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Il Papa dei 33 giorni - Marzo 2017 - Giuseppe Balena

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Il Papa dei 33 giorni - Marzo 2017

“Questa mattina, 29 settembre 1978, verso le 5,30, il segretario privato del Papa, non avendo trovato il Santo Padre nella cappella del suo appartamento privato, lo ha cercato nella sua camera e lo ha trovato morto nel letto, con la luce accesa, come se fosse intento a leggere. Il medico, dott. Buzzonetti, accorso immediatamente, ne ha constatato il decesso, avvenuto presumibilmente verso le 11 di ieri sera, per infarto acuto del miocardio".

Con questo scarno comunicato il Vaticano informava il mondo che il pontefice Giovanni Paolo I era morto. Per raccontare la vita di Giovanni Paolo I bisogna iniziare dalla sua morte, bisogna iniziare necessariamente dalla fine. Una fine avvolta ancora tutt’oggi in una nebbia fitta e inestricabile. Una fine temporalmente troppo vicina all’inizio della storia ufficiale segnata indelebilmente con la salita al soglio pontificio.

Albino Luciani era un montanaro, ma non nel senso dispregiativo del termine; anzi come tutti gli uomini di montagna era pragmatico e abituato a confrontarsi con la natura: con le sue asperità ma anche con le sue bellezze. Usava il sorriso, invece, per misurarsi con le difformità dei rilievi scoscesi dell’animo umano.

La sua storia personale a un certo punto si interseca con la storia, quella più grande, quella ufficiale: la sua vita pastorale fatta di grande abnegazione personale nel lento scorrere della somma dei giorni fa da contraltare alla rapidità del suo passaggio nella storia millenaria e complicata della Chiesa Cattolica.

La figura di Albino Luciani potrebbe essere, tra le altre cose, l’archetipo dell’uomo nella lotta solitaria contro le forze oscure del potere.

Chi era Albino Luciani

Albino Luciani aveva un nome strano: una delicata e involontaria poetica anagrafica. Nacque a Forno di Canale in provincia di Belluno il 17 ottobre 1912 in una famiglia di umili origini.

Nell'ottobre del 1923 entrò nel seminario interdiocesano minore di Feltre e in seguito, nel 1928, nel seminario interdiocesano maggiore di Belluno.

Nel 1947 si laureò in sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con una tesi su “L'origine dell'anima umana secondo Antonio Rosmini”: una scelta audace poiché trattava un autore con due libri messi all'Indice e all'epoca non ancora del tutto riabilitato dalla Chiesa Cattolica.

Nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno e nel 1956 fu nominato canonico della cattedrale della stessa città.

Fu proposto per la nomina a vescovo, ma venne respinto per due volte a causa delle sue precarie condizioni di salute, della sua voce flebile, della sua bassa statura e del suo aspetto dimesso. Dopo l'ascesa al soglio di Pietro di papa Giovanni XXIII, fu finalmente promosso vescovo di Vittorio Veneto.

Il 16 settembre del 1972 il Patriarca Luciani ricevette Paolo VI in visita pastorale. Al termine della santa messa in piazza San Marco il Pontefice si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e la mise sulle spalle del Patriarca.

Nel 1973 fu creato cardinale del titolo di San Marco a Roma dallo stesso papa Paolo VI. Sin dal suo insediamento a Venezia, portò sempre il classico abito scuro da sacerdote e indossò di rado la fascia cremisi da vescovo e lo stesso fece con quella rossa da cardinale.

Il 10 luglio 1977, accogliendo l'invito di suor Lucia dos Santos, si recò in pellegrinaggio a Cova da Iria e incontrò al Carmelo di Coimbra la veggente con la quale si trattenne per due ore in conversazione. In quella occasione pare che Suor Lucia gli rivelò il contenuto del terzo segreto di Fatima; la stessa suor Lucia avrebbe predetto la sua elezione e il breve pontificato, chiamandolo addirittura "Santo Padre".

L’elezione di Giovanni Paolo I

«Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere. Appena è cominciato il pericolo per me, i due colleghi che mi erano vicini mi hanno sussurrato parole di coraggio. Uno ha detto: “Coraggio! Se il Signore dà un peso, dà anche l'aiuto per portarlo”. E l'altro collega: “Non abbia paura, in tutto il mondo c'è tanta gente che prega per il Papa nuovo”. Venuto il momento, ho accettato. [...] Io non ho né la sapientia cordis di Papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di Papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere». Albino Luciani era così, di una semplicità dirompente. Quell’umile parroco di provincia era diventato papa nello stupore generale dell’opinione pubblica. Fu eletto a grandissima maggioranza dopo un rapidissimo conclave. Da subito tutti restarono stupiti già dalla scelta del nome; per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa, il successore di Pietro scelse il doppio nome in ossequio ai due pontefici che lo avevano preceduto: papa Giovanni XXIII che lo aveva consacrato vescovo e papa Paolo VI che, invece, lo aveva creato cardinale.

La novità del nome, però, non era l’unica. Il nuovo pontefice in maniera discreta ma allo stesso tempo decisa portò un vento di rinnovamento nell’ambiente ecclesiastico ancora fortemente intriso di formalità stantie. In realtà, facendo proprio a suo modo lo spirito del Concilio Vaticano II, Giovanni Paolo I si proponeva come un riformatore, sostenendo ogni misura che potesse ricondurre la Chiesa all'umiltà e alla povertà delle prime comunità cristiane.  

Fu il primo pontefice a esprimere la volontà di parlare alla folla subito dopo l'elezione ma, poiché non era consuetudine, preferì rinunciare. Abbandonò, inoltre, il tradizionale “plurale maiestatis” nei suoi discorsi, rivolgendosi in prima persona singolare ai fedeli. Piccoli gesti di cambiamento che in realtà risultarono rivoluzionari.

Il suo ministero iniziò il 3 settembre con una messa celebrata nella piazza antistante la basilica. Per la prima volta dopo molti secoli il papa non sarebbe stato incoronato: Luciani fece, infatti, sostituire la tradizionale cerimonia di incoronazione con una "solenne cerimonia per l'inizio del ministero petrino" nel corso della quale, in luogo dell'imposizione sul capo della tiara (che con il suo pontificato cadde in disuso), gli fu imposto sulle spalle il pallio. Inizialmente non volle nemmeno usare la sedia gestatoria, salvo poi cedere per ragioni pratiche e per assicurare ai fedeli una migliore visibilità durante le uscite ufficiali.

Gli elementi di discontinuità e di rottura rispetto al passato non riguardavano solo gli aspetti formali e del protocollo, ma ben presto si fecero evidenti anche nei discorsi e negli intenti. «Noi siamo oggetto, da parte di Dio, di un amore intramontabile: Dio è papà, più ancora è madre»; così si esprimeva nell’ Angelus del 10 settembre 1978. Questa dichiarazione in particolare ebbe una certa carica destabilizzante all’interno e fuori dalle mura vaticane e più di qualcuno iniziò a ricredersi sulla bontà della scelta fatta nel recente conclave.

Giovanni Paolo I si dimostrò subito un uomo mite nell’aspetto, ma non certo condizionabile e facilmente malleabile. C’è forse questo alla base della sua tragica fine o si è trattato “semplicemente” di morte naturale?

Il mistero della morte

28 settembre 1978: dopo soli 33 giorni dalla sua elezione Giovanni Paolo I venne trovato morto nella sua camera all’interno del palazzo pontificio. La notizia fu data solo il giorno dopo perché il corpo fu ritrovato alle prime luci dell’alba, ma l’orario del decesso secondo il comunicato ufficiale venne stabilito “presumibilmente” alle 23.

Dalla stanza da letto sparirono alcuni oggetti: gli occhiali, le pantofole e un flacone di Effortil, ossia un medicinale con effetto vasodilatatore.

Le prime stranezze sorsero proprio dal documento ufficiale emesso dal Vaticano il giorno seguente al decesso; la stessa Curia ammise poi che il comunicato stampa era stato fonte di inesattezze, ma il Sacro Collegio non smentì la dichiarazione né, viceversa, confermò in via formale il referto medico redatto dal dottor Buzzonetti.

Secondo il racconto di Suor Vincenza, incaricata di servire tutti i giorni la colazione al Papa, il corpo risultava ancora caldo alle prime luci dell’alba. Questo aspetto fu confermato anche dai fratelli Signoracci che si sono occuparono della sistemazione della salma; questi, infatti, sostennero di aver ravvisato, al loro arrivo, solamente lo stadio iniziale dei processi di ipostasia e irrigidimento.

Un ristretto collegio di cardinali in una riunione speciale decisero in prima battuta di far esaminare il cadavere del papa a una commissione di tre medici al fine di stabilire “l'opportunità dell'autopsia da un punto di vista medico”. I cardinali, nuovamente riuniti, poco dopo però scartarono a larga maggioranza la possibilità di procedere alla necroscopia, ritenendo valida la certificazione di morte per infarto acuto del miocardio; archiviarono così in sostanza il "caso" e autorizzarono i funerali. È bene comunque precisare che per prassi sul corpo dei pontefici storicamente non veniva effettuata l’autopsia per non violare la sacralità del corpo.

Secondo alcuni le condizioni di salute di Luciani erano già precarie al momento del suo arrivo a Roma. Luciani, infatti, aveva un pregresso di otto interventi chirurgici, sommati a una generale cagionevolezza e a un precedente caso di un'embolia all'occhio durante un viaggio in aereo; inoltre nella sua famiglia c’era una probabile predisposizione genetica a improvvisi malori che portarono al prematuro decesso di alcuni membri. Questi elementi farebbero propendere per l’ipotesi del decesso per cause naturali. Non tutti, però, si mostrano d'accordo con questo scenario. Altri, infatti, avanzano ipotesi ben più inquietanti.

Ombre oscure in Vaticano?

Le ombre sulla morte di Giovanni Paolo I non sono certamente poche e apparvero subito abbastanza evidenti, come abbiamo visto già, a partire dai dettagli della morte, dalle cause e dal ritrovamento del corpo.

Risultò subito misteriosa anche la sparizione delle carte che lo stesso pontefice stava leggendo o scrivendo nel suo letto al momento del decesso. Monsignor Farusi escluse il particolare un po’ romanzato secondo il quale il Pontefice stesse leggendo il famoso libro anonimo e dalla particolare valenza esoterica “L'imitazione di Cristo” come a più riprese fu detto. Secondo il giornalista Andrea Tornielli, invece, le carte sul letto erano dei semplici appunti di un'omelia. Inquietante, infine, le tesi portate avanti dal vaticanista Gennari e soprattutto dal saggista Yallop convinti sostenitori della tesi che Giovanni Paolo I stesse preparando le carte per un progetto di ristrutturazione delle gerarchie ecclesiastiche che prevedeva la sostituzione di personaggi-chiave come il segretario di Stato Cardinale Villot (lo stesso che decise sulla possibilità di effettuare l’autopsia) e, più in generale, un rinnovamento dei vertici della banca vaticana.

Tale ipotesi ci introduce nei meandri oscuri e più delicati di questa vicenda.  Luciani conosceva già dall’epoca del suo patriarcato a Venezia l'operato dello IOR (Istituto Opere Religiose, ossia l’istituto bancario della Città del Vaticano) e non approvava il legame finanziario che la Chiesa da qualche anno stava intessendo con ambienti massonici: proprio questo è il filo rosso che sostiene l'impianto delle ipotesi cospirative del libro “In nome di Dio” di Yallop. In questo libro la morte di Giovanni Paolo I è presentata come un vero e proprio assassinio, frutto di un complotto condotto dal cardinale segretario di Stato Jean Marie Villot e da monsignor Paul Marcinkus, all’epoca presidente dello IOR, con la complicità di Roberto Calvi e dei vertici della loggia massonica deviata P2.

Nel 1972 la Banca Cattolica del Veneto venne ceduta al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. L’operazione fu gestita proprio dall’allora vescovo Paul Marcinkus che non disdegnava rapporti con personaggi oscuri della finanza, come ad esempio Michele Sindona. L’allora Patriarca di Venezia Albino Luciani in merito a questa vicenda entrò pubblicamente in forte conflitto proprio con Marcinkus.

Per comprendere meglio questo aspetto bisogna indagare sull’idea che papa Luciani aveva della proprietà privata. Il 27 settembre, il giorno prima della sua morte, nel suo ultimo Angelus affermò: «La proprietà privata per nessuno è un diritto inalienabile e assoluto. Nessuno ha la prerogativa di poter usare esclusivamente dei beni in suo vantaggio, oltre il bisogno, quando ci sono quelli che muoiono per non aver niente… anche noi privati, specialmente noi di chiesa, dobbiamo chiederci: abbiamo davvero compiuto il precetto di Gesù che ha detto ama il prossimo tuo come te stesso?».

È importante ricordare, inoltre, che in concomitanza con l’elezione di Giovanni Paolo I il periodico O.P. diretto da Mino Pecorelli pubblicò un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla massoneria. Tra questi nomi c’erano proprio Jean Villot (matricola 041/3, iniziato a Zurigo il 6/8/66, nome in codice Jeanni), Paul Marcinkus (matricola 43/649, iniziato il 21/8/67, nome in codice Marpa), ma anche Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano), il vicedirettore de ‘L’osservatore Romano’ don Virgilio Levi e Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana).

Nel 2008 nel memoriale del pentito di Cosa Nostra Vincenzo Calcara in merito alle rivelazioni fatte a Paolo Borsellino, raccontò che sarebbe venuto a conoscenza di una congiura di quattro cardinali (Jean-Marie Villot, Pasquale Macchi, Giovanni Benelli e un certo Gianvio), tutti membri dell'Ordine del Santo Sepolcro, al fine di uccidere il papa “con una gran quantità di gocce di calmante, con l'aiuto del suo medico personale”.

L'idea rivoluzionaria di Luciani era di «distribuire il 90% delle ricchezze in diverse parti del mondo, costruendo case, scuole, ospedali etc., dopodiché il 10% dei restanti beni sarebbe stato affidato, per i bisogni della Chiesa, allo Stato italiano». Un’idea che, com’è evidente, non avrebbe trovato molto probabilmente l’avallo della gerarchia dello IOR.

Il vero mistero nell’intera vicenda di Albino Luciani forse non risiede tanto e integralmente nella sua morte ma piuttosto nel motivo della sua elezione a papa. Sembrava un destino già segnato e del quale lo stesso pontefice aveva, forse, piena consapevolezza quando affermava dinanzi ai cardinali: «Spero che, i miei confratelli cardinali aiuteranno questo povero Cristo, Vicario di Cristo a portare la croce con la loro collaborazione di cui io sento tanto il bisogno». L’espressione “povero Cristo” fece molto scalpore, ma forse aveva in sé una carica profetica che trovava una sponda anche nel vaticinio dei motti della celebre profezia di Malachia, dalla quale risulterebbe assegnato a Giovanni Paolo I il motto “De medietate Lunae; questo potrebbe essere interpretato come “il tempo medio d'una luna”. Risulterebbe, dunque, molto evidente il riferimento alla durata del pontificato di soli 33 giorni, paragonabile proprio al tempo di una fase lunare, ma allo stesso tempo lascia nell’ombra, quasi come una firma, il significato massonico proprio del numero 33: gli anni di Cristo, i giorni di un “povero Cristo” e il simbolo numerico per eccellenza dei poteri occulti.