La scommessa dei biocarburanti N.76 28/05/2011
Cosa si può fare con le palme da cocco? Il primo pensiero corre alle spiagge esotiche e a un’amaca attaccata. L’utilizzo di queste piante, però, può essere certamente ben più proficuo. Dalle palme, infatti, si può ricavare il cosiddetto biocombustibile. I biocombustibili sono idrocarburi ottenuti dalla lavorazione di materie prime vegetali, come per esempio proprio l’olio di palma. Possono essere in forma liquida (etanolo e biodiesel) o gassosa (idrogeno e biogas). Il termine "biocombustibili" individua, nella sua accezione più ampia, l’insieme di quelle biomasse o prodotti derivanti dalle stesse che presentano caratteristiche fisico-chimiche tali da renderli utilizzabili in processi di combustione o altra trasformazione termochimica. In Italia ci sono in totale diciassette impianti di biodiesel, di questi quattro sono presenti al sud. In Puglia questo tipo di attività attualmente è svolta dal gruppo Ital Bi Oli di Monopoli che conta su una produzione di circa 120mila tonnellate annue; il gruppo Bio Ve oil Olimpo di Corato, invece, dovrebbe iniziare a breve la stessa attività, con una produzione annua stimata in circa 100mila tonnellate. Un solo impianto, invece, in Basilicata: la Mythen di Ferrandina. Quest’ultimo è uno stabilimento petrolchimico tra i più grandi in Italia con una capacità produttiva espressa in tonnellate annue pari a 200mila per la produzione di biodiesel, 15mila per quella dell’olio di soia epossidato, 25mila per la glicerina pura e 2mila per il fosfato monopotassico. A dispetto del suffisso “bio” le sostanze trattate sono, però, altamente pericolose se immesse accidentalmente nell’ambiente. La bioenergia è, dunque, un’opportunità o un pericolo? La possibile realizzazione di un ciclo integrato fra produzione di biodiesel e colture a essa dedicate, potrebbe rappresentare un’interessante prospettiva nell’ottica di una necessaria riconversione del sistema energetico-produttivo verso la sostenibilità ambientale. Le materie prime sulle quali si punta di più sono l’olio di colza, di girasole, di soia, di palma e di oliva. I sostenitori dei biocombustibili ritengono che con la diffusione del bioetanolo e del biodiesel si potrebbero ottengano tre grandi vantaggi: maggiore sicurezza energetica e conseguente minore dipendenza dai paesi produttori di petrolio, ridotto impatto ambientale (in termini di emissioni di CO2 e di altri gas inquinanti) e un impiego più razionale delle terre coltivabili. Intanto si stanno sperimentando i cosiddetti "biocarburanti di seconda generazione", ricavabili per esempio dalle alghe o dalla paglia. Ancora la Basilicata in prima fila: nel centro della Trisaia di Rotondella è allo studio la potenzialità produttiva di colture non alimentari ricche di zuccheri, come il topinambur per la produzione di biogas o bioetanolo e di colture erbacee da biomassa come per esempio il miscanto, il panìco e il cardo. Sono state avviate, inoltre, ricerche sulle microalghe per la produzione di biolio (a sua volta trasformabile in biodiesel), biogas e in prospettiva bioidrogeno. Resta un dubbio: questa nuova filiera produttiva è realmente meno inquinante e meno pericolosa delle fonti fossili tradizionali?
Pubblicato sul settimanale Il Resto N.76 28/05/2011