La card idrocarburi è a rischio
È stato bello finché è durato, ma è durato poco. La card idrocarburi per i lucani è già a rischio. La certezza di avere una compensazione economica come contropartita allo sfruttamento petrolifero del territorio è già diventata un’illusione o quasi.
La sentenza del Tar del Lazio
A rimettere nuovamente tutto in discussione ci ha pensato il tribunale amministrativo del Lazio che si è pronunciato nel merito del ricorso presentato dalla Regione Veneto contro i Ministeri dell’Economia e delle finanze e dello Sviluppo Economico per la mancata inclusione delle regioni interessate all’attività di rigassificazione nel riparto dei fondi per il riconoscimento delle somme; la destinazione del fondo inizialmente era prevista solo per i residenti nel territorio delle province o dei comuni interessati dalle attività di estrazione in proporzione alle relative produzioni di idrocarburi. Così, dopo interminabili file presso gli sportelli postali per l’attivazione delle card, ora che le stesse facevano capolino nei portafogli sempre più vuoti dei lucani, tutto sembrerebbe nuovamente incagliato tra le pieghe dei cavilli della giustizia amministrativa. Proprio ora che in molti si chiedevano: “quando arriveranno gli altri soldi?”. Il ricco Veneto si è messo di traverso. In verità il Tar del Lazio, già nel luglio scorso, si era pronunciato accogliendo l’istanza cautelare della stessa Regione Veneto che chiedeva la sospensiva. In quell’occasione i lucani si salvarono in virtù dell’appello promosso dal Ministero dello Sviluppo economico al Consiglio di Stato che, a sua volta, respinse l’istanza di primo grado del Tar del Lazio, salvando tutti gli atti posti in essere dal ministero.
E ora che succede?
Che cosa succederà questa volta? I 310mila patentati lucani potrebbero rimanere a secco e, forse, a piedi se sperano di far rifornimento con la prossima trance di ricarica delle card. Nella ripartizione del fondo, secondo i criteri fissati nella sentenza del Tar del Lazio, infatti la Basilicata dovrebbe cedere al Veneto buona parte della dotazione finanziaria prevista e l’ammontare complessivo si ridurrebbe così a soli circa 18 milioni di euro. Questa somma, ripartita tra i residenti patentati lucani aventi diritto, comporterebbe l’erogazione di un bonus di certo inferiore ai 50 euro. La dotazione di circa 24 milioni, diviso tra la popolazione veneta, molto più numerosa di quella lucana, porterebbe a una somma inferiore ai 30 euro per beneficiario e quindi sarebbe attribuita direttamente alla regione. Insomma tanto rumore per nulla. Una questione di principio e campanilistica, forse a sfondo leghista. Oltretutto il Tar del Lazio si è spinto in un’interpretazione alquanto discutibile, paragonando la produzione d’idrocarburi a quella di rigassificazione; quest’ultima non è un processo produttivo, ma un’attività che consiste esclusivamente nella trasformazione degli idrocarburi dallo stato fisico a quello gassoso. In sostanza ora il bonus per i lucani potrebbe scendere addirittura a 40 euro; se, però, dovesse scendere sotto la soglia fatidica di 30 euro, allora addio bonus card. A questo punto, dunque, la via da seguire non è tanto la rincorsa a contributi una tantum, come nel caso del bonus, ma l'accelerazione sull’articolo 16 del “Decreto Liberalizzazioni” e, quindi, la fissazione delle maggiori entrate che derivano dalle estrazioni petrolifere e come destinare una parte di queste a progetti per la crescita dei territori. A quel punto bisogna sperare che il Veneto non si metta nuovamente di traverso, anche perché come dice un vecchio adagio da quelle parti: “Chi cerca di fare la buca per gli altri, se la scava per sé”.
Pubblicato sul settimanale L'Altravoce N. 7 23/06/2012