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Petrolio: c’è chi dice no N. 107 21/01/2012

Petrolio? No, grazie. C’è chi dice no. In una Basilicata quasi completamente perforata e trivellata in lungo e in largo, c’è chi ha il coraggio di rifiutare le laute compensazione economiche e anteporre a tutto il resto la salvaguardia ambientale e della salute pubblica. Cinque comuni del Marmo-Melandro hanno detto no all’Eni, interessata a perforare l’area compresa nei comuni di Baragiano, Ruoti, Picerno, Tito e Savoia di Lucania, in una zona che si estende per 140,70 Kmq. In questi giorni scade, infatti, il termine entro il quale i comuni interessati avrebbero dovuto pronunciarsi in merito all’istanza di ricerca denominata “Monte Li Foi”. I sindaci hanno puntato l’attenzione sulla matrice ambientale da salvaguardare; la zona, infatti, è un’area a forte dissesto idrogeologico, dove quindi sono fortemente a rischio le falde idriche. Monte Foi, inoltre, ha una spiccata vocazione naturalistico - ambientale, agricola e zootecnica e la possibile contaminazione delle sorgenti metterebbe a rischio un’economia montana basata sull’allevamento, sull’agriturismo e sulla valorizzazione delle aree d’interesse archeologico e paesaggistico. Lo smaltimento di fanghi petroliferi e l’uso di sostanze inquinanti utilizzate durante le ricerche e le trivellazioni preoccupano, oltre modo, le comunità dell’area, considerata anche l’esperienza negativa della Val d’Agri. A pesare sul piatto della bilancia sono state anche le quote risibili di royalties che, secondo gli amministratori delle municipalità interessate, non andrebbero a compensare i possibili danni al territorio. Questo netto diniego sembra segnare un’inversione di tendenza rispetto alla gestione delle autorizzazioni estrattive a livello regionale. I comuni hanno ricevuto dall’Eni il relativo avviso da affiggere all’albo pretorio il 9 dicembre scorso, approfittando del periodo di feste natalizie per ottenere il via libera grazie al meccanismo del “silenzio-assenso” previsto dalla normativa regionale. I comuni, però, sono stati attenti e non hanno fatto scadere inutilmente il termine dei 45 giorni. Si legge, infatti, nel parere negativo espresso dalle amministrazioni: “In un territorio come nel caso di specie, a fronte di elevata sismicità e di una conclamata conformazione geologica eterogenea quanto fragile e soggetta a continui scivolamenti, è appena il caso di sottolineare come da letteratura scientifica internazionale tra le più diffuse conseguenze delle attività estrattive degli idrocarburi e del gas si contempla il rischio del fenomeno della cosiddetta “subsidenza”, che modifica lo stesso livello della superficie del terreno e con esso la struttura dei percorsi delle falde acquifere. Gli interventi di prospezione e di eventuale sfruttamento dei potenziali giacimenti provocherebbero profondi squilibri nel delicato assetto idrogeologico, a maggior ragione considerando l’elevata profondità della “piattaforma apula” in esame. Considerando inoltre che la Basilicata nel suo complesso può essere considerata un unico bacino idrico di superficie e di profondità messo attualmente a rischio da una innumerevole e crescente realtà di punti di trivellazione petrolifera, che comporta un utilizzo di sostanze chimiche altamente tossiche, nello specifico del Monte Li Foi - generatore di sorgenti di acqua destinata agli usi potabili, per l’allevamento animale, per l’irrigazione - la prospettiva dell’attività mineraria richiesta sortirebbe devastanti e irreversibili conseguenze sull’intero ciclo di produzione e riproduzione alimentare”. Gli estensori della delibera, però, calcano la mano e si spingono ben oltre: “La natura del petrolio estratto in Basilicata è “amara” e “pesante”, quindi di qualità medio bassa, che pertanto necessita di un processo di idro-desulfurizzazione in apposito centro (Centro Oli di Viggiano in Val d’Agri). Allo smaltimento inquinante dei fanghi chimici da perforazione, contenenti innumerevoli agenti chimici dannosi, si aggiungono quindi gli effetti negativi sulla salute umana e animale dell’idrogeno solforato (H2S), che in quanto prodotto intrinseco del petrolio naturale e/o sostanza di risulta nel corso della sua lavorazione, per emissioni accidentali o per “normale” volatilizzazione da combustione, è causa di leucemie e tumori, oltre che di malattie della pelle, del sistema respiratorio e nervoso”. Insomma, come recita la famosa canzone di Vasco Rossi: “C’è chi dice no. Io non mi muovo. Tanta gente è convinta che ci sia dell’aldilà”. Un aldilà dove non è necessariamente contemplato lo sfruttamento intensivo dell’oro nero.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto N. 107 21/01/2012