Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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C’è un mistero, ma come si sa forse non soltanto uno, quando si parla del genio rappresentativo del Rinascimento italiano e probabilmente iniziatore ideale della modernità: si tratta di Leonardo da Vinci e il mistero riguarda il suo ritratto. Di Leonardo, infatti, sappiamo tutto o quasi tutto: molti aspetti della sua vita sono noti, le sue opere sono molto famose fino a diventare vere icone; molti i misteri e molto frequente l’analisi simbolica riguardante proprio le sue opere. Ma come era effettivamente il volto del genio fiorentino? Quali erano i tratti di colui che ha tratteggiato nelle sue opere tantissimi volti dai quali faceva emergere l’anima?
Per rispondere a queste domande bisogna ritornare al 2008 quando l’ingegnere Gianni Glinni, insieme a suo fratello e allo storico d’arte Nicola Barbatelli sono stati protagonisti di un fortuito ritrovamento: un dipinto a tempera grassa su pannello (43,9x59,6 cm) che sarà ospitato inizialmente presso il Museo delle antiche genti di Lucania a Vaglio di Basilicata e sarà etichettato come l’autoritratto di Acerenza. Da quel momento inizia una storia avventurosa e come affermava lo stesso Leonardo: «Tristo è quel maestro del quale l’opera avanza il giudizio suo. E quello si drizza alla perfezione dell’arte, del quale l’opera è superata dal giudizio». Ne parliamo con Gianni Glinni, uno degli scopritori del presunto autoritratto del genio fiorentino.
Come inizia questa incredibile avventura?
L'inizio fu casuale. Il critico ed esperto d’arte Nicola Barbatelli si recò a casa di un collezionista salernitano per visionare dei dipinti di un artista lucano del 1600. Non trovò nulla di significativo ma prima di andare via, gli fu mostrato il dipinto raffigurante un volto di un uomo con la barba. Il collezionista non sapeva chi fosse, parlò di Galileo Galilei, ma chiese allo studioso se valesse la pena pulirlo. Era chiaro che il volto era quello che l'iconografia classica attribuiva a Leonardo e non a Galileo e da una prima rapida analisi sembrava una copia del presunto autoritratto di Leonardo conservato agli Uffizi. Non è corretto dire presunto, perché oggi si sa con certezza che l'autoritratto di Leonardo degli Uffizi è in realtà un dipinto della metà del 1600 venduto poi nel 1700 come originale autoritratto di Leonardo da Vinci. Questo si è scoperto solo nel 1936 quando la tavola fu sottoposta a una radiografia che rivelò sotto lo strato pittorico un altro dipinto seicentesco raffigurante una Maddalena penitente forse di mano fiamminga.
Leonardo è morto nel 1519 quindi è ovvio che non può essere il suo autoritratto. Questo dipinto è stato esposto agli Uffizi per oltre 200 anni e considerato l'autoritratto di Leonardo! Ha costituito così la base per una iconografia del volto di Leonardo e ne sono state fatte moltissime copie. La tavola del collezionista salernitano sembrava una di queste tante copie fatta forse alla metà del 1700. La Tavola Lucana era coeva a Leonardo e una delle impronte rilevate era compatibile con quella rilevata sulla Dama con l'ermellino, opera famosissima proprio di Leonardo. In sostanza quindi la Tavola Lucana potrebbe essere l'originale dal quale fu tratto il falso di Firenze e forse il vero autoritratto di Leonardo da Vinci. La tavola è stata denominata "Lucana" perché le prime indagini storiche lasciavano pensare a un passaggio lucano della tavola, attraverso casati che avevano vaste proprietà in Lucania ed erano tutte coinvolte con Leonardo. Basti pensare alla famiglia Segni di Acerenza, al conte di Ligny, a Isabella d'Aragona che ritiratasi a Bari soggiornò spesso presso il castello di Monteserico. Altro personaggio potenzialmente significativo in questa storia fu Gian Vincenzo Pinelli, conte di Acerenza, ma ne figurano molti altri così che un arrivo della tavola in Lucania tramite è più che plausibile.
La traccia più concreta dell'esistenza di un autoritratto di Leonardo la troviamo tuttavia a Napoli, nell'inventario dei beni della famiglia Ruffo di Baranello fatta agli inizi del 1800 da Romanelli che fece chiaramente riferimento a un autoritratto di Leonardo.
Quali sono gli altri autoritratti di Leonardo e cosa possiamo dire a proposito?
Per quanto riguarda gli autoritratti di Leonardo, possiamo affermare che una volta escluso quello degli Uffizi, resterebbe la famosa sanguigna di Torino, il volto del vecchio saggio che figura un po’ ovunque come volto di Leonardo. Benché il disegno è certamente opera di Leonardo, non altrettanto certo è che si tratti di un autoritratto. Molti studiosi, tra i quali Pietro Marani, sostengono la versione che si tratti di un prototipo di vecchio saggio, filosofo o apostolo già esistente e ripreso da Leonardo nei suoi studi. Non sarebbe quindi il suo autoritratto. Se parliamo invece di ritratti, l'unico universalmente accettato è il profilo di Leonardo fatto da Francesco Melzi, il suo allievo prediletto. Questa iconografia è certa e costituisce l'unico riferimento riguardo alle fattezze di Leonardo. In questo scenario compare il ritratto Lucano che essendo con certezza dell’inizio del 1500 e raffigurando con certezza il volto di Leonardo costituisce l'unico altro riferimento.
Il quadro presenta anche una strana iscrizione?
«PINXIT MEA» scritta al rovescio come faceva Leonardo. Significa "dipinse cose di me" una formula tratta forse da un latino del tardo impero, all’epoca di Orazio. La scritta è stata analizzata e sono venuti fuori alcuni elementi importanti: è in ferro gallico, normalmente usato da Leonardo, è scritta a pennello con mano sinistra e da una indagine calligrafica è pienamente compatibile con la grafia di Leonardo.
Quali sono stati gli approfondimenti tecnici e le altre verifiche effettuate sulla tavola?
Sono state svolte indagini a raggi x, spettrografie per analizzare la composizione dei pigmenti, rodiocarbonio 14 per la datazione della tavola lignea (una tavola di pioppo) analisi sul tipo di legno e il rilievo delle impronte coeve ai pigmenti. Tutte queste indagini sono state fatte dall'INNOVA del Federico II di Napoli, dall'Università di Chieti e dal RACIS dei Carabinieri. Un altro campo di ricerca è stato il riconoscimento facciale. A questo hanno lavorato separatamente l'Università di Chieti col professor Felice Festa, l'Università di Tallinn con il professor Orest Kormachov e Helen Kokk e il reparto investigativo della polizia federale di Madrid, lavoro commissionato dal giornalista Christian Galvez. Tutti gli studi concordano che si tratta del volto di Leonardo da Vinci e che è l'unico ritratto pienamente compatibile con il famoso profilo di Leonardo fatto da Francesco Melzi. É stato in tal modo possibile ricostruire l'immagine tridimensionale del volto di Leonardo, lavoro fatto in collaborazione con il professor Orest Kormachov dell'Università di Tallinn.
Quali possono essere i collegamenti di questa opera con le altre di Leonardo?
Si tratta del suo autoritratto e dobbiamo pensare che con molta probabilità non è un'opera commissionata. É stata realizzata con tempera grassa e non con olio, cosa spiegabile per la necessaria rapidità con la quale fu eseguita. Troviamo un famoso parallelo che comprova questa idea, l'autoritratto di Raffaello, anche questa in tempera grassa. Si trovano tuttavia analogie ricorrenti in tutti i dipinti di Leonardo: ad esempio il modo di dipingere gli occhi oppure l'ondulazione dei capelli e della barba, una sorta di modello che si ripete sempre uguale e presente anche nella tavola lucana. Leonardo assimilava infatti l'ondulazione dei capelli a quella dell'acqua. Posso dire che questo è forse uno dei segni più evidenti della mano di Leonardo.
Come nel caso della Gioconda anche in questo caso un elemento importante viene dagli occhi. Cosa è venuto fuori dalle ricerche?
Leonardo dedicò molte ricerche alla questione della biocularità, ossia la sovrapposizione di immagini che il nostro cervello fa facendoci vedere un oggetto unico mentre invece è composto da due immagini differenti provenienti dai due occhi. In questa tavola c'è un evidente tentativo di combinare le due visioni in un’unica immagine, mettendole insieme e usando lo sfumato per farle coincidere. Solo Leonardo, e forse Durer, facevano tali ricerche. É un altro indizio che porta al modo nel quale Leonardo lavorava. Anche la differenza di dilatazione delle due pupille fu una questione studiata da Leonardo il quale ne scrive ripetutamente nei suoi appunti. Nella tavola lucana è presente in maniera evidente.
Leonardo in genere metteva dei simboli e degli enigmi nelle sue opere; se questo fosse realmente il suo autoritratto secondo lei quali potrebbero essere i simboli nascosti anche in questa opera?
Non credo che Leonardo inserisse segni o simboli, forse meglio parlare di enigmi. Leonardo nelle sue opere introduceva invece tutte le conoscenze che maturavano dalle sue ricerche di filosofo della natura, ricerche anatomiche, del mondo vegetale e animale, della composizione di rocce e terreni oltre che naturalmente ricerche fisiognomiche o legate al moto dei corpi e dell'anima, come scriveva. Nella tavola lucana ritroviamo gli studi sull'ottica e la biocularità, sul moto delle acque assimilate all'ondulazione dei capelli, di una resa tridimensionale dell'immagine. Il quadro va visto dal vivo e solo dopo, con animo sereno, se ne esce veramente arricchiti.
«Chiunque voi siate che intendete dedicarvi a questa scienza, custodite in fondo al vostro cuore una dottrina tanto eccelsa, occultatela con ferma costanza, non arrischiatevi a parlarne». L’autore di questa frase è Cornelio Agrippa von Nettesheim, uno dei maggiori occultisti ed esoteristi rinascimentali noto per la sua opera voluminosa e criptica conosciuta con il titolo di «De Occulta Philosophia». Cosa c’entra Tuturano, piccola frazione del comune di Brindisi, con il celebre mago tedesco? Lo scopriamo con Federico Sanapo, giornalista e autore del libro fresco di stampa dal titolo «Enigma Tutorius» che ci racconta del rinvenimento fortuito nel 2021 di uno strano graffito all’interno della torre di Sant'Anastasio proprio nel piccolo centro pugliese.
Parliamo prima di tutto brevemente di Tuturano.
Tuturano è un piccolo paese che è situato a circa dieci chilometri a sud-est di Brindisi. Oggi è una frazione del comune capoluogo. Il toponimo risalente all’epoca romana potrebbe derivare dalla parola latina «tutorius» e indicava i possedimenti della ricca famiglia dei Tutoria, gens originari di Delo e di cui si hanno numerose attestazioni epigrafiche sparse in tutta la regione in particolare a Canosa di Puglia. Scarse sono le testimonianze per quanto riguarda l’epoca messapica e romana; il toponimo potrebbe derivare in alternativa anche dal messapico «taotor» che vuol dire guardiano o protettore. Secondo alcuni studiosi Tuturano sarebbe uno dei pochi se non l’unico paese ad aver mantenuto nel nome sia la toponomastica messapica che poi quella latina. Notizie di un vicus Tuturanii si hanno nel 1097 quando il Conte Goffredo di Conversano e sua moglie, la contessa Sichelgaita, donarono la borgata di Tuturano alle monache benedettine di Brindisi.
Come è avvenuta la scoperta oggetto del suo recente libro?
La scoperta di cui vi parlo è avvenuta casualmente a opera di mio cugino Vincenzo Sanapo che nel 2021 stava effettuando un riordino dei libri all’interno del piano superiore della biblioteca Sociale Enzo Cosma, nella torre Sant’Anastasio: in particolare stava rimuovendo dei libri che erano rimasti accatastati prima del lockdown quando per caso lo sguardo gli è caduto sul davanzale della finestra del lato est e grande è stata la sua sorpresa quando ha notato il graffito, per cui visto che io sono solito interessarmi di archeologia e anche di misteri ha preferito contattare me per vedere se riuscissi a dare una spiegazione a quei misteriosi segni. Mi sono subito reso conto che si trattava di una simbologia ben precisa, ovvero le lettere Phi e il Pi-Greco e una figura identificata da me come l’occhio di Horus della tradizione egizia, il tutto racchiuso in un rettangolo anch’esso tracciato di proposito.
Sembra molto interessante anche il nome stesso della Torre; cosa ci può dire a proposito di Sant’Anastasio?
Si, come ho detto la torre è dedicata a Sant’Anastasio, un santo che “stona” per certi versi a Tuturano in quanto fino al 1600 nel paese era utilizzato il rito greco per celebrare la Santa Messa. Successivamente i preti greci, anche a causa degli effetti del Concilio di Trento, furono riformati e nella cittadina si cominciò ad utilizzare il rito latino. L’antica chiesa dedicata a Sant’Eustachio, che si trovava difronte la torre di Sant’Anastasio, crollò negli anni ’30 a causa dell’incuria in cui venne lasciata. Molto probabilmente questa chiesa nel corso del XVII secolo venne ridedicata a Sant’Anastasio, Papa della Chiesa Cattolica il quale era contro le cosiddette “regole basiliane” ovvero contro le regole di San Basilio utilizzate nel monachesimo greco. A Tuturano c’era una folta comunità di persone di fede greco-ortodossa in quanto il paese era abitato sin dal Medioevo da albanesi che praticavano il culto greco. La figura di Sant’Anastasio secondo quanto hanno tentato di spiegare gli storici, la cui epigrafe adesso si trova sulla sommità della torre (da qui il nome della torre), potrebbe essere quindi un monito a tutti i fedeli e rappresentare la “vittoria” del rito latino su quello greco.
A questo punto entra in scena la figura affascinante di Cornelio Agrippa che nel 1515 è stato certamente a Brindisi; perché è così importante questa figura in riferimento anche alla sua opera più famosa?
Come abbiamo detto il graffito rappresenta una simbologia del tutto particolare, ovvero il Phi, il Pi-Greco e quello che sembrerebbe a tutti gli effetti essere un occhio di Horus. La figura di Enrico Cornelio Agrippa entra in scena nella mia ipotesi ricostruttiva in quanto nel 2013 scrissi un articolo su Tuturano per una testata locale in cui cercavo notizie su presunti sotterranei, grotte e addirittura una necropoli che secondo le leggende locali si sarebbe trovata sotto piazza Regina Margherita, lì dove si trova la torre Sant’Anastasio e dove si trovava la chiesa medievale di rito greco. Sul mio gruppo Facebook di ricerca inerente alla chiesa di San Giovanni al Sepolcro (allora mi occupavo dei Cavalieri Templari) mi colpì un commento proprio sotto il post della condivisione del mio articolo dove un contatto affermava che la torre Sant’Anastasio fosse stata visitata dal mago e alchimista Enrico Cornelio Agrippa. Una notizia che avevo dimenticato e che mi tornò in mente alla fine dell’estate del 2021 quando avevo già intrapreso alcune ricerche inerenti al graffito della torre. A questo punto non potevo non andare a fondo a questa storia e quindi mi sono procurato subito una copia dell’opera più famosa di Enrico Cornelio Agrippa, il «De Occulta Philosophia». C’è un documento, precisamente una lettera, che Enrico Cornelio Agrippa scrisse a un suo amico da Brindisi nel febbraio del 1515, documento che certifica la presenza del mago nella città e quindi nel territorio immediatamente circostante la cittadina di Tuturano.
Quali sono secondo lei i riferimenti presenti all’interno del De Occulta Philosophia che potrebbero essere collegati al significato del graffito?
A mio avviso sono tanti, ma è bene precisare subito che la mia vuole essere soltanto una ipotesi. Il fatto è che ci sono numerose coincidenze con l’opera di Agrippa. Abbiamo detto che il graffito si trova inciso sul davanzale della finestra del lato est della torre Sant’Anastasio. Si tratta di un punto cardinale molto importante, anche perché come si sa che l’est è dove sorge il sole ma anche la direzione cui ci si rivolge per pregare. Le absidi delle cattedrali medievali sono orientate proprio in questa direzione, così come quelle in generale delle chiese. Non solo: Enrico Cornelio Agrippa ci spiega nella sua opera più famosa che il mago quando esegue qualsiasi rituale deve essere sempre rivolto verso oriente. Ma la cosa particolare è che nell’opera di Agrippa alla fine del primo capitolo del primo libro, quello dedicato alla magia naturale, egli disegna una complessa tabella in cui mette in relazione segni zodiacali, pianeti ed elementi naturali a quattro alfabeti antichi, ovvero quello greco, caldeo, latino e greco. A ogni lettera degli alfabeti corrisponde o un segno zodiacale, un pianeta o un elemento. Particolare molto interessante, che è quello che poi mi ha spinto ad andare ancora più a fondo nella ricerca, è che la lettera Phi presente nel graffito è collegata all’elemento aria che è associato proprio al punto cardinale est. Il Pi-Greco, invece, viene rapportato al segno zodiacale del Sagittario che si trova sotto l’influenza di Giove e collegato all’elemento fuoco. L’occhio di Horus poi da sempre è un simbolo che viene utilizzato anche come amuleto di protezione all’interno degli edifici. Quindi direi che i collegamenti non sono tanto forse diretti alla persona di Enrico Cornelio Agrippa, quanto alla sua opera e sembrano numerosi.
In questa scoperta sembra molto importante il rapporto tra Cornelio e l’alchimia. Potrebbe essere questa la chiave per decifrare questo graffito?
Effettivamente il fatto che siano presenti tali elementi all’interno del graffito potrebbe anche riportare a concetti alchemici. Anzi, la ringrazio per questa preziosa domanda, e tra l’altro ricordiamo che Cornelio Agrippa era anche un alchimista. Quando pensiamo all’alchimia solitamente facciamo riferimento alla trasmutazione dei metalli grezzi in oro e alla cosiddetta Pietra Filosofale; in realtà l’alchimia indica molto altro e per gli esoteristi ha sempre rappresentato un percorso di tipo iniziatico, un percorso esoterico appunto, verso la piena conoscenza del sé profondo. Le quattro fasi alchemiche (Nigredo, Albedo, Citrinitas e Rubedo) rappresentano appunto il percorso complesso che l’iniziato deve affrontare per arrivare alla Consapevolezza. Comunque effettivamente il graffito potrebbe anche contenere un significato alchemico. Allo stato attuale delle cose credo che la ricerca sia ancora tutta in divenire.
Quali sono, dunque, le ipotesi interpretative alle quali è giunto con il suo saggio?
Con Enigma Tutorius ho voluto dare prima di tutto un contributo alla storia del mio paese. Le ipotesi interpretative sono varie, ma la cosa che possiamo affermare è che sicuramente il graffito può mettersi in relazione con l’opera di Enrico Cornelio Agrippa. Quel graffito potrebbe forse essere stato inciso lì di proposito durante qualche particolare rituale, ma anche semplicemente per fare una bozza di un qualche talismano o molto probabilmente di una lamina magica. Il fatto che ci sia l’occhio di Horus mi fa pensare che possa essere un qualcosa che abbia a che fare con la protezione del luogo. Se poi sia stato Cornelio Agrippa a tracciare quel graffito oppure no, questo nessuno può saperlo con precisione. Rimane il fascino di un graffito misterioso che con molta probabilità ha una valenza esoterica. Vi ringrazio per l’interesse che avete mostrato verso la mia ricerca.