Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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Sogno e realtà: sono le due dimensioni tra le quali oscilla ogni individuo, costantemente, sin dalla nascita e in particolare in tenera età quando s’iniziano ad ascoltare le favole, ossia la prima forma di astrazione dalla realtà nel tentativo di tendere al sogno e alla pura fantasia. Tra le favole che maggiormente stimolano questo processo c’è senza dubbio “Alice nel paese delle meraviglie” dello del britannico Charles Lutwidge Dodgson, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lewis Carroll: scrittore originale, fotografo e straordinario ideatore di indovinelli e sciarade inseriti anche nelle sue opere letterarie. Ha scritto libri di successo mondiale, solo apparentemente favole per intere generazioni di bambini, ma in realtà storie simboliche che parlano all’inconscio degli adulti che spesso nella loro supposta maturità confondono proprio sogno e realtà. “Un sogno non può essere realtà, ma chi decide cosa è e cosa non è?” dice il Cappellaio Matto nella recente trasposizione cinematografica di “Alice attraverso lo specchio”.
Alice attraverso lo specchio
Da pochi mesi è uscito nelle sale cinematografiche il film “Alice attraverso lo specchio” (titolo originario “Alice Through the Looking Glass”) prodotto dalla Walt Disney, diretto da James Bobin e interpretato da Mia Wasikowska, Johnny Depp, Anne Hathaway e Helena Bonham Carter. Il film è il sequel di “Alice in Wonderland” del 2010 ed è ispirato al romanzo “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”.
La protagonista Alice Kingsley, dopo tre anni trascorsi in un avventuroso viaggio in Cina come capitano al timone della nave ereditata dal padre, finalmente torna a Londra e scopre che il suo ex fidanzato, lord Hamish Ascot, ha ereditato il controllo della compagnia del defunto padre. Il signorotto complotta per costringere la madre di Alice a vendergli la nave in cambio della propria casa. Dopo uno scontro con la madre, Alice segue una farfalla che riconosce essere il Brucaliffo e, attraversando magicamente uno specchio, fa ritorno in quello che è definito il “Sottomondo”. Proprio in questa dimensione magica la ragazza incontra alcuni personaggi straordinari già presenti dell’altra avventura: la Regina Bianca, il Bianconiglio, Pincopanco e Pancopinco, il Ghiro, Bayard e lo Stregatto; sono proprio questi ad informarla che il Cappellaio è diventato triste e solitario. Alice, allora, gli fa visita e tenta di consolarlo per convincerlo che la sua famiglia, data per morta anni prima, in realtà è ancora viva ed è sopravvissuta all'attacco del Ciciarampa nel "giorno orristraziante".
Così la Regina Bianca suggerisce ad Alice di consultare il Tempo in persona per convincerlo a salvare la famiglia del Cappellaio. Nel palazzo del Tempo Alice si imbatte nella Cronosfera, un oggetto con il quale è possibile viaggiare attraverso il tempo; per Alice, ormai non più bambina, ha inizio una nuova avventura in un mondo fantastico.
Non solo una favola
In primo luogo si può notare che in questa avventura Alice è cresciuta e, dunque, non è la più bambina annoiata “costretta” a rifugiarsi in un mondo fantastico per rimediare alla monotonia della lettura di un libro. Non solo siamo al cospetto di Alice ormai adulta, ma questa ha addirittura un ruolo importante come quello di capitano di una nave, lavoro che all’epoca dell’ambientazione del romanzo è prettamente maschile. Nel “sottomondo” questa volta non accede per caso, ma con la consapevolezza di un adulto. Questi elementi denotano la volontà dell’autore di rimarcare un percorso iniziatico e di maturazione della protagonista. Se, quindi, nell’avventura precedente gli aspetti preminenti sono la stessa ambientazione fantastica e surreale e gli strani personaggi che la popolavano, nella seconda avventura, invece, l’attenzione si sposta decisamente sul cambiamento e sulla trasformazione; non a caso, perciò, l’elemento centrale che accompagna tutto il film è certamente il tempo e il suo inesorabile incedere. Se, quindi, la chiave di lettura del primo film è necessariamente la crescita interiore verso la maturità, in questa seconda pellicola, invece, la crescita ha un aspetto spirituale: Alice è già matura e deve ora confrontarsi con il mondo, con il cambiamento e con il tempo. Quest’ultimo si può misurare solo attraversandolo, da qui la necessità di viaggiare nel tempo: vecchio e inesplorato cruccio dell’essere umano. Un viaggio nel tempo e attraverso il tempo, ma anche dentro sé stessa attraverso lo specchio. “Il tempo è un padrone crudele” si dice nel film. Viaggiare nel tempo è essenzialmente l’atavico tentativo di modificare il corso delle cose e degli avvenimenti, ma soprattutto il tentativo di modificare l’immodificabile. “Si dice che il tempo sia nemico dell’uomo” recita il Signore del Tempo, comunque allo stesso tempo “non si può cambiare il passato ma si può imparare da esso”. Non a caso il Signore del Tempo viene identificato come un dio bizzarro ed è chiaro, dunque, il riferimento a Cronos. Questo allarga la prospettiva al sistema ontologico di riferimento. Come in “Alice nel paese delle meraviglie” anche nel recente film esiste un preciso riferimento esoterico relativamente al rapporto piccolo – grande, ossia al microcosmo e al macrocosmo. Infatti, non appena Alice attraversa lo specchio diventa piccolissima e allo stesso modo sono piccolissimi anche i membri della famiglia del Cappellaio Matto. Proprio quest’ultimo è un personaggio centrale ed è la rappresentazione simbolica e mediata di Mercurio e di Hermes. L'origine dell'espressione “Cappellaio Matto” viene solitamente associata con l'uso del mercurio nella lavorazione dei tessuti anche dei cappelli; tale sostanza poteva avere effetti deleteri sul sistema nervoso degli artigiani che lo maneggiavano. Non è un caso che nel film il trucco usato per il personaggio interpretato da Johnny Depp riprende aspetti sintomatici dell'avvelenamento da mercurio che, per esempio, si può desumere dalla presenza di macchie arancioni sulla pelle. Mercurio, inoltre, era il messaggero degli dei, dio protettore dei viaggi, della comunicazione, dell'inganno e della divinazione. Tra gli altri ruoli Hermes era anche il portatore dei sogni e il conduttore delle anime dei morti negli inferi. Si evidenzia, dunque, lo stretto rapporto tra il tempo e la morte fisica e spirituale.
Un altro elemento certamente caratteristico del film è il Brucaliffo che, sebbene appaia in poche scene e in particolare all’inizio e alla fine del film, ha una valenza esoterica notevole, non fosse altro per il fatto che il piano narrativo si apre verso il fantastico proprio nel momento in cui Alice lo insegue. Il Brucaliffo si presenta nelle vesti di una farfalla blu, “animale spirituale” simbolo per eccellenza della metamorfosi e del rinnovamento; rappresenta la possibilità concessa a ognuno essere umano di avere una seconda possibilità per superare un ostacolo o una prova. Dal punto di vista simbolico è importante notare le fasi della trasformazione di questo animale: senza interventi esterni, infatti, passa dalla condizione di bruco a quella di larva e infine di farfalla; questo processo rappresenta la trasformazione spirituale. Una credenza popolare greco-romana, inoltre, considerava la farfalla simbolo dell’anima che esce dal corpo. Il Brucaliffo è, dunque, la voce interiore, quella che ci guida verso un percorso di maturazione e quindi di introspezione e soprattutto di “riflessione”.
L’elemento centrale: lo specchio
Nelle opere di Carroll l’elemento comune è la dicotomia tra sogno e realtà e anche nel film viene messo in bene in evidenza, supportato dai sapienti e ben congegnati effetti speciali. Reale e surreale si confondono e si sovrappongono. Nel film, in particolare, tra i due stati si passa necessariamente proprio attraverso lo specchio. La scena di questo passaggio nel libro viene così descritta: “L'istante dopo, Alice passava attraverso lo specchio e vi saltava agilmente dentro. ’Che divertimento sarà, quando mi vedranno attraverso lo specchio e non potranno toccarmi!’. Poi cominciò a guardarsi intorno e notò che tutto ciò che poteva essere veduto dalla vecchia stanza era comune e poco interessante, ma che tutto il resto era completamente diverso”.
Lo specchio è certamente un elemento ricorrente nelle favole, basti pensare per esempio anche a Biancaneve e riveste una grande valenza esoterica e simbolica.
Tutto ciò che è atto a mostrare noi stessi a noi stessi induce a due differenti comportamenti: ritrarci o restare. Lo specchio, in tal senso, è un potente strumento di conoscenza o di punizione, un oggetto - ponte fra realtà e fantasia. La parola specchio deriva dal latino “speculum”, ossia “specere” (guardare, osservare). “Speculum” ha poi anche una correlazione con il termine “speculare” ossia esaminare con attenzione e scrutare oltre. Guardare oltre proprio come lo sguardo che diviene “veritas” quando riflette il dentro e “vanitas” quando diviene contemplazione di sé. Lo specchio è deformante per definizione: restituisce un’immagine inversa di quella reale, quindi irreale. Mettersi di fronte a uno specchio significa prendere coscienza del sé esteriore ed interiore in maniera assoluta; significa cioè conoscere sé stessi. Ogni conoscenza è un cammino verso e oltre sé stessi e questo reca necessariamente un dolore. L’elemento importante da notare è il capovolgimento della realtà e di “riflesso” di sé stessi, tipica per esempio dell’iniziazione massonica: lo specchio riflette la propria immagine esteriore, ma induce anche alla riflessione dei pensieri che, invece, è un lavoro interiore. Per tale motivo nell’iniziazione massonica troviamo la fase in cui l’iniziando trascorre del tempo in un “Gabinetto di Riflessione”, antistante il tempio massonico, ma separato dal medesimo, ove mediante la presenza di simboli posti all’interno, il soggetto stesso attua il capovolgimento del proprio stato.
Alice attraverso lo specchio rappresenta, dunque, tutto questo: una favola per adulti che indica in maniera mediata un percorso di crescita attraversando sé stessi e il tempo, perché come viene ribadito nel film “l’unica maniera di ottenere l’impossibile è pensare che sia possibile”.
«La cattedrale contiene nelle sue sculture e nella sua geometria l'alfabeto necessario per decifrare il libro di cui è l'incarnazione». Lo scrittore ed egittologo francese Christian Jacq descrive così quella che può essere considerata la struttura architettonica certamente più significativa e rappresentativa di un’epoca tanto buia quanto affascinante: il Medioevo. Le prime cattedrali gotiche hanno fatto la loro comparsa a cavallo dell’anno Mille, prima in Francia e poi nel resto d’Europa. La maggioranza degli storici dell'arte collegano il termine “gotico” ai Goti, additati dalla cultura classica romana come una civiltà assolutamente barbara e rozza. Una spiegazione differente è offerta, invece, da Fulcanelli, uno sconosciuto scrittore dell’inizio del secolo scorso, nel suo affascinante volume “I misteri delle cattedrali”: «L'art gotique altro non è che una deformazione ortografica della parola argotique, la cui omofonia è perfetta. La cattedrale, dunque, è un capolavoro d'art goth o d'argot. I dizionari definiscono la parola argot come il linguaggio particolare di tutti quegli individui che sono interessati a scambiarsi le proprie opinioni senza essere capiti dagli altri che stanno intorno».
L’origine delle cattedrali
Il termine “cattedrale” deriva dal latino “cathedra” e indica il sedile destinato all’autorità ecclesiastica del vescovo.
La diffusione delle cattedrali gotiche si concentra soprattutto intorno al XII secolo, con un aumento esponenziale e improvviso delle nuove costruzioni. Già in questa prima considerazione si estrinsecano il mistero e allo stesso tempo il fascino che alimentano la leggenda legate a queste strutture imponenti. In particolare, la loro diffusione avviene proprio nel periodo in cui i Templari ritornano in Francia dalla Terrasanta, dove avevano stabilito il loro quartier generale nel luogo in cui una volta sorgeva il Tempio di Salomone, un edificio dal grande fascino esoterico. Alcuni studiosi avanzano l'ipotesi secondo la quale furono proprio i Templari a far costruire le cattedrali, dopo aver ritrovato nei sotterranei del loro quartier generale le carte che contenevano i progetti e i principi armonici utilizzati per la costruzione del Tempio di Salomone, tramite le conoscenze iniziatiche del leggendario architetto Hiram e precise indicazioni contenute in alcuni versetti biblici.
Le cattedrali hanno dimensioni enormi rispetto alla singola persona e in rapporto all’apparato urbanistico dell’epoca. Oltre a una funzione prettamente religiosa, in alcuni casi erano anche il luogo di ritrovo per le pubbliche riunioni.
La cattedrale rappresenta ed esprime la ritrovata sicurezza materiale e spirituale dopo l’incubo catastrofista dell’anno Mille. Caratteristico e degno di nota è certamente il verticalismo e la spiccata propensione allo sviluppo in altezza verso il cielo, quasi a voler stabilire e ritrovare il contatto con il divino. Questa peculiarità si esprime in particolare tramite il campanile; questa struttura architettonica, introdotta già tra l’VIII e il IX secolo, viene valorizzata ulteriormente proprio nell’ambito dello sviluppo dell’arte gotica. Il campanile nello specifico rappresenta l’albero della vita: nella cultura medioevale a ogni raffigurazione corrisponde un significato più elevato, nascosto e simbolico. Molto spesso proprio lo stesso simbolismo è strettamente collegato al sacro e all’esoterismo. Lo stesso albero della vita, per esempio, richiama le conoscenze mistiche e cabalistiche.
Un altro elemento importante è certamente la luce, filtrata all’interno delle cattedrali attraverso le imponenti vetrate o i rosoni frontali. All’interno, così, si creavano ammalianti giochi di chiaro scuro sui pavimenti e sulle pareti, in alcuni casi in corrispondenza di date particolari come solstizi o equinozi.
Una funzione importante, inoltre, è quella didascalica ed educativa; infatti, le cattedrali rappresentano veri e propri libri di pietra per i fedeli. In particolare, spesso, rappresentavano delle forme di indottrinamento delle tematiche bibliche tramite le raffigurazioni dei racconti dello stesso libro.
La struttura
Molto probabilmente la maggior parte delle cattedrali sono state costruite su preesistenti luoghi “magici” ed energetici. Come altri edifici antichi (per esempio il Tempio di Salomone e Stonehenge) nelle cattedrali ritroviamo specifiche misure che fanno riferimento alla sezione aurea e sono inserite in una matrice geografica ben precisa: le cattedrali di Chartres, di Beauvais, di Amiens e di Reims si trovano, per esempio, tutte tra il 48° e il 49° parallelo. Un’altra funzione molto importante è quella astronomica; alcune cattedrali sono calendari di pietra con precisi riferimenti astronomici, in particolare alla costellazione della Vergine; ecco perché molte sono dedicate a “Nostra Signora”.
La struttura tipica della cattedrale ci riconduce a un parallelismo con la rappresentazione umana che santifica sé stesso votandosi a Dio: l’abside corrisponde al capo, la croce del transetto corrisponde alle braccia, la navata è, invece, il corpo e infine l’altare rappresenta il cuore.
La valenza simbolica della pietra da costruzione, inoltre, la pone in stretta connessione con il concetto della redenzione attraverso quattro tappe: incarnazione, passione, resurrezione e ascensione. La pietra viva, elemento primario per la costruzione, è paragonabile al corpo di Cristo e alla sua redenzione. Le tappe della redenzione sono assimilabili all’utilizzo della pietra per la costruzione: cavata, scolpita, costruita ed elevata.
In molte cattedrali gotiche, spesso, si ritrova nel punto di intersezione della navata con il transetto il tema del labirinto, come nel caso, per esempio, della cattedrale di Chartres. Proprio in questa cattedrale le varie parti della navata, del coro e del transetto sono in rapporto armonico tra loro e seguono la logica della scala musicale dell’ottava, studiata anche dalla scuola pitagorica. I maestri costruttori conoscevano, senza dubbio, tutti i rapporti dell’ottava musicale e l’applicavano geometricamente alle costruzioni.
Altro elemento importante è senza dubbio il rosone; spesso collocato in evidenza al centro della facciata o nella parte superiore. Il rosone è anche detto “ruota della fortuna” e simboleggia il mutare ciclico della sorte e del tempo, con l’alternarsi delle forze costruttive e distruttive. Il rosone avrebbe un collegamento diretto con il sole e in maniera più approfondita con la rosa e quindi con il femminino sacro e con la figura della Vergine. Generalmente il rosone ha sei, sette, otto e dodici petali: tutti numeri altamente simbolici e carichi di significato. A sei petali, per esempio, indica la stella a sei punte ovvero il cosiddetto” sigillo di Salomone”. A sette, invece, fa riferimento all’ordine settenario del cosmo e del tempo (sette giorni e sette direzioni dello spazio). A otto petali simboleggia la rigenerazione e il concetto della rinascita e dell’infinito. Infine, a dodici petali rappresenta il numero degli apostoli, i segni zodiacali e i mesi dell’anno.
Un tema ricorrente è senza dubbio il peccato e la continua soggezione che i fedeli dovevano provare nei confronti della religione e di riflesso quindi delle stesse gerarchie ecclesiastiche. L’altro tema fondamentale è il bestiario, ossia la raffigurazione di animali reali o fantastici con precisi significati esoterici. A questo bisogna aggiungere i lapidari e i florari, ancora una volta in chiave simbolica. In particolare, tra gli animali più raffigurati troviamo il pavone simbolo dell’immortalità, l’aquila emblema solare, l’agnello come animale sacrificale, l’ariete indicante l’ardore del creatore, la lepre come simbolo della lussuria e della fecondità, la salamandra strettamente collegata al fuoco, le api collegate alla diligenza e all’eloquenza, la colomba associata allo Spirito Santo, il gallo associato alla resurrezione e il leone che ci riconduce alla figura di Salomone e alla Vergine.
Gli aspetti esoterici
Come si può notare l’intera struttura classica della cattedrale nasconde una carica esoterica e simbolica notevole. Proprio a proposito, per esempio, delle numerose raffigurazione del leone, questo è strettamente connesso alla Vergine. È quindi importante notare come le cattedrali francesi dedicate proprio a "Nostra Signora”, cioè alla Vergine, non siano state costruite a caso, ma secondo un progetto unitario ben preciso, tendente a ricreare in terra un’immagine speculare della costellazione della Virgo o Vergine, in accordo con il famoso motto esoterico “come in cielo così in terra”.
Esiste, poi, di certo una contiguità tra la costruzione delle cattedrali e la massoneria che a sua volta si ricollega alla tradizione templare. Il rapporto simbolico della massoneria con la pietra si può rintracciare in primo luogo nella locuzione “free stone” che in Inghilterra rappresentava una pietra particolarmente adatta a essere modellata dallo scultore e dal costruttore. Questo in ambito massonico indica il lavoro di levigazione che dovrebbe ricevere l’anima grezza dell’iniziato. Non a caso proprio con la comparsa delle prime cattedrali si stabilizza la figura del maestro con funzioni di ingegnere, architetto e direttore dei lavori. Una figura, quella del maestro, presente anche all’interno delle logge massoniche. Da notare, inoltre, che proprio la massoneria ha come entità di riferimento “il grande architetto” che è un richiamo diretto alla costruzione materiale e simbolica.
Come detto le cattedrali servivano anche per le riunioni, in particolar modo delle corporazioni dei mestieri medievali; essi si riunivano in un ambiente riservato del cantiere di costruzione detta “loggia”, termine questo poi mantenuto anche in seno alla massoneria e indicante proprio il luogo per le riunioni dei fratelli massoni.
La cattedrale rappresenta anche la summa della sapienza alchemica. Esiste, infatti, una relazione diretta tra la pietra filosofale e la pietra angolare: i costruttori simbolicamente erigevano le cattedrali tenendo conto della pietra angolare sulla quale Gesù ha costruito la sua chiesa. Da notare che la pietra filosofale è detta anche “pietra maestro d’angolo” o semplicemente “angolare”.
Secondo Fulcanelli la costruzione in epoca medievale delle grandi cattedrali gotiche ha permesso a un sapere antichissimo di prendere corpo e immagine nella pietra, nel legno e nelle vetrate; i colori di queste ultime, per esempio, erano trattati alchemicamente e servivano per rappresentare i simboli della fede cristiana e della cabala. Per esempio, la parte inferiore del portale chiamato del “Giudizio Universale” nella facciata di Notre-Dame di Parigi, contiene precisi riferimenti alla simbologia alchemica: vi compaiono, tra le altre cose, l’athanor (il forno o crogiuolo degli alchimisti), una donna che addita un corvo (che simboleggia lo stato iniziale dell’opera alchemica) e un cavaliere che addita un leone (elemento fisso dello zolfo).
Ecco perché, riprendendo la dichiarazione iniziale, Jacq sentenzia: «Libro aperto, perché offerto agli occhi di tutti; libro chiuso, perché il nostro pensiero e la nostra vita devono essere in armonia con il messaggio della cattedrale, se vogliamo riuscire a percepirlo».
“Non so di nessun altro uomo che abbia avuto altrettanta influenza nella sfera del pensiero”. Bertrand Russell, uno dei filosofi più autorevoli del secolo scorso, si esprimeva in questi termini a proposito di Pitagora. Definire in maniera esaustiva la sua figura è impresa ardua: matematico, scienziato, filosofo, politico, astronomo e taumaturgo. Una personalità poliedrica e complessa le cui tracce si perdono a metà strada tra il mito e la storia. Il suo nome è associato alla tabella pitagorica al suo teorema, ma certamente è un punto di riferimento della cultura occidentale, essenzialmente un iniziatore, un innovatore e uno studioso degli elementi fondanti e fondamentali dell’esoterismo. Un personaggio, dunque, particolare e unico al limite della leggenda.
Chi era Pitagora
Nato a Samo, un'isola greca dell'Egeo orientale nel 570 a.C. circa, della sua vita privata si conosce ben poco e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca successiva. Secondo la tradizione il padre era un cittadino facoltoso di nome Mnesarco. In un’opera di Apollonio è citato anche il nome della madre, una certa Pithaide.
Ancora bambino è stato avviato dal padre agli studi della musica e della pittura. In età adolescenziale si è recato a Mileto dal maestro Anassimandro dal quale ha ricevuto le prime nozioni di geometria e astronomia. Molto probabilmente ha studiato in maniera approfondita le conoscenze matematiche degli Egizi, dei Caldei, dei Fenici e dei Babilonesi. Da questi, in particolare, ha appreso le arti magiche e le nozioni esoteriche. Da Samo, poi, si è trasferito nella Magna Grecia.
A Crotone, all'incirca nel 530 a.C., ha fondato la cosiddetta scuola pitagorica. Il trasferimento è stato dovuto molto probabilmente a cause politiche in quanto si schierò duramente contro la tirannide di Policrate. Si sposò con Teano, dalla quale ebbe tre figli: due maschi (Arimnesto e Telauge) e una femmina (Damo).
Morì a Metaponto, località lucana sullo Ionio, nel 495 a.C. circa.
Tutta la sua vita è ammantata da un singolare alone di mistero. Per esempio si narra che in un solo giorno, secondo la testimonianza di alcuni biografi del mondo antico, egli si incontrò e si intrattenne pubblicamente, a Metaponto e a Tauromenio in Sicilia, con i discepoli delle due città. Si racconta, inoltre, che prevedeva infallibilmente i terremoti, lo scoppio di epidemie, arrestava le bufere di vento, impediva le inondazioni, sedava la furia di mari e di fiumi per permettere il facile passaggio dei suoi discepoli. Egli era in grado di placare per mezzo dell’utilizzo di alcuni suoni, di canti e di incantesimi le sofferenze sia dell'anima sia del corpo. Pitagora è tradizionalmente considerato l'iniziatore del vegetarianismo in occidente e legava questa pratica alle sue ben radicate credenze sulla metempsicosi.
Nel periodo del tardo neoplatonismo è stato presentato come figlio del dio Apollo. Secondo la leggenda, infatti, il nome risalirebbe etimologicamente a una parola che significherebbe "annunciatore del Pizio", cioè proprio del dio Apollo; altre fonti lo farebbero risalire al verbo "persuadere" quindi implicitamente a "colui che persuade la piazza".
Si giunse così a considerarlo profeta, guaritore, mago e ad attribuirgli veri e propri miracoli.
Quasi sicuramente Pitagora non ha lasciato nulla di scritto pur avendo composto un libro dal titolo “Hieros logos” che però è arrivato a noi tramite le citazioni fatte da alcuni filosofi vissuti in epoche successive. La trasmissione delle conoscenze pitagoriche è avvenuta essenzialmente per via orale tramite la scuola fondata e strutturata proprio dal maestro.
La scuola pitagorica
Il nome di Pitagora è strettamente legato alla costituzione della scuola di pensiero omonima, dove si prestava particolare attenzione alle nozioni matematiche e nella quale fu elaborato proprio il famoso teorema di Pitagora. Oltre a questo aspetto egli si è occupato anche di filosofia, strutturando un proprio pensiero e mutuando alcuni aspetti dall’orfismo. Alcuni attribuiscono a Pitagora addirittura la paternità del termine "filosofia". La novità del pensiero di Pitagora rispetto all'orfismo è rappresentata dal fatto che la conoscenza è intesa come strumento di purificazione; l'ignoranza è ritenuta una colpa dalla quale ci si libera solo con il sapere. Un approccio certamente innovativo e moderno rispetto al tempo in cui viveva. In seno alla sua scuola era presente una distinzione tra i discepoli detti "Matematici" e quelli "Acusmatici" (da “akousma”, ossia detto orale). I primi costituivano la cerchia più stretta detta “eteria”: vivevano nella scuola, erano celibi, non mangiavano carne e potevano interagire con il maestro. Gli altri, invece, doveva prima seguire un percorso di studi dai tre ai cinque anni. L'insegnamento pitagorico aveva un aspetto mistico-religioso consistente in un addottrinamento dogmatico, secondo il noto motto della scuola “ipse dixit” (“lo ha detto lui”). L'aspetto mistico della trasmissione della conoscenza nasceva dalla convinzione che la scienza libera l’essere umano dall'errore; quindi, attraverso il sapere ci si liberava dal peccato dell'ignoranza, ci si purificava e ci si avvicinava a Dio, l'unico che possedeva tutta intera la verità.
La scuola poteva essere frequentata anche dalle donne e offriva due tipi di lezioni: pubbliche e private. Durante quelle pubbliche, seguite dalla gente comune, il maestro spiegava nel modo più semplice possibile, così che fosse comprensibile a tutti. Quelle private erano, invece, di più alto livello e venivano seguite prevalentemente da eletti iniziati agli studi matematici. Secondo alcuni usi ereditati dall’orfismo i membri indossavano vesti di lino bianco e seguivano giornalmente esercizi fisici, facevano passeggiate e si dedicavano al canto e al ballo. Praticavano, inoltre, bagni e lustrazioni a scopo purificatorio.
Le lezioni si tenevano nella "Casa delle Muse", un imponente tempio all'interno delle mura cittadine; l’edificio era in marmo bianco, circondato da giardini e portici.
Le tradizioni pitagoriche sono state poi ereditate da una parte della massoneria. Il silenzio imposto per esempio agli allievi è lo stesso che viene richiesto agli iniziati che entrano nel primo grado della massoneria. Esiste oltremodo una profonda contiguità del pitagorismo con il mondo massonico.
Un altro aspetto molto importante era lo studio della medicina. Pitagora ribadiva spesso il concetto che la buona salute fosse armonia, invece la malattia fosse disarmonia. Quindi l'obiettivo principale della medicina pitagorica era di ristabilire l'armonia tra il proprio corpo e l'universo. Queste conoscenze erano in linea con l’impostazione dualistica della scuola: anima e corpo dovevano restare costantemente in equilibrio, sebbene la parte nobile fosse considerata l’anima, mentre il corpo la parte inibitoria, materiale e pesante. Questa impostazione teorica richiamava da vicino quella del taoismo, incarnata nella struttura bipolare dello yin e dello yang.
I pitagorici sono stati anche i primi a ipotizzare che la terra non fosse piatta, anticipando di molti secoli le intuizioni di Galileo.
L’enorme impianto nozionistico di Pitagora può essere suddiviso in conoscenze essoteriche, ossia accessibili a tutti e conoscenze esoteriche, riservate invece agli adepti.
Gli insegnamenti esoterici
Un aspetto certamente importante della scuola pitagorica è quello esoterico e in particolare le modalità di trasmissione delle conoscenze segrete. La saggezza pitagorica era rappresentata da un simbolo ben preciso: una Y (maiuscola). Era definito “albero pitagorico” e inteso simbolicamente come bivio della virtù e del piacere nella scelta iniziatica tra la via profana e quella della conoscenza illuminante. Richiamava, inoltre, l’ultima lettera dell’alfabeto greco arcaico. Anche in questo caso ritorna l’impostazione dualistica.
Le conoscenze esoteriche facevano riferimento in primo luogo allo studio della musica e delle note; a lui quasi sicuramente si deve l’invenzione della scala musicale e il concetto di divisione dell’ottava. Ha condotto studi approfonditi sulle pratiche per la purificazione del corpo e dell’anima attraverso la musica e in particolare l’utilizzo dei suoni e della frequenza dell’onda acustica. Concetti questi che sono stati studiati, anche in ambito della medicina alternativa, con un certo approfondimento solo in epoca moderna. La musica era considerata, dunque, una chiave di accesso al sovrannaturale.
Il nocciolo duro dello studio esoterico pitagorico era senza dubbio la geometria e la matematica, creando, di fatto, una nuova scuola di pensiero denominata “teogonia”. Secondo questa visione esisteva una corrispondenza tra matematica e geometria che si esprimeva nelle seguenti equivalenze: l'uno era il punto, il due la linea, il tre la superficie e il quattro il solido.
Seguendo questa impostazione arrivò a formulare l'importante teoria della tetraktys. Etimologicamente il termine significa "numero triangolare". Essa è rappresentata come un triangolo alla cui base sono raffigurati quattro punti sulla stessa riga, tre nella successiva, due nella penultima e infine il punto culminante; la somma di tutti i punti è dieci, il numero perfetto composto dalla somma dei primi 4 numeri (1+2+3+4=10). La tetraktys, inoltre, aveva un carattere sacro poiché gli stessi pitagorici giuravano su di essa. Era fondamentalmente il modello teorico della loro visione dell'universo: un mondo non dominato dal caos delle forze oscure, ma da numeri, dall’armonia e dai rapporti numerici e geometrici. Si noti, inoltre, la struttura piramidale della figura e tutte le sue implicazioni esoteriche.
Secondo i pitagorici, inoltre, esisteva una coppia di principi: L’Uno o principio limitante e la Diade o principio di illimitazione. Nello specifico la “Monade” indicava l'Uno: il principio primo e geometricamente rappresentava il punto. La “Diade”, invece, era il principio femminile, indefinito e illimitato e rappresentava geometricamente la linea. La Monade rappresentava l’essenza di Dio, mentre la Diade il suo potere generatore. L’uomo era concepito in una dimensione ternaria: corpo, mente e anima. Lo spirito aveva preso da Dio la sua natura immortale, invisibile e attiva, mentre il corpo era la parte mortale, visibile e passiva. L’anima, infine, era strettamente legata allo spirito tramite un fluido cosmico.
La “Triade” era maschile, definita e limitata; geometricamente rappresentava il piano. La “Tetrade”, invece, rappresentava la giustizia, in quanto divisibile equamente da entrambe le parti; geometricamente rappresentava una figura solida. Molto importante e degna di nota è la “Pentade” ossia la rappresentazione della vita e del potere. Proprio per questo la stella iscritta nel pentagono, infatti, era proprio il simbolo dei pitagorici. Particolarmente importante era considerato il numero cinque detto anche “pentalfa”. Questo era proprio il numero connesso all’essere umano: indicava la volontà di riunire, per mezzo dell’anima cosciente, il cielo e la terra, lo spirito e la materia, dando significato alla creazione. Il numero cinque era anche il numero divino per antonomasia e racchiudeva nella proporzione aurea (il numero sacro 1,618) il segreto della creazione universale.
Infine la “Decade” rappresentava il numero perfetto. Infatti, secondo la loro concezione astronomica dieci erano i pianeti e proprio questo numero veniva sintetizzato con la tetraktys.
In sintesi, dunque, il numero era considerato archetipo fondante di tutto. Una visione matematica per spiegare l’armonia del mondo.