Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Pauperes commilitones Christi templique Salomonis».
Così erano chiamati i cosiddetti «Poveri compagni d'armi di Cristo e del tempio di Salomone». Ma chi erano effettivamente? Dietro questa denominazione che nasconde un ossimoro nell’espressione “compagni d'armi di Cristo” si fa riferimento storicamente ai ben più noti Cavalieri Templari. La loro storia è un esempio affascinante di come un fatto storico si mescoli al mistero sfumandone i contorni. Sui Templari, infatti, sono stati scritti fiumi di inchiostro che sfociano in un mare profondo fatto di congetture, ipotesi e supposizioni spesso anche poco oltre il limite di fantasiose tesi complottistiche senza però solide basi storiche documentabili. Il fascino misterioso legato a questo ordine è proprio legato al contesto storico e alle vicende dei valorosi cavalieri che in verità si perdono nella memoria di un tempo lontanissimo da noi, ma forse proprio per questo così interessante.
I Cavalieri Templari sono stati uno dei primi ordini religiosi cavallereschi cristiani medievali a dotarsi di un’organizzazione strutturata e duratura nel tempo. A metà strada tra storia e leggenda l’ordine si costituì per volontà di un pugno di cavalieri che decise di fondare il nucleo originario, ma l’ufficializzazione avvenne solo nel 1129, assumendo la regola monastica con l'appoggio di Bernardo di Chiaravalle. I membri assunsero, quindi, da subito un doppio ruolo di monaci e combattenti: una caratteristica distintiva se non unica. L’ordine aumentò in breve tempo notevolmente il suo potere tanto addirittura da inimicarsi il re di Francia Filippo il Bello e dopo un drammatico processo iniziato nel 1307 fu definitivamente soppresso nel 1312 a seguito della bolla "Vox in excelso" di papa Clemente V. L’avversione del re di Francia per i Templari era dettata dal fatto che voleva mettere le mani sulle ricchezze accumulate per arginare le ristrettezze economiche causate della politica espansionistica dello stesso sovrano capetingio. Senza alcuna remora, il re attuò il suo proposito accusando l’ordine di assumere comportamenti antireligiosi gravissimi: rinnegamento di Cristo, oltraggio della croce, baciare il precettore sulla bocca, sull’ombelico e sul sedere, non negarsi carnalmente ai fratelli e addirittura l’adorazione di un idolo con la barba caprina.
La storia dei Templari è un concentrato di misteri sin dalla sua costituzione: nacque molto probabilmente nel 1118 ufficialmente per proteggere i pellegrini che si recavano in Terrasanta, ma anche come milizia armata per arginare l’avanzata dei musulmani.
La fondazione dell’ordine
La nascita dell'ordine templare è da collocarsi in Terrasanta nel periodo a cavallo della prima crociata indetta da Urbano II nel 1096. Nel 1099 i cristiani riconquistarono a fatica la Terrasanta che nel frattempo era caduta nelle mani dei musulmani. La mancanza di documenti coevi rende impossibile l'esatta ricostruzione dei primi anni di attività. Dunque è solo possibile impostare la ricerca attraverso ipotesi e supposizioni, basate sui diversi documenti successivi. Per esempio in alcune righe scritte nel 1184 Guglielmo di Tiro descriveva i primi anni di attività dei pauperes milites Christi: «Nello anno (1118), alcuni nobili cavalieri, pieni di devozione per Dio, religiosi e timorati di Dio, rimettendosi nelle mani del signore patriarca per servire Cristo, professarono di voler vivere perpetuamente secondo le consuetudini delle regole dei canonici, osservando la castità e l'obbedienza e rifiutando ogni proprietà. Tra loro i primi e i principali furono questi due uomini venerabili, Hugues de Payns e Goffredo di Santo Aldemaro…». In questo documento si faceva cenno forse per la prima volta ai fondatori: Hugues de Payns e Goffredo di Santo Aldemaro. In merito al numero esatto dei cavalieri che inizialmente vi aderirono è oggetto di discussione e supposizioni tra i vari studiosi dell’argomento. Mentre il testo della Regola parlava di sei cavalieri, la tradizione fa riferimento invece a nove cavalieri, ma tale numero potrebbe avere un significato soprattutto allegorico e simbolico.
Nei primissimi anni di attività l'ordine approdò anche nel Regno di Sicilia, ma fu l’entroterra e in particolare la Puglia la regione italiana che prima tra tutte accolse le domus gerosolimitane rosso-crociate grazie all'importanza strategica e commerciale dei suoi porti e delle sue città. Tra le prime fondazioni dell'ordine, oltre quella di Trani, vanno ricordate le case di Molfetta, Minervino Murge, ma anche Barletta, Brindisi, Bari, Andria e Matera.
L'ordine, in ogni caso, assunse reale importanza solo a partire dal 1126 in seguito al viaggio compiuto in Europa dal maestro reggente nonché fondatore e contestualmente proprio in questo periodo iniziarono a pervenire donazioni e lasciti che progressivamente consolidarono notevolmente la potenza economica del sodalizio.
Chi era effettivamente il suo fondatore? Quali erano le sue origini?
Il misterioso Hugues de Payens
Da diverso tempo gli studiosi discutono in merito alla provenienza e alla reale identità del fondatore dei Templari. A questo punto la storia si fa misteriosa e affascinante. Hugues De Payns, secondo alcuni studiosi, nacque a Payns in Francia a circa dieci chilometri da Troyes nella regione della Champagne-Ardenne. Era un cavaliere signore della media aristocrazia e aveva stretti legami con i signori di Troyes; questa ipotesi è corroborata dal fatto che la sua firma appare in alcuni atti del conte di Champagne insieme a quella di altri signori locali. Sembrerebbe, inoltre, imparentato con i Montbard ossia la famiglia della madre di San Bernardo che come abbiamo visto ha avuto un ruolo importante nella costituzione dello stesso ordine. Molto probabilmente partecipò anche alla prima crociata al fianco di Goffredo di Buglione.
Secondo lo storico tedesco Hiestand, l’ordine fu fondato da lui e da Goffredo di Saint-Omer insieme ad altri sette cavalieri, due dei quali fratelli e tutti parenti per sangue o matrimonio. I nomi degli altri cavalieri fondatori erano Payen de Montdidier, Archambaud de Saint-Amand, André de Montbard, Geoffrey Bison e altri due riportati solo con i nomi di Rossal e Gondemar. Il nome del nono cavaliere, invece, resta sconosciuto.
Il 13 gennaio 1129, su sua richiesta, si riunì il Concilio di Troyes che stabilì la Regola dell'Ordine. San Bernardo di Chiaravalle consacrò l'ordine, diventandone così il riferimento spirituale e siglando la celebre “De laude novae militiae” che prevedeva, tra le altre cose, la pratica della povertà, della castità e dell’obbedienza. Hugues per assumere pienamente la guida dei suoi cavalieri, abbandonò la moglie e prese gli stessi voti degli altri cavalieri.
Condusse l'Ordine dei Templari in qualità di maestro per 16 anni fino alla propria morte, avvenuta nel 1136 in Palestina.
Uno storico del Seicento, Marco Antonio Guarini, sostiene che Hugues de Payns sia sepolto nella chiesa di San Giacomo a Ferrara.
Ipotesi sulla provenienza
La provenienza e l’origine francese non è universalmente e unanimemente accettata in ambito storico e accademico. La tradizione ritiene, anche per la considerazione che la maggioranza dei Templari fossero francesi, che l’iniziatore e primo Gran Maestro dell’Ordine fosse, come abbiamo visto, anche egli francese.
Esisterebbe però una missiva nel 1103 partita da Gerusalemme e indirizzata allo zio Leonardo Amarelli di Rossano Calabro dove si comunicava la morte del valoroso cugino Alessandro che potrebbe indirizzare l’indagine storica in altre direzioni. In particolare Mario Moiraghi nel suo libro del 2005 dal titolo “L’italiano che fondò i Templari. Hugo de Paganis, cavaliere di Campania” avanza la tesi secondo la quale il fondatore non sarebbe, come ritenuto dalla storiografia ufficiale, il francese Hugues de Payns (o Payens), ma un italiano ovvero un lucano di Forenza, piccolo centro in provincia di Potenza e figlio dei signori Pagano e Emma de Paganis, nobili salernitani trasferiti in Lucania. L’autore inoltre sostiene che l’ordine templare non fu fondato nel 1118, come si è sempre ritenuto da parte degli storici, ma qualche anno dopo il 1100 come testimonierebbe proprio la lettera del 1103 inviata, come abbiamo visto, a Leonardo Amarelli di Rossano Calabro. A Nocera esisterebbe ancora la famiglia Pagani di nobili natali che risulterebbe imparentata proprio con gli Amarelli di Rossano Calabro.
Già nel 1610 lo storico Filiberto Campanile sosteneva che Hugo fosse nato a Nocera dei Pagani in Campania (non molto distante proprio da Forenza e comunque ricadente nel medesimo territorio di competenza) e discendesse da un tale Albertino di Bretagna.
L’appropriazione da parte dei francesi delle origini del fondatore sarebbe dovuta alla falsificazione dei testi da parte del cronista Guglielmo di Tiro in seguito alla trascrizione delle cronache dal latino al francese: in questo modo Hugo de Paganis divenne il francese Hugues de Payns.
Sta di fatto comunque che la presenza dei Templari in Basilicata è un fatto quasi certo se si pensa che questa terra può essere considerata sede strategica e luogo di ristoro morale e spirituale per le truppe che parteciparono alla prima crociata nel 1095, promossa Papa Urbano II di Cluny che per sei anni soggiornò nella cittadina lucana di Banzi e alla sesta crociata nel 1227 quando l'Arcivescovo della Cattedrale di Acerenza, Padre Andrea, collaborò con Federico II per l'organizzazione della spedizione. Sembrerebbero, questi, indizi importanti che farebbero propendere per la tesi dell’origine lucana del fondatore dell’ordine.
A metà strada tra il sentire religioso e il fervore militare i templari hanno anticipato di molti secoli e incarnato, in chiave però cristiana, la guerra santa e giusta contro un nemico con un altro credo religioso sebbene in un contesto storico certamente differente.
Nell prologo di “De laude novae militiae” redatto da San Bernardo lo stesso esortava Hugo a continuare la sua virtuosa battaglia e si rivolgeva direttamente a lui dicendo: «Bernardo, abate di Chiaravalle solo di nome, a Hugo, soldato di Cristo e Maestro della milizia di Cristo: Combatti la tua giusta battaglia. Se non ricordo male, tu, Hugo carissimo, per una prima, una seconda e una terza volta mi hai chiesto di scrivere un sermone di esortazione, per te e per i tuoi compagni. Poiché non mi è lecito vibrare colpi di lancia, contro un potere ostile, mi chiedesti di vibrare colpi di penna, dicendo che non sarebbe stato di piccolo aiuto, se avessi potuto incoraggiare con le parole ciò che era consentito animare con le armi».
«Washington è una città di efficienza meridionale e di fascino settentrionale». La citazione di John Fitzgerald Kennedy tratteggia con poche parole l’atmosfera tipica della città americana per antonomasia, sebbene con un canone invertito rispetto ai nostri concetti tipici di “meridionale” e “settentrionale”. Una città istituzionale ma allo stesso tempo specchio fedele delle contraddizioni tipiche della modernità e della cultura occidentale di cui l’America è certamente la rappresentazione più evidente.
Gli Stati Uniti d’America rappresentano nell’immaginario collettivo una nazione relativamente moderna dove non si respira il profumo antico dell’arte e della cultura sedimentato nel corso dei secoli, come per esempio nelle grandi città del vecchio continente.
Le città americane, tra cui anche Washington, sono città moderne costruite, non più tardi di due secoli fa, con criteri urbanistici precisi e funzionali; pertanto non hanno subìto le modifiche e le stratificazioni urbanistiche e storiche tipiche delle città europee. Vale, però, anche per esse un assioma fondamentale e universale: la storia e le città le fanno i potenti e i vincitori. A questo presupposto non si sottrae neanche la città di Washington che sin dalla sua costituzione ha seguito logiche che solo apparentemente sono riconducibili a stringenti concetti urbanistici ma che in realtà nascondono ben altro per esempio nella disposizione dei monumenti più importanti e nella stessa struttura di origine e di espansione della pianta della città.
Uno sguardo sulla capitale
Washington D.C. è la capitale degli Stati Uniti d'America e il suo territorio coincide a livello legislativo con il Distretto di Columbia. Conta una popolazione di oltre 670mila abitanti e si trova sulla costa orientale a sud dello stato del Maryland e a nord dello stato della Virginia.
Nella città sono concentrate le principali istituzioni del governo degli Stati Uniti, molti ministeri ed enti federali e alcune organizzazioni internazionali tra cui la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
La città è delimitata da Boundary Street a nord (rinominato Florida Avenue nel 1890), Rock Creek a ovest e dal fiume Anacostia a est. Alcune strade sono particolarmente degne di nota, come per esempio la Pennsylvania Avenue che collega la Casa Bianca al Campidoglio degli Stati Uniti e la K Street che ospita gli uffici di molti gruppi finanziari di potere a livello internazionale.
Washington è una città esteticamente molto variegata proprio perché registra la presenza di monumenti stilisticamente abbastanza diversificati; tra questi per esempio possiamo ricordare: la Casa Bianca, la Washington National Cathedral, il Jefferson Memorial, il Campidoglio degli Stati Uniti, il Lincoln Memorial e il Vietnam Veterans Memorial. Questi riflettono vari stili architettonici: neoclassico, georgiano, neogotico e moderno.
Eppure, la disposizione urbanistica, la collocazione e il significato stesso dei monumenti della città a una lettura più approfondita nascondono qualcosa di particolare; tutto è riconducibile alla figura storica che ha pensato, presenziato e voluto la nascita della città, tanto da avere il medesimo nome.
George Washington
George Washington nasce in Virginia e precisamente a Bridges Creek il 22 febbraio 1732. Può essere considerato il politico più importante della storia americana. È stato comandante in capo dell'esercito continentale durante tutta la guerra di indipendenza americana ed è divenuto in seguito il primo Presidente degli Stati Uniti d'America dal 1789 al 1797, ricoprendo anche la carica di presidente della Convenzione per la Costituzione nel 1787.
Il suo volto è ritratto sul Monte Rushmore insieme a quello di Abraham Lincoln, Thomas Jefferson e Theodore Roosevelt.
Sin dalla tenera età si è dimostrato subito molto portato per le materie scientifiche; questa propensione lo ha spinto probabilmente a intraprendere gli studi di geometra-agrimensore. Infatti dal 1749 ha lavorato per un certo periodo come agrimensore nei pressi di Shenandoah in Pennsylvania. Del suo lavoro come perito restano alcune carte topografiche da lui compilate che denotano la grande passione e maestria nel campo della nascente scienza urbanistica. Della sua vita privata restano poche tracce in quanto tutti gli anni più importanti li ha dedicati al servizio alla nazione: egli stesso ha definito i suoi incarichi politici non come un privilegio, bensì come un dovere al quale si sarebbe sottratto volentieri.
Ritiratosi a Mount Vernon dopo aver abbandonato la scena pubblica definitivamente, morì nel dicembre 1799.
Washington ha influenzato in modo decisivo la scelta di dove erigere la nuova capitale. Fino al 1790 era stata New York la capitale degli Stati Uniti per poi divenire nuovamente Filadelfia. Quando si tentò di prendere una decisione definitiva su quale città dovesse divenire la capitale, a causa dei forti interessi economici in gioco, si creò un contenzioso di tali proporzioni tra i singoli stati che determinò una paralisi istituzionale. Nel 1790 per porre fine a questa situazione il Congresso deliberò il Residence Act con il quale si decise la costruzione di una nuova città al di fuori del territorio di uno degli stati federali.
L'incarico di progettare la nuova città fu quindi assegnato da Washington in persona all'architetto francese Pierre Charles L'Enfant che avviò i lavori nel 1791 per terminarli grosso modo nove anni più tardi. Washington D.C. divenne definitivamente la capitale degli Stati Uniti solo nel 1801, due anni dopo la morte di Washington, prendendone di fatto il suo nome.
Nella progettazione ma poi anche nelle prime fasi dell’edificazione della città alcuni riferimenti ideologici e intellettuali propri dello stesso Washington giocarono un ruolo importante e influenzarono profondamente i lavori anche dopo la morte del presidente, dando alla città una connotazione marcatamente simbolica ed esoterica.
Washington città massonica
George Washington può essere considerato anche uno dei principali esponenti della massoneria americana. Il 4 novembre 1752 è stato iniziato nella Loggia "Fredericksburg" in Virginia assumendo il ruolo di Maestro dopo poco meno di un anno. Nel 1779 gli è stato proposto il titolo di "Primo Worshipful Master" (Gran Maestro) della neonata Gran Loggia per tutti i Paesi del Commonwealth, ma rifiutò la carica perché preferì occuparsi dei problemi militari. Nell'aprile del 1788 è stato eletto invece Maestro Venerabile della Loggia di Alexandria in Virginia e l’anno successivo gli è stato conferito il titolo di Gran Maestro, carica che mantenne ed esercitò fino alla sua morte.
Quasi sicuramente è proprio l’appartenenza alla massoneria a creare i presupposti affinché l’edificazione della nuova città avesse dei riferimenti simbolici ed esoterici che facevano riferimento proprio a tale appartenenza.
Ci sono alcuni elementi urbanistici che fanno di Washington una città massonica per eccellenza.
Sin dall’antichità in molte culture la cerimonia della posa della prima pietra o comunque la costruzione di un nuovo monumento rappresentavano un momento importante soprattutto con la funzione propiziatoria e benevola nei confronti delle divinità. Tale prassi ovviamente è ben conosciuta e praticata anche dai massoni di alto rango come era per esempio Washington.
L'edificazione della città è stata organizzata in maniera quasi scientifica e si è pensato in primo luogo di edificare il simbolo stesso del potere, ovvero il Campidoglio. La prima pietra è stata posta il 18 settembre 1793 (giorno dell’equinozio di autunno) da George Washington in persona con i paramenti massonici delle cerimonie accompagnato inoltre dai maggiori esponenti della massoneria del tempo. In particolare per quanto riguarda il periodo dell'equinozio d'autunno questo può essere considerato un momento evocativo e carico di significati: in passato tale giorno veniva identificato come Michaelmas o Michael Supremo, ossia il giorno dedicato all'arcangelo di fuoco e di luce alter-ego di Lucifero. In sostanza l’equinozio di autunno indica l’equilibrio tra la luce e il buio, infatti è proprio il momento in cui la notte e il giorno hanno circa la medesima durata. Il mese di settembre poi in particolare era anche il periodo in cui si svolgevano i Grandi Misteri di Eleusi, basati sul simbolismo del grano e quindi metaforicamente della rinascita. In questo periodo si celebrava infatti il Mabon, ossia una festa iniziatica rivolta alla ricerca di un nuovo livello di consapevolezza.
Il riferimento velato con tali valenze simboliche certamente non è stato scelto a caso e aveva l’intento di augurare un buon auspicio per la costruzione della nuova capitale.
Gli aspetti esoterici e simbolici non finiscono qui: Pensylvania Avenue, la via principale, per esempio è la strada di collegamento dei due edifici più importanti, ossia Campidoglio e Casa Bianca che sono stati edificati seguendo precisi allineamenti astrali. In particolare, in questo caso vi è un riferimento esplicito alla costellazione della Vergine e quindi di riflesso esisterebbe una connessione significativa con la dea Iside.
Altro fatto degno di nota è che la pianta cittadina ricalca precisamente l'Albero della Vita ebraico, dove ci sono dei nodi importanti chiamati Sephirot, ognuno dei quali corrisponde ai relativi elementi: se sovrapposti, a ciascuno di questi nella pianta corrisponde un edificio fondamentale della città. Il primo è la Volontà Prima, in corrispondenza del quale troviamo il Lincoln Memorial, l’edificio a forma di tempio dorico dedicato al sedicesimo presidente degli Stati Uniti; in stile neoclassico è invece il monumento dedicato al terzo presidente, il Jefferson Memorial che si pone tra Giudizio e Gloria, mentre la Casa Bianca tra la quarta e la settima sphirat, ovvero Misericordia e Vittoria; alla sesta, ossia il cosiddetto Principio armonizzante, si colloca il Washington Monument, ovvero il celebre obelisco di marmo alto 169 metri eretto per commemorare proprio il primo presidente americano; alla decima infine, il Regno ovvero il Campidoglio che rappresenta il centro del potere.
Inoltre il piano regolatore di Washington si snoda in sei punti nevralgici: Dupont Circle, Logan Circle, Scott Circle, Washington Circle, Mount Vernon Square e la Casa Bianca. Questi luoghi sparsi nella città, se idealmente collegati tra di loro, riportano la figura del pentacolo, ovvero il simbolo massonico per eccellenza. Il pentacolo era ampiamente utilizzato come simbolo sacro nella pratica dei culti legati alla dea pagana Venere, incarnazione della forza, della bellezza e soprattutto della sessualità mistica. Ritorna ancora una volta il collegamento con la Vergine e con la figura della dea madre generatrice e come già accennato con Iside. Il legame con la dea Venere-Afrodite si deve al fatto che Venere, pianeta a essa associato in epoca classica, visto dalla Terra compie (in un periodo di otto anni) un percorso simile a un pentagono nel cielo. Il pentacolo, inoltre, è una rappresentazione del microcosmo e del macrocosmo: combina cioè in un unico segno tutta la creazione, ovvero l'insieme di processi su cui si basa il cosmo. Le cinque punte del pentagramma interno simboleggiano i cinque elementi metafisici ossia acqua, aria, fuoco, terra e spirito.
Un altro elemento esoterico molto importante è certamente l’obelisco, costruito nel 1848, quasi 50 anni dopo la morte di George Washington, ma ha anch’esso una valenza importante perché direttamente collegato alla costellazione delle Pleiadi visibili a distanza guardando l’estremità del monumento; inoltre si trova su una linea retta che corre precisamente a ovest del Campidoglio ed è eretto all'interno di un cerchio ideale.
Insomma, da tutti questi elementi emergerebbe un piano ben preciso nella costruzione della città e soprattutto nella disposizione dei monumenti e degli edifici più importanti: una vera e propria struttura simbolica che riveste l’intera città di un impalpabile velo di misticismo ed esoterismo.
Con questa chiave di lettura fa riflettere e allo stesso sembra più chiara la dichiarazione di Washington quando afferma: «Il governo degli Stati Uniti non è, in ogni senso, fondato sulla religione cristiana».
“Nostro figlio, morto, vive, torna re dal fuoco e gode del matrimonio occulto. Se avrai fatto volare la terra al di sopra della tua testa con le sue penne tramuterai in pietra le acque dei torrenti. Il diametro della sfera, il tau del circolo, la croce del globo non giovano alle persone cieche. Quando nella tua casa neri corvi partoriranno bianche colombe, allora sarai chiamato sapiente. Chi sa bruciare con l'acqua e lavare col fuoco, fa della terra cielo e del cielo terra preziosa”.
Queste misteriose frasi non si trovano in un libro di testo ma in un libro di pietra con spiccate elementi della scienza alchemica; la cosa sorprendente è che queste strane e astruse epigrafi erano inglobate sullo stipite di una porta in una delle città più belle del mondo. Stiamo parlando di Roma: città eterna, affascinante e misteriosa. Ogni angolo trasuda di storia, di arte e di bellezza; ma la capitale italiana conserva e nasconde molto di più: angoli misteriosi e sorprendenti, fuori dalla vista e dalla portata del turismo di massa, oltre gli stereotipi didascalici dei percorsi consigliati nelle pagine patinate delle guide turistiche. Luoghi che non sono solo lo specchio permanente di una storia millenaria, quella scritta nei libri di storia, ma anche scrigni che custodiscono conoscenze nascoste e spesso con marcata valenza esoterica.
Uno tra questi, per esempio, è la Porta Alchemica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta dei Cieli. É situata nella campagna orientale di Roma sul colle Esquilino in prossimità dell'odierna piazza Vittorio Emanuele II. Si tratta di un vero trattato inciso nella pietra e intriso di simboli carichi di significati nascosti ed esoterici. Che cos’è effettivamente la Porta Alchemica, cosa rappresenta e perché è così importante dal punto divista esoterico? Per rispondere a queste domande bisogna necessariamente partire dalle origini e dal suo costruttore.
Le origini
La Porta Alchemica è la ricostruzione parziale della residenza di Massimiliano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte, edificata tra il 1655 e il 1680; rappresenta l'unica delle cinque porte del palazzo gentilizio pervenuta fino ai giorni nostri. Un tempo questo manufatto era addossato al muro di cinta della villa che è stata abbattuta alla fine dell’Ottocento nell'ambito del piano di risistemazione della città, divenuta nel frattempo capitale del neonato Regno d'Italia. La sua posizione originale era dunque all'interno del giardino privato della villa e non sulla pubblica piazza come appare attualmente.
Per entrare pienamente nel cuore della storia della Porta Alchemica si deve partire necessariamente da un personaggio misterioso e allo stesso tempo affascinante: Massimiliano Savelli di Palombara. Nato a Roma il 14 dicembre 1614 in una famiglia nobile dell’epoca, ha ricoperto per ben due volte nel 1651 e nel 1677 la carica di conservatore presso il Campidoglio.
Un aspetto importante della sua vita riguarda la stretta amicizia con la regina Cristina di Svezia sin dal suo primo soggiorno romano nel 1655; la loro amicizia era profondamente legata alla passione comune per l'alchimia. Il marchese Palombara, infatti, presso la sua villa, aveva fatto realizzare un proprio laboratorio alchemico seminterrato, mentre la sovrana svedese ne aveva allestito uno a palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini sulle pendici del colle Gianicolo e attualmente sede dell'Accademia Nazionale dei Lincei), dove gli esperimenti erano condotti sotto la direzione dell'alchimista bolognese Pietro Antonio Bandiera. Il rapporto di amicizia tra i due è stato documentato da una serie di poesie manoscritte, attualmente custodite nella Biblioteca Apostolica vaticana, che il Palombara ha dedicato e inviato alla regina di Svezia. Fu durante la frequentazione del salotto culturale della regina Cristina a Roma che il marchese ebbe modo di conoscere personaggi della cultura dell'epoca e in particolare molti alchimisti e scienziati.
Tra le altre cose era anche appassionato di etimologia e dei giochi di parole; questi studi erano funzionali alle prime fasi della ricerca alchemica. È proprio in questo strano incrocio di vite e di passioni che la storia assume le connotazioni sfumate tra mito e realtà.
Ai confini della leggenda
Le indicazioni scolpite dal marchese nella sua residenza fanno riferimento certamente alla sua passione per i testi antichi e molto probabilmente le stesse iscrizioni oltre ad avere una valenza alchemica potrebbero nascondere messaggi cifrati derivanti proprio dalla passione del nobile per i giochi di parole. Non è da escludere poi che egli praticasse personalmente, come abbiamo già accennato, esperimenti nei campi della metallurgia ma anche nell’ambito dello studio delle erbe officinali oltre che delle proprietà magiche delle pietre e dei minerali; si possono ritrovare, infatti, numerosi riferimenti ad alcuni passi letterari di Dioscoride e Plinio il Vecchio che egli stesso cita sovente all'interno dei propri scritti.
Il marchese Palombara nutriva, infatti, una passione anche per le lettere, tanto da dedicare alla sua amica Cristina di Svezia il suo poema rosicruciano “La Bugia” redatto nel 1656 e secondo una leggenda la stessa Porta Alchemica sarebbe stata edificata nel 1680 come celebrazione di una riuscita trasmutazione alchemica avvenuta proprio nel laboratorio della regina a Palazzo Riario.
Secondo un’altra leggenda riferita nel 1802 dall'erudito Francesco Girolamo Cancellieri, uno stibeum pellegrino (ossia una specie di stregone legato al trattamento dell’antimonio), si fermò nella villa per una notte. Costui, identificabile molto probabilmente con l'alchimista Francesco Giuseppe Borri, ha dimorato nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l'oro; il mattino seguente è stato visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma ha lasciato dietro di sé alcune pagliuzze d'oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica oltre che una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che secondo alcuni studiosi potrebbero contenere il segreto della pietra filosofale.
È importante ricordare che la pietra filosofale sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie: fornire un elisir di lunga vita in grado di conferire l'immortalità, costituendo la panacea universale per qualsiasi malattia; far acquisire l'onniscienza, ovvero la conoscenza assoluta del passato e del futuro, del bene e del male; la possibilità infine di trasmutare in oro i metalli vili.
Il marchese ha fatto incidere sulle cinque porte di villa Palombara e sui muri della magione il contenuto del manoscritto, mettendo in bella vista in particolare i simboli e gli enigmi nella speranza che un giorno qualcuno fosse riuscito a decifrarli. Forse l'enigmatica carta potrebbe riferirsi al misterioso manoscritto Voynich che faceva parte della collezione di testi alchemici appartenuti al re Rodolfo II di Boemia e ricevuti forse proprio da Cristina di Svezia. Il manoscritto Voynich è un misterioso codice illustrato risalente molto probabilmente al XV secolo e scritto con un sistema di scrittura che a tutt'oggi non è stato ancora decifrato. Il trattato contiene inoltre immagini di piante che non sono identificabili con alcun vegetale attualmente noto, mentre il linguaggio usato nel testo non appartiene ad alcun sistema alfabetico e linguistico conosciuto.
Una storia, dunque, fitta di misteri soprattutto se si passa all’analisi dei simboli incisi sulla porta.
I simboli e il loro significato
I simboli incisi sulla Porta Alchemica possono essere rintracciati nelle illustrazioni dei libri di alchimia e filosofia esoterica che circolavano verso la seconda metà del Seicento, periodo di realizzazione della stessa porta. In particolare, il disegno sul frontone rappresenta due triangoli sovrapposti molto simile al frontespizio del libro allegorico-alchemico di stampo rosacruciano “Aureum Seculum Redivivum” di Henricus Madatanus (pseudonimo di Adrian von Mynsicht). La dottrina dei Rosacroce copriva svariati campi scientifici e le loro pratiche erano basate sul concetto importante che solo gli adepti iniziati potevano avere accesso ai segreti di alcune conoscenze.
I due triangoli intersecati rappresentano il sigillo di Davide circoscritto in questo caso da un cerchio, con la punta superiore occupata da una croce collegata a un cerchio interno e la punta inferiore dell'esagramma occupata da un oculus: si tratta in altre parole dei simboli alchemici del sole e dell'oro. Fa riflettere a tal proposito un’epigrafe ormai scomparsa che recitava: “Accontentati (sile) del solo sale (cioè del sapere) e del sole (cioè della ragione)”.
Il triangolo con l'oculus invece è molto simile al simbolo analogo della piramide che compare sulle banconote statunitensi da un dollaro, tra l'altro accompagnato da una scritta in latino “Novus Ordo Seclorum” che richiama la scritta “Aureum Seculum Redivivum”. Tale simbologia è stata adottata anche dalla setta degli Illuminati di Baviera.
Sul frontone, inoltre, è riportata anche la scritta: “Tre son le cose mirabili: Dio e uomo, Madre e vergine, trino e uno”.
I simboli alchemici lungo gli stipiti della porta seguono la sequenza dei pianeti associati ai corrispondenti metalli: Saturno-piombo, Giove-stagno, Marte-ferro, Venere-rame, Luna-argento, Mercurio-mercurio. Tale sequenza è stata forse ripresa dal testo “Commentatio de Pharmaco Catholico” pubblicato nel “Chymica Vannus” del 1666. Ad ogni pianeta viene associato un motto ermetico, seguendo il percorso dal basso in alto a destra, per poi scendere dall'alto in basso a sinistra, secondo la direzione indicata dal motto in ebraico “Ruach Elohim” ossia il “soffio di Dio”.
Ai lati della porta sono presenti due statue che raffigurano la divinità egizia Bes. Questi spaventosi demoni nani erano considerati numi tutelari della casa e dell’infanzia. Nel Medio Regno il loro culto si era affermato in tutto l'Egitto ed erano considerate divinità contro il malocchio, le forze del male e tutelari anche della musica, della fertilità e del matrimonio. Nel mondo romano, inoltre, le loro immagini sono collegate al culto di Iside.
Sulla base della porta si trova la rappresentazione di una monade che simbolicamente fa riferimento all’Uno, ossia l’unità di base dell’essere che racchiude in sé ogni aspetto del mondo fisico e metafisico. Al di sotto di essa si legge una locuzione palindroma “Si Sedes Non Is” ossia “se siedi non vai” che al contrario si trasforma invece in “Si Non Sedes Is” ossia “se non siedi vai”. Forse uno dei tanti giochi di parole del marchese, ma sicuramente carichi di valenze esoteriche.
Ci sono poi le epigrafi ormai scomparse dal tenore sibillino. Una si trovava proprio sulla porta della villa e recitava così: “Oltrepassando la porta di questa villa, lo scopritore Giasone (cioè il pellegrino alchimista) ottiene vello di Medea (oro)”. Un’altra in particolare faceva riferimento a: “l'acqua con la quale i giardini sono annaffiati non è acqua dalla quale sono alimentati”. Forse, però, c’è una scritta che racchiude il senso di tutta questa storia e anche il significato più nascosto: “chi svela gli arcani della natura al potente (alla persona influente) cerca da se stesso la morte”.