenimento dello stesso in ambito religioso.
Il messaggio criptico del romanzo è forse solo in parte contenuto nel finale anche del film: «Ma l’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo, l’indemoniato dal veggente; la verità si manifesta a tratti anche negli orrori del mondo cosicché dobbiamo decifrarne i segni anche là dove ci appaiono oscuri intessuta da una volontà del tutto intesa al male».
Forse il nome della rosa può essere rintracciato, alla fine, come viene messo in evidenza bene nel finale del film, proprio nell’amore, massima espressione del motto nominalista "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"; l’amore è una nuda realtà ontologica e sebbene importante passa come passa tutto nella vita. Non a caso, ancora facendo riferimento alla pellicola, dei tre condannati al rogo l’unica a salvarsi è proprio la ragazza di cui è segretamente innamorato Adso, ma della quale non saprà mai il nome. Un amore intenso, nascosto e senza nome. Ecco forse il senso segreto della rosa: la bellezza del mondo, della vita e dell’amore che si nascondono dietro petali delicati destinati ad appassire con il procedere del tempo.
Infatti mentre la scena si dissolve e Guglielmo e Adso si allontanano metaforicamente dalla scena, la voce fuori campo chiosa: «Mi rendo conto che di tutti i volti che dal passato mi ritornano alla mente, più chiaro di tutti vedo quello della fanciulla che ha visitato tante volte i miei sogni di adulto e di vegliardo. Eppure dell’unico amo re terreno della mia vita non avevo saputo né seppi mai il nome».
«E ci fu una battaglia nel cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone». Nel passo biblico Apocalisse 12:7 si parla semplicemente di Michele e dei suoi angeli impegnati in una strana guerra presumibilmente nelle sfere celesti. Chi è questo Michele? Perché è così importante tanto da combattere contro il dragone che ovviamente incarna le forze opposte del male?
Michele in latino significa “Quis ut Deus” ossia “Chi è come Dio”. In vari passi della Bibbia è riconosciuto come Arcangelo ed è generalmente associato anche ad altri due arcangeli, ossia Gabriele e Raffaele. È considerato tale anche nell’ambito della fede ebraica e islamica, oltre come abbiamo visto in quella cristiana. Nell’ambito della liturgia della chiesa cattolica i tre arcangeli vengono venerati in una data specifica, ossia il 29 settembre. Come si può notare la data è particolare perché è vicina temporalmente all’equinozio d’autunno.
La parola Arcangelo, invece, deriva dal latino archangelus e significa "angelo capo" o "capo degli angeli. Già da questo, quindi, possiamo comprendere l’importanza di tale figura.
Chi è San Michele Arcangelo
Per capire la figura di San Michele Arcangelo bisogna far riferimento in prima battuta ai testi biblici. Nell'ultimo libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse di Giovanni, vengono decritti alcuni “strani” combattimenti celesti tra forze avverse; dopo la prima guerra in paradiso, l'Arcangelo è protagonista nel secondo scontro terreno contro il drago. San Michele Arcangelo guida di nuovo alla vittoria la milizia celeste degli angeli di Dio contro Satana e i suoi accoliti. Secondo la profezia, alla fine dei giorni, San Michele Arcangelo farà squillare la tromba annunziatrice del gran giudizio finale, quando il Regno dei Cieli verrà riconsegnato da Gesù Cristo al Dio Padre per l'eternità. Ecco perché è spesso raffigurato con in mano una bilancia con cui pesa le anime (psicostasia); questo particolare iconografico deriva dalla tradizione islamica, a sua volta tramandato dalla mitologia egizia e persiana e comunque non trova nessun fondamento e riscontro nelle scritture bibliche.
In origine Michele, comandante delle milizie celesti, dapprima accanto a Satana, si separa poi dallo stesso e dai suoi angeli che operano la scissione da Dio, poco prima di precipitare negli inferi.
Come abbiamo visto San Michele si celebra in prossimità del 21 settembre quando ha luogo l'equinozio d'autunno. Questo è un elemento simbolico non di poco conto. Il sole, infatti, in questa data entra nel segno della Bilancia, dando così inizio a un nuovo ciclo. Proprio la bilancia che per una strana coincidenza è uno degli elementi dell’apparato iconografico di san Michele.
L'autunno è il periodo nel quale avviene la separazione di cui parla Ermete Trismegisto quando dice: «Tu separerai il sottile dal denso con grande abilità». Separare il sottile dal denso vuol dire separare l’aspetto spirituale dal materiale. Metaforicamente il compito dell'Arcangelo Michele è forse quello di separare l'anima dal corpo in attesa proprio del giudizio finale e della grande mietitura.
Si tratta, dunque, di una figura molto importante non solo sul piano religioso ma soprattutto anche dal punto di vista spirituale e simbolico. Nel corso dei secoli, pertanto, la devozione ha determinato la nascita di diversi luoghi di culto in tutto il mondo e in particolare in Europa.
La linea di San Michele
Una misteriosa linea immaginaria unirebbe sette monasteri, dall’Irlanda fino a Israele, tutti dedicati alla figura dell’Arcangelo; sebbene lontanissimi tra loro, sembrerebbero perfettamente allineati su un asse geografico. Seconda la leggenda questa linea rappresenterebbe il colpo di spada con cui l’Arcangelo scacciò il demonio, relegandolo per sempre all’Inferno.
A quanto pare, però, questi punti geografici sarebbero anche dei punti energetici e proprio l’Italia è l’unica nazione ad avere sul proprio territorio la presenza di ben due nodi. Le leggende locali di questi luoghi sacri hanno una matrice comune: l’apparizione di San Michele, vincitore nella lotta contro il Drago, che avrebbe richiesto espressamente l’edificazione e l’istituzione del culto.
È importante notare che i punti di questa linea sono sette. Questo numero ha una valenza religiosa ed esoterica molto importante e particolare. Il numero sette, infatti, simbolo per eccellenza della ricerca mistica, rappresenta ogni forma di scoperta e conoscenza. Sette sono i chakra, ma anche i giorni della creazione. Il numero sette inoltre ha una valenza religiosa importante perché rappresenta Dio e la divinità proprio nell’atto della creazione.
Platone definiva il numero sette come “anima mundi”, mentre la settima lettera dell’alfabeto ebraico è ZAIN e indica l’eternità. Il numero sette quindi ha una perfezione intrinseca e rappresenta la mediazione tra umano e divino. Senza dimenticare poi che sette sono proprio gli arcangeli: Michele, Raffaele, Gabriele, Uriel, Raguel, Zedkiel e Jophiel.
Sette sono anche i metalli simbolici del percorso di trasmutazione alchemica: piombo, ferro, stagno, rame, mercurio, argento, oro. In quest’ottica alchemica, pertanto, la linea potrebbe rappresentare un percorso iniziatico verso la perfezione spirituale.
Tenendo conto di queste ipotesi la disposizione dei sette santuari potrebbe essere vista in un’ottica differente e in chiave simbolica.
Vi è poi una particolarità: è sorprendente notare la disposizione di questi santuari sulla linea. I tre siti più importanti Mont Saint Michel in Francia, la Sacra di San Michele in Val di Susa e il santuario di Monte Sant’Angelo nel Gargano sono tutti alla stessa distanza di circa mille chilometri: un monito del santo affinché vengano sempre rispettati le leggi di Dio nella rettitudine e nella perfezione. Inoltre la linea sacra è in perfetto allineamento con il tramonto del sole nel giorno del solstizio d’estate.
La linea si snoda per oltre due mila chilometri tagliando l’intera l’Europa e può essere considerata una delle cosiddette “ley lines” ossia delle linee rette geografiche immaginarie che toccano alcuni punti importanti del mondo, venerati già in età preistorica.
Vediamo da vicino i singoli nodi di questa linea immaginaria.
Skelling Micheal
Il tracciato comincia in Irlanda, sull’isolotto semideserto di Skelling a 17 km dalle coste del Kerry, dove l’Arcangelo Michele sarebbe apparso a San Patrizio per aiutarlo a liberare il suo paese dal demonio. Si tratta di un monastero poco accessibile e visitato da pochissimi turisti perché non facilmente raggiungibile. È stato costruito intorno al 588 d.C.
Saint Micheal’s Mount
La linea si dirige poi verso sud e si ferma in Inghilterra, a St. Michael’s Mount, un isolotto della Cornovaglia che con la bassa marea si unisce alla terraferma. Proprio qui San Michele avrebbe parlato a un gruppo di pescatori nel 495 d.C.
Mont Saint Michel
La linea sacra prosegue poi in Francia, su un’altra celebre isola, Mont Saint-Michel, anch’essa tra i luoghi dell’apparizione dell’Arcangelo Michele nel 709 d.C. quando si è presentato al vescovo locale intimandogli che gli venisse costruita una chiesa nella roccia. Il santuario sorge su una formazione granitica e si eleva a un’altezza di 92 metri sul livello del mare, ma con la statua di San Michele collocata in cima alla guglia della chiesa abbaziale raggiunge i 170 metri. Il monastero si colloca precisamene in una località detta Gargant, pertanto non si esclude che furono proprio le popolazioni pugliesi del Gargano di Monte Sant’Angelo a edificarlo su richiesta di San Michele.
Sacra di San Michele
A ben mille chilometri di distanza, in Val di Susa in Piemonte, troviamo il quarto santuario. Sorge sulla cima del monte Pirchiriano, a 40 chilometri da Torino. La costruzione dell’abbazia inizia intorno all’anno mille e nel corso dei secoli si sono aggiunte altre strutture. Secondo una leggenda un arcivescovo del luogo ebbe la visione dello stesso Arcangelo Michele che gli ordinò di erigere un santuario. La leggenda narra che una notte la cappella fu vista dalla popolazione come se fosse avvolta da un grande fuoco. La stessa scena si è ripetuta drammaticamente il 23 gennaio 2018 probabilmente a causa di un corto circuito.
Santuario di San Michele
Spostandosi di altri mille chilometri in linea retta si arriva in Puglia, sul Gargano, dove una caverna inaccessibile è diventata un luogo sacro. Il santuario fu iniziato intorno al 490 d.C. quando avvenne la prima apparizione dell’Arcangelo Michele a San Lorenzo Maiorano; da allora ci sono state poi altre tre apparizioni, l’ultima nel 1656. Ha ricevuto il titolo di “Celeste Basilica” e la sua torre ha la forma ottagonale.
Monastero di Symi
Dall’Italia la traccia dell’Arcangelo arriva poi al sesto santuario, in Grecia, sull’isola di Symi: qui il monastero custodisce un’effigie del santo alta tre metri, una delle più grandi esistenti al mondo.
La data della costruzione della chiesa non è nota ma secondo alcune notizie storiche molto probabilmente è stata eretta verso il 450 d.C. sul luogo ove sorgeva un antico tempio dedicato al dio Apollo. Sull’isola ci sono ben nove monasteri dedicati a San Michele ed è presente anche un antico castello che fu sede dal 1309 al 1522 dell'Ordine dei Cavalieri Ospitalieri di Gerusalemme che governò l'isola.
Monastero del Carmelo
La linea sacra termina in Israele, al Monastero del Monte Carmelo ad Haifa. Questo luogo è venerato fin dall’antichità, ma la costruzione del santuario risale al XII secolo. Monte Carmelo significa letteralmente “Vigna di Dio” e ospita il cosiddetto monastero carmelitano di Stella Maris. Secondo la tradizione sarebbe stato fondato su una grotta che fu dimora del profeta Elia. È nominato anche nella Bibbia come luogo da cui lo stesso profeta sfidò Baal. Questo ultimo nodo della linea indicherebbe, dunque, simbolicamente proprio la battaglia finale, come abbiamo visto, che San Michele dovrebbe tenere contro il maligno in linea con il dettato profetico.
Una curiosità: il primo di questi santuari è stato scelto nel 2015 come sito per le riprese cinematografiche di due episodi della famosa saga di Guerre Stellari, usciti nelle sale di tutto il mondo rispettivamente nel dicembre 2015 e nel dicembre 2017 con i suggestivi titoli: “Il risveglio della Forza” (episodio VII) e “Gli ultimi Jedi” (episodio VIII). Due titoli stranamente profetici.
Box di approfondimento
Le ley lines
Sono definite anche linee temporanee e rappresentano allineamenti coerenti tra punti geografici distanti generalmente di interesse spirituale o che hanno comunque delle caratteristiche fisiche o simboliche simili e in comune. In Irlanda sono conosciute anche come “Sentieri delle Fate”, in Cina come “Linee del Drago”, per i peruviani sono le “Linee degli Spiriti” e i “Sentieri del Canto” per gli aborigeni australiani. Sono, dunque, comuni a varie culture.
L’espressione” ley line” è stata coniata nel 1921 dall'archeologo dilettante Alfred Watkins. Nel 1969 lo scrittore John Michell ha ripreso lo studio nel suo libro “The View Over Atlantis”, associandolo a teorie spirituali e mistiche sugli allineamenti delle forme della terra e collegandolo al concetto cinese di feng shui. Michell riteneva che esistesse una rete mistica di linee temporanee in particolar modo in tutta la Gran Bretagna.
Oltre alla funzione di collegamento tra diversi posti distanti tra di loro, queste linee nasconderebbero anche veri e propri flussi energetici simili a fiumi che si intersecano in linea retta sulla superficie terrestre. Il reticolato che verrebbe così a formarsi includerebbe tutta la Terra e sarebbe collegato, dunque, a nodi energetici dove generalmente vi è la presenza o l’abbondanza di acqua. Le linee hanno una valenza energetica perché sono collegate a particolari manifestazioni magnetiche e hanno una buona capacità di condurre elettricità. Il più delle volte è possibile rintracciare, proprio lungo le ley lines, anche i cosiddetti cerchi nel grano.
Esistono poi, all’opposto, punti di energie con valenza negativa, come per esempio il Triangolo delle Bermuda che potrebbe essere considerato una deformazione delle stesse ley lines.
Inoltre generalmente i posti che si trovano su queste linee hanno dei legami particolari con le fasi lunari e con i solstizi.
«Così, quando un mago è versato nella filosofia naturale e nella matematica e conosce le scienze che ne derivano, l’aritmetica, la musica, la geometria, l’ottica, l’astronomia e quelle che si esercitano a mezzo di pesi, di misure, di proporzioni, di giunzioni, nonché la meccanica, che è la risultante di tutte queste discipline, può compiere cose meravigliose che stupiscono gli uomini più colti». Così si esprimeva Cornelio Agrippa, convinto che la matematica, con le sue applicazioni pratiche e teoriche, possa essere considerata l’arte magica per eccellenza. Forse è effettivamente così, sebbene sin da piccoli siamo stati abituati a pensare che la matematica sia essenzialmente solo un groviglio di fredde e distaccate regole e formule astratte avulse da applicazioni reali. In effetti, però, non è così: la matematica può avere risvolti e utilizzi concreti anche nella vita di tutti i giorni (basti pensare per esempio al funzionamento dei più moderni strumenti tecnologici), ma soprattutto può essere la base di riferimento per importanti interpretazioni simboliche e in particolare legati alla numerologia, spesso utili per decodificare alcune opere d’arte o monumenti come per esempio le Piramidi che sono state costruite secondo calcoli ben precisi. In altre parole la matematica può essere considerata uno strumento importante, basti pensare, per esempio, ai risvolti esoterici e mistico-simbolici legati al pensiero di Pitagora. Tenuto conto di questo quadro di riferimento vi è poi un’applicazione matematica che si perde nella notte dei tempi, ma che ha un fascino particolare. Il suo nome è il quadrato magico.
Le origini
I quadrati magici erano già noti in Cina nei primi secoli dopo Cristo e forse addirittura nel IV secolo a.C. I primi quadrati magici risalgono addirittura all’antica Cina, ai tempi della dinastia Shang, nel duemila a. C., quando secondo la leggenda un pescatore trovò lungo le rive del fiume Lo, un affluente del fiume Giallo, una tartaruga che portava incisi sul suo guscio strani segni geometrici. Il pescatore portò la tartaruga all’imperatore e i matematici al suo servizio studiando quei segni scoprirono un’imprevedibile struttura: un quadrato di numeri con somma costante 15 su ogni riga, colonna e diagonale. Si trattava di un quadrato magico 3x3 (ossia di ordine 3) definito “Lo Shu”.
Le proprietà più interessanti di questo primo quadrato magico sono collegate alla teoria dello Yin-Yang, secondo la quale ogni cosa deriva dall’armoniosa opposizione di due originali forze cosmiche. Yang è la forza maschile, sorgente di calore, di luce e di vita, sotto l’influenza del Sole; Yin è invece la forza femminile che si sviluppa al buio, al freddo e nell’immobilità, sotto l’influenza della Luna. Nel “Lo Shu” i numeri dispari rappresenterebbero l’elemento maschile, mentre quelli pari l’elemento femminile. Il numero cinque, inoltre, rappresenta la Terra mentre gli altri numeri i punti cardinali e le stagioni. Ad esempio: uno è il nord e l’inverno, il nove è il sud e l’estate, il tre rappresenta l’est e la primavera e il sette l’ovest e l’autunno. Attorno al numero cinque si alternano coppie di numeri che rappresentano i quattro elementi: l’acqua, uno e sei; il fuoco, due e sette; il legno tre e otto e il metallo, quattro e nove.
In occidente, invece, i quadrati magici apparvero intorno al XIII secolo. Se ne trova traccia in un manoscritto in lingua spagnola, ora conservato nella biblioteca Vaticana, attribuito a Alfonso X di Castiglia. Già in questo testo i quadrati sono messi in relazione con i pianeti. Ricompaiono poi a Firenze nel XIV secolo in un manoscritto di Paolo Dagomari, matematico, astronomo e astrologo che fu tra l'altro in stretto contatto con Jacopo Alighieri, uno dei figli di Dante.
Con l'avvento della stampa, i quadrati magici crebbero enormemente, soprattutto grazie all’opera di Cornelio Agrippa che li descrisse in gran dettaglio nel libro II della sua opera Filosofia Occulta, definendoli "tavole sacre dei pianeti e dotate di grandi virtù, poiché rappresentano la ragione divina, o forma dei numeri celesti".
La vera riscoperta dei quadrati magici si ebbe, però, con lo sviluppo in Italia del neoplatonismo rinascimentale e quindi di riflesso delle scienze esoteriche. Il quadrato magico, però, è prima di tutto un concetto matematico.
Gli aspetti matematici
Si tratta di una disposizione di numeri interi all’interno di una tabella quadrata in cui siano rispettate due condizioni: i valori siano tutti distinti tra loro e la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e in entrambe le diagonali, dia sempre lo stesso risultato, denominato "costante di magia". In matematica, una tabella di questo tipo è detta matrice quadrata. In modo analogo il numero di righe (o di colonne) è detto "ordine" del quadrato magico. Se si moltiplica la costante magica per l'ordine, si ottiene la somma di tutti gli interi del quadrato. Dunque una vera e propria struttura magica basta sui numeri.
I quadrati magici di ordine tre sino al nove, descritti come strumenti per attirare le influenze dei pianeti, si ritrovano in numerosi manoscritti a partire dal XV secolo. Tra i più noti possiamo citare il Liber de Angelis, un testo di magia angelica. I quadrati con ordini compresi tra tre e nove sono invece collegati simbolicamente ai vari pianeti. Nel corso dei secoli sono stati utilizzati per costruire talismani: le loro incisioni su placche d'oro o d'argento venivano impiegate come rimedi, per esempio, contro la peste o il mal d'amore.
Nell’edizione del 1533 nel libro II della sua opera Filosofia Occulta di Cornelio Agrippa i quadrati magici sono associati alla magia celeste, cioè al potere delle stelle e dei pianeti. Di ogni quadrato magico Agrippa fornisce la descrizione in chiave planetaria, secondo il seguente schema:
Ordine 3: quadrato di Saturno
Ordine 4: quadrato di Giove
Ordine 5: quadrato di Marte
Ordine 6: quadrato del Sole
Ordine 7: quadrato di Venere
Ordine 8: quadrato di Mercurio
Ordine 9: quadrato della Luna.
Vi è poi una particolare forma evoluta del quadrato magico che è definito invece quadrato cabalistico di ordine sei, cioè con una matrice quadrata 6x6 che contiene i numeri da 1 a 36. In numerologia questo quadrato magico assume una valenza particolare poiché la somma di tutti i numeri utilizzati determina il famigerato numero 666.
È possibile definire i quadrati magici secondo il loro utilizzo e la loro funzione: ordinari, panmagici, satanici, diabolici e cabalistici. A partire dal XVI secolo la loro diffusione è arrivata anche in ambito artistico: la matematica così si fonde e si nasconde nell’arte, sconfinando nel simbolismo e nell’esoterismo.
Il quadrato magico di Dürer
In ambito artistico il quadrato magico lo ritroviamo in una strana opera tanto affascinante quanto enigmatica. Un quadrato magico di ordine quattro, quindi quadrato di Giove, infatti compare in una delle incisioni più famose dell’artista tedesco Albrecht Dürer, ossia la Melencolia I, realizzata nel 1514. Il quadrato magico è raffigurato sulla parete dietro il soggetto, in alto a destra. L’incisione è stata oggetto di diversi studi che in prima battuta hanno evidenziato il collegamento, in linea con la dottrina medioevale, degli stati d’animo con i quattro elementi naturali e con i pianeti, secondo lo schema: umore sanguigno – aria – Giove, umore collerico – fuoco – Marte, umore flemmatico – acqua – Luna, umore melanconico – terra – Saturno. In maniera enigmatica e simbolica l’artista pone, dunque, l’attenzione sul pianeta Giove, in virtù del fatto, come abbiamo detto, che il quadrato magico è di ordine quattro e pertanto collegato ad esso. Cosa vuole esprime, però, effettivamente sotto questo velo simbolico?
Il soggetto ritratto nell’opera regge un compasso, ha una borsa per contare il denaro ed è circondato da oggetti di forma geometrica, tra i quali uno strano poliedro che ha interessato generazioni di matematici. La figura alata è seduta con aria pensosa davanti a una costruzione in pietra circondata da strani oggetti, appartenenti al mondo dell'alchimia: una bilancia, un cane scheletrico, attrezzi da falegname, una clessidra, un putto, una campana, un coltello e una scala con sette pioli.
L'opera, simbolicamente, rappresenta in termini alchemici le difficoltà che si incontrano nel tentativo di tramutare il piombo (anime delle tenebre) in oro (anime che risplendono). Si tratta quindi di un vero e proprio compendio del pensiero dell'artista sull'arte e sull'animo umano attraverso la scienza alchemica.
In questa visione e seguendo queste chiavi interpretative è possibile forse capire meglio la presenza del quadrato magico.
In prima battuta è possibile notare che i due numeri nelle caselle centrali dell'ultima riga formano 1514, anno in cui venne eseguita l'incisione. Le due caselle poste alle estremità, invece, contengono i numeri quattro e uno che corrispondono alle lettere D e A dell’alfabeto, ossia proprio le iniziali di Albrecht Dürer.
Il quadrato magico contenuto nell'opera è molto complesso. Infatti non è in funzione solo del fatto che la somma dei numeri delle linee orizzontali, verticali e oblique riporta sempre come risultato 34 ma anche la somma dei numeri dei quattro settori quadrati in cui si può dividere lo schema e anche i quattro numeri al centro se sommati danno ancora proprio 34. La stessa cosa vale anche per i quattro numeri agli angoli. Inoltre se si prende un numero agli angoli e lo si somma con il numero a lui opposto si ottiene sempre 17 ossia la metà proprio di 34.
È importante notare che il numero 34 simboleggia il potere della realizzazione dell'uomo e rappresenta l'evoluzione risultante dall'organizzazione cosmica e dalla legge naturale, ossia il cosiddetto asse del mondo. Si tratta, dunque, di un numero magico per eccellenza e rappresenta la compresenza di vari elementi allusivo al processo di trasformazione oggetto dell’opus alchemico. Si tratta di un numero complesso: il principio del tre, il numero perfetto, si unisce al quattro, il numero della materia, creando la cifra del perfetto mutamento.
Il quadrato magico dell’incisione di Dürer, ma in generale tutta l’opera, è dunque un complesso sistema di conoscenze celate in pochi centimetri quadrati: la matematica al servizio di altre discipline come in un percorso iniziatico.
Diceva ancora Cornelio Agrippa: «Solo per voi, figli della dottrina e della sapienza, abbiamo scritto quest'opera. Scrutate il libro, raccoglietevi in quella intenzione che abbiamo dispersa e collocata in più luoghi; ciò che abbiamo occultato in un luogo, l'abbiamo manifestato in un altro, affinché possa essere compreso dalla vostra saggezza».