Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte […] dentro vi sono tutte l'arti, e l'inventori loro, e li diversi modi, come s'usano in diverse regioni del mondo».
I versi sibillini del testo appena citato sono tratti dall’opera filosofica del 1602 La Città del Sole di Tommaso Campanella che, richiamandosi alla Repubblica di Platone, presentava in forma dialogica il confronto di due personaggi: l'Ospitalario, un cavaliere dell'ordine di Malta e il Genovese ossia il nocchiero di Cristoforo Colombo. Quest’ultimo raccontava di aver scoperto una città governata con leggi e costumi perfetti individuata nell'isola di Taprobana durante uno dei suoi viaggi in giro per il mondo.
Nella città ideale prefigurata dal filosofo religioso calabrese il potere spirituale e temporale erano detenuti da un Principe Sacerdote, anche chiamato con gli appellativi di Sole o Metafisico.
La città, a forma circolare, era situata su un colle ed era costituita da sette mura che prendevano il nome dai sette pianeti. Gli abitanti non conoscevano egoismi, gli orrori della guerra e della fame e le violenze. La città era organizzata in modo totalmente razionale ed era controllata da un gruppo di persone chiamati offiziali che vigilavano continuamente in modo che nessuno potesse compiere azioni non giuste nei confronti degli altri cittadini.
Come si può notare, al netto dei riferimenti esoterici ben evidenti rispetto ai nomi dei due protagonisti (uno collegato a un ordine cavalleresco e l’altro al titolo di riconoscimento riservato al Gran Maestro del Priorato di Sion) e al richiamo della tradizione mistica egizia della divinità del Sole incarnata dall’autorità sacerdotale, è chiara la volontà di Campanella di voler descrivere una società utopica e perfetta, quasi irrealizzabile nella realtà. Eppure il sogno antico di Tommaso Campanella a quanto pare dopo molti secoli forse è diventato realtà.
Auroville: la città perfetta
La moderna Città del Sole dopo oltre quattrocento anni dalla sua prefigurazione letteraria si è materializzata. Auroville si trova nell’India meridionale, in quello che fino a qualche decennio fa era solo un deserto di sabbia rossa. Una città internazionale organizzata sin dalla sua fondazione senza denaro, senza forme di governo e di religione come siamo abituati a concepirli e senza l’urbanizzazione selvaggia tipica delle metropoli occidentali. Un nuovo concetto di città costruita su misura per tutte le persone, per i movimenti culturali e per le organizzazioni di vario genere che vogliono contribuire significativamente al progresso della comunità.
La città è stata fondata il 28 febbraio 1968 da un gruppo di giovani hippy sotto le direttive di Mirra “La Madre” Alfassa, una misteriosa donna di origini francesi e devota collaboratrice spirituale del filosofo indipendentista indiano Sri Aurobindo. I suoi valori di riferimento richiamavano lo spiritualismo induista, il comunitarismo gandhiano, il marxismo e l’anarchismo.
L’urbanizzazione è stata disegnata dall'architetto Roger Anger e all’atto della fondazione i rappresentanti di 124 nazioni si sono riuniti nell’altopiano; ognuno di loro ha portato con sé una manciata di terra dalla propria nazione per depositarla in un’urna di marmo a forma di fiore di loto.
La città è divisa in quattro zone con specifiche funzioni: industriale, internazionale, culturale e residenziale. L’agglomerato ospita circa 2.500 residenti permanenti di 45 nazionalità e circa 5.000 visitatori di cui la maggior parte turisti o volontari stranieri alla ricerca di un’esperienza di vita differente. Per divenire residenti permanenti è richiesto ai nuovi arrivati di contribuire attivamente per almeno due anni alle attività cittadine, senza mai allontanarsi. Un comitato ristretto analizza poi le richieste di residenza (proprio come avveniva con gli offiziali di Campanella) e a ogni nuovo cittadino viene richiesto come primo gesto quello di piantare un albero. Dalla sua fondazione ad oggi Auroville ha dato vita così a una foresta in mezzo al deserto.
La cosiddetta “città dell’aurora” ha l’ambizione di diventare un punto di riferimento per lo sviluppo ecosostenibile e l’innovazione sociale; la città, infatti, è autosufficiente energeticamente grazie prevalentemente allo sfruttamento dell’energia solare. Si fonda sull’agricoltura biologica, sul riciclaggio della quasi totalità dei materiali e sulla costruzione con tecniche di bioedilizia.
Il sistema economico-sociale è basato sulla proprietà collettiva, senza avere tuttavia un sistema normativo e senza la presenza delle forze dell’ordine. La cultura artistica spontanea, la quiete e la meditazione sono i principi cardini della vita quotidiana.
L’intera comunità è finanziata dall’Unesco, dalla Comunità Europea, dal governo indiano e da donazioni private che insieme contribuiscono al bilancio complessivo annuale. L’allocazione dei fondi è decisa collettivamente e i profitti delle unità produttive vengono spartiti equamente tra le casse comunali e i progetti specifici proposti dalla cittadinanza a supporto delle imprese locali e per il bene comune. Essendo, pertanto, i profitti di ognuno spartiti col resto della comunità, ogni cittadino non percepisce un salario bensì una specie di reddito di cittadinanza. Ad Auroville, infatti, la proprietà è collettiva ossia ciò che viene realizzato dai suoi abitanti non può essere venduto e qualsiasi attività è basata sul volontariato. Ogni cittadino è tenuto a lavorare almeno cinque ore al giorno per sostenere la comunità. Questo aspetto richiama molto da vicino la struttura sociale dell'isola di Taprobana descritta da Campanella dove gli abitanti lavoravano per sole quattro ore al giorno. Il tempo restante veniva impiegato in attività ricreative e ludiche che però dovevano sempre avere un fine culturale.
Ad Auroville esiste una zona dedicata alla meditazione e alla ricerca spirituale, ma non c’è una religione ufficiale: ogni cittadino è libero di professare il proprio credo.
Questa è l’immagine di facciata della città perfetta, ma a un’analisi più attenta si possono evidenziare elementi riconducibili a una matrice esoterica che porta alla luce vari spunti interessanti di riflessione.
Gli aspetti esoterici
In prima battuta bisogna partire proprio dal nome stesso della città. Auroville ha certamente una doppia valenza: da un lato è possibile evidenziare il riferimento alla “città dell’aurora” e dall’altro si può notare il suffisso “auro” che richiama l’elemento dell’oro. I due significati sono concettualmente collegabili e sovrapponibili; infatti, l'aurora è l'apparizione della luce, dorata e talvolta rosea o purpurea che appare nel cielo poco prima del sorgere proprio del sole. Ecco che quindi torna in maniera piena il riferimento al componimento di Campanella e si conferma il fatto che la città sia stata ideata pensando proprio alla Città del Sole o comunque al sole come elemento naturale. Ovviamente questo riferimento alla stella solare ha anche soprattutto una valenza religiosa perché richiama la divinità Ra egiziana. Allo stesso modo il riferimento aureo, invece, va letto nell’ambito della scienza alchemica come perfezionamento ultimo del processo e della trasmutazione del vile metallo in oro. Ovviamente l’oro è un simbolo mediato indicativo, partendo già dal suo colore giallo, proprio del sole. Entrambi questi aspetti del nome della città sono riconducibili molto probabilmente al background culturale ed esoterico della fondatrice della città. Mirra “La Madre” Alfassa, infatti, è stata senza dubbio una personalità particolare, già a partire dal nome che, come è evidente, fa riferimento chiaramente alla dea madre primordiale e creatrice dal cui grembo mitologicamente si è generato il mondo e simbolicamente in questo caso una nuova idea di città e di comunità.
Allo stesso modo, come abbiamo già accennato, proprio all’atto della fondazione ci fu una cerimonia dall’alto valore simbolico ed esoterico: i partecipanti di varie nazioni hanno portato un pugno della loro terra; questo oltre a richiamare il valore divinatorio e primordiale ancora della Madre Terra ha anche un collegamento biblico non di poco conto. Richiama, infatti, l’episodio della creazione di Adamo e quindi per estensione la nascita di una nuova entità grazie all’intervento divino.
La città, inoltre, vista dall’alto ha proprio la forma di un occhio e richiamerebbe ovviamente allo stereotipo dell’occhio onniveggente divino con implicazioni esoteriche non di poco conto.
Senza ombra di dubbio, inoltre, è possibile di fatto individuare nell’enclave il culto del sole. Infatti, il progetto originale della città è stato ideato dall’architetto francese Roger Anger che immaginava Auroville come una “galassia” con al centro un’enorme sfera dorata utilizzata per la meditazione chiamata Matrimandir. Al suo interno è presente una sala circolare in marmo bianco e rappresenta il principale luogo di meditazione frequentato dai residenti. Al centro è presente una sfera di cristallo dal diametro di settanta centimetri che raccoglie i raggi del sole riflessi da uno specchio sul tetto.
Questo richiama molto da vicino il tempio descritto ancora una volta nella Città del Sole che infatti era proprio di forma circolare ed era costituito da grandi colonne sopra le quali sorgeva una cupola al cui interno figurava la sfera celeste.
Gli abitanti di Auroville, inoltre, possono pranzare in uno spazio comune chiamato “Solar Kitchen” ossia una gigantesca mensa vegetariana dove si cucina solo ed esclusivamente grazie all’energia solare. In sostanza, dunque, i collegamenti con la Città del Sole sono ben evidenti.
Diceva in un passo uno dei personaggi di Campanella: «Questa è una gente ch'arrivò là dall'Indie, ed erano molti filosofi, che fuggiro la rovina di Mogori e d'altri predoni e tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in commune, si ben la communità delle donne non si usa tra le genti della provinzia loro; ma essi l'usano, ed è questo il modo. Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna. Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si è impotente. Ma quando perdono l'amor proprio, resta il commune solo».
Niente di nuovo, dunque, sotto il sole splendente di Auroville.
«Le donne una volta avevano fretta di sposarsi perché era il solo modo per perdere la verginità e poter fare tutto quello che volevano con altri uomini... quelli che desideravano davvero».
È questo il dialogo nelle scene iniziali di uno dei film forse più dirompenti nello scenario cinematografico degli anni ’90. La pellicola è Eyes Wide Shut del 1999, prodotto, scritto e diretto da Stanley Kubrick: resta la sua ultima fatica come regista e segna anche l'ultimo lavoro della coppia Nicole Kidman-Tom Cruise, co-protagonisti del film.
Il lavoro cinematografico è tratto dal romanzo breve Doppio sogno di Arthur Schnitzler. Il testo, scoperto per caso agli inizi degli anni ‘50, ha profondamente affascinato Kubrick che ha dichiarato: «Esplora l'ambivalenza sessuale di un matrimonio felice e cerca di equiparare l'importanza dei sogni e degli ipotetici rapporti sessuali con la realtà». Prende le mosse proprio da questi elementi la stesura del film dopo una lunghissima fase preparatoria, poiché l’idea girava nella testa di Kubrick già negli anni ‘60.
La trama
La storia rappresentata nel film è la vicenda di una coppia, Bill e Alice, che partecipano a una festa prenatalizia a casa di un loro amico, il facoltoso Victor Ziegler. Bill, giovane e avvenente medico, avvicinato da due belle ragazze, nel frattempo è chiamato per soccorrere in incognito una giovane modella vittima di overdose che si trova nuda in compagnia del padrone di casa nel bagno della villa. Alice, nel frattempo, sebbene in preda ai fumi dell’alcool, respinge le gentili avances di Sandor Szavost, un maturo ed ambiguo ungherese.
La sera successiva, sotto l'effetto della marijuana, marito e moglie parlano della festa ma la discussione assume improvvisamente toni aspri: Bill sostiene la propria fiducia nella reciproca fedeltà, mentre Alice pare alterarsi raccontandogli di una loro vacanza estiva quando, colpita dall'avvenenza di un giovane ufficiale di marina, ne ha fantasticato un rapporto sessuale. Bill resta fortemente turbato.
Scosso dai recenti avvenimenti, Bill vaga nella notte per New York fino a farsi adescare da una giovane prostituta senza però consumare, in quanto sul più bello viene raggiunto al cellulare da Alice. Di nuovo in strada, Bill entra in un locale dove si esibisce Nick Nightingale, un pianista vecchio amico di università e rivisto al party di Ziegler. Questo gli parla del suo prossimo lavoro in un luogo segreto, ossia un esclusivo convito orgiastico dove deve suonare a occhi bendati. Bill è incuriosito da questi dettagli e nonostante le preghiere di Nick a desistere riesce a farsi dire l’indirizzo e la parola d'ordine per entrare alla festa. Si reca così presso un noleggiatore di costumi e raggiunge in taxi la sontuosa villa dove assiste a uno strano rituale sessuale, caratterizzato da una bizzarra funzione con un officiante e baccanti nude, tutti con il volto coperto da una maschera. L'atmosfera è inquietante: Nick suona l'organo con gli occhi bendati, accompagnando un canto-parlato che risuona cupamente nel salone. Nelle altre sale Bill assiste a scene di sesso esplicito, quando improvvisamente una delle vestali lo avvicina ammonendolo del grave pericolo che sta correndo. Pochi istanti dopo, infatti, viene portato al cospetto della loggia per essere interrogato dal celebrante e viene smascherato. La donna che poco prima lo stava mettendo in guardia inaspettatamente interviene offrendosi di espiare la colpa al suo posto e ottenendo che egli venga allontanato dalla villa senza ulteriori conseguenze, a condizione di non rivelare a nessuno quanto aveva visto. Il giorno dopo Bill inizia a indagare, apprendendo che Nick è stato prelevato di forza dall'albergo dove alloggiava. La notizia poi della morte per overdose di una celebre modella di nome Amanda Curran (la stessa salvata nel bagno alla festa), lo spinge a recarsi nella camera mortuaria dove crede di riconoscere la salma della sua salvatrice mascherata. La stessa sera viene convocato da Ziegler il quale gli rivela alcuni dettagli sulla setta segreta formata da personaggi altolocati. Stando alle parole di Ziegler, la ragazza deceduta era effettivamente la salvatrice di Bill, stroncata in seguito all’ennesima overdose. Le minacce altro non erano che una macabra messa in scena per terrorizzarlo.
La sensazione guardando il film è di un certo senso di smarrimento e soprattutto di un costante e subdolo senso di sospensione e rarefazione; secondo il critico Enrico Ghezzi «è il film più lavorato e complesso che sia dato di vedere, un film che richiede espressamente più di uno sguardo attento».
Oltre la trama
Cosa si nasconde, dunque, oltre questo “sguardo attento” che spesso lo spettatore in verità non ha guardando quello che il più delle volte considera “semplicemente” un film?
Un primo elemento da mettere in evidenza è il fatto che Stanley Kubrick, inaspettatamente e possiamo dire anche misteriosamente, muore solo cinque giorni dopo aver presentato il taglio finale del film alla Warner Bros. Forse una semplice coincidenza, ma sta di fatto che questo, aggiunto alla proverbiale attenzione di Stanley Kubrick per i dettagli e per il simbolismo, ha conferito alla pellicola una dimensione e un alone particolare di mistero.
Eyes Wide Shut non è un titolo qualunque. È un ossimoro che mette insieme tre parole difficilmente traducibili (occhi chiusi spalancati? Oppure occhi apertamente chiusi?). Si tratta, come è chiaro, di un film criptico, non immediatamente comprensibile, ma certamente una possibile chiave di lettura è quella di un percorso simbolico d’iniziazione che si esplica attraverso la sfera sessuale.
In verità tutte le opere di Kubrick “nascondono” chiavi di letture che vanno oltre le vicende narrate.
Il regista è abile a nascondere nei propri film, quindi anche in questo, alcuni particolari che arricchiscono la trama e possono essere notati solo dagli occhi più attenti. Per esempio in questa pellicola a un certo punto quando il protagonista ha quasi scoperto il segreto della setta compra un giornale sul quale campeggia il titolone “Fortunato a essere ancora vivo”. Ancora un altro particolare nascosto lo ritroviamo quando per un attimo viene inquadrato l’articolo di giornale riguardante la morte per overdose della modella che l’ha salvato alla festa; ingrandendo il fotogramma è possibile leggere effettivamente i dettagli della morte. Nelle opere di Kubrick niente è lasciato al caso.
In particolare ritornando alle vicende del film in oggetto, possiamo subito notare che si svolgono in prossimità della notte di Natale e questo ovviamente ha un significato simbolico molto particolare e non ovviamente con una valenza solo religiosa. Il regista molto probabilmente vuole mettere in evidenza la nascita e la rinascita della coppia intesa come unione dal significato esoterico: l’elemento maschile e quello femminile che si catalizzano proprio attraverso il sesso costantemente messo in evidenza come filo conduttore della pellicola.
Eyes Wide Shut non si limita semplicemente a descrivere un rapporto, bensì analizza tutti gli elementi che lo definiscono. A tal riguardo un particolare risulta interessante: in diverse scene viene inquadrato l’insegna luminosa “Verona Restaurant”; forse il regista vuole rimandare l’attenzione dello spettatore alla città di Romeo e Giulietta e simbolicamente alla loro storia come archetipo della coppia Bill – Alice.
Il personaggio maschile si chiama Bill, chiaro riferimento alla banconota del dollaro. Più volte durante il film, infatti, fa un uso del denaro quasi in maniera disinteressata. La moglie, invece, si chiama Alice, molto probabilmente in riferimento al personaggio principale nei romanzi di Lewis Carroll ossia Alice nel paese delle meraviglie e Alice attraverso lo specchio; infatti, spesso viene immortalata mentre è riflessa nello specchio. Nella stessa locandina del film la coppia è raffigurata proprio nello specchio. Questo è un elemento simbolico che riconduce alla “riflessione”, a guardarsi dentro e a mettersi a nudo (fisicamente e metaforicamente) attraverso lo specchio, come accade anche nelle scene iniziali del film.
Inoltre, tenuto conto ancora del filo conduttore sessuale, la pellicola descrive apertamente rituali utilizzati da alcuni gruppi segreti dell’élite che mettono “in scena” in maniera mediata la lotta tra il principio maschile e quello femminile in maniera esoterica. Il regista, tuttavia, non specifica nulla in merito a questo aspetto, ossia di quale setta si tratti nello specifico.
Come per i grandi capolavori, i messaggi vengono comunicati attraverso simboli ed enigmi misteriosi. Tra questi, per esempio, possiamo notare nella scena iniziale della festa a casa di Zeigler una strana decorazione di Natale che è quasi identica all’antico simbolo della stella di Ishtar, ossia la dea babilonese della fertilità e dell’amore; il suo culto comprendeva la prostituzione sacra e l’espletamento degli atti rituali sessuali, due elementi chiaramente messi in evidenza anche nel film.
Un altro elemento su cui il regista si sofferma diverse volte è l’arcobaleno; in un primo momento sono ancora due figure femminili, due modelle nello specifico, che vogliono portare Bill “dove finisce l’arcobaleno”. Poi l’arcobaleno riappare anche nel negozio dove lo stesso Bill va a prendere i vestiti per la festa. Che significa a livello esoterico l’arcobaleno? In Genesi 9:13 è un segno del patto tra Dio e l'umanità: dopo che Noè sopravvive al diluvio universale nella storia dell'Arca di Noè, Dio inviò un arcobaleno come promessa che non avrebbe mai più inondato la terra. L'arcobaleno è anche il simbolo di un movimento moderno nella religione ebraica chiamato B'nei Noah (figli di Noè) che ha le sue radici nella tradizione del Talmud. Si potrebbe forse ipotizzare un’appartenenza o una vicinanza segreta del regista a questi ambienti? Come si può intuire “andare oltre l’arcobaleno” significa andare oltre il patto di Dio con l’umanità e addentrarsi nella zona dove Dio non esiste più ed è sostituito dall’uomo che diventa divinità, come nel rituale della setta segreta. Ecco perché per accedere in quest’altra dimensione è necessario un varco, un arco (baleno); tutto questo è simboleggiato dalla richiesta della parola d’ordine per entrare alla festa e in maniera simbolica in un’altra dimensione. Particolare è la scelta della parola: “Fidelio”, ossia fedeltà intesa nella doppia valenza della fedeltà di coppia e della fedeltà al silenzio per gli accoliti della società segreta; ma Fidelio è anche il nome di un’opera particolare scritta da Beethoven e che narra le vicende di una moglie che si sacrifica per liberare il marito (prigioniero politico) dalla morte.
Il luogo scelto dal regista per girare le scene del rituale è molto interessante. Si tratta delle Mentmore Towers, ossia una delle case di campagna di un membro della famiglia Rothschild, ovvero una tra le più importanti e potenti famiglie elitarie a livello mondiale.
Il brano ascoltato in sottofondo, poi, durante il rito si chiama Backwards Priests ed è una liturgia rumena ortodossa cantata al contrario. Risulta interessante la traduzione del testo cantato: “Disse il Signore ai suoi apprendisti...Vi do un comando... Pregate il Signore per la misericordia, la vita, la pace, la salute, la salvezza, la ricerca, la dipartita e il perdono dei peccati dei figli di Dio. Quelli che pregano avranno pietà e si prenderanno cura di questo sacro luogo. Disse il Signore ai suoi apprendisti...”. L’inversione dell’esecuzione degli inni sacri è tipica della magia nera e in particolare dei riti satanici. Sebbene Kubrick non faccia ovviamente esplicita menzione potrebbe trattarsi di un rituale simile a quelli praticati nel Thelema, ossia nella filosofia esoterica creata da Aleister Crowley, uno dei satanisti più influenti del XIX secolo, noto anche per il suo motto “Fai ciò che vuoi”.
Il rituale sessuale si compie alla presenza di undici donne bellissime, nude e mascherate che interagiscono con un uomo mantellato di rosso: dunque un sacerdote e undici sacerdotesse. Nel film non si capisce chiaramente, ma molto probabilmente inoltre la sacerdotessa del rituale potrebbe essere proprio Alice, ossia la moglie di Bill.
Dal punto di vista simbolico ed esoterico il rituale e il numero dei partecipanti potrebbe richiamare l’ultima cena e tutte le implicazioni a essa collegata. Oltre alla funzione simbolica numerologica è significativo il momento: nell’ultima cena si sta per sacrificare Gesù Cristo, proprio come in una logica invertita, probabilmente nel rituale si sta per sacrificare (forse anche solo sessualmente) una delle sacerdotesse e non invece il sacerdote. Questo evidenzia in maniera sottile come “oltre l’arcobaleno” l’uomo, fattosi Dio, sacrifica ma non si sacrifica: in questo si condensa il decadimento pagano dell’uomo lontano da Dio. Si tratta, dunque, della rappresentazione, simbolica o reale della morte proprio in prossimità della notte di Natale che invece rappresenta la nascita.
Eyes Wide Shut: occhi spalancati, ma in realtà chiusi, ciechi e che non vedono fino a quando tramite un processo di iniziazione si aprono per vedere cose che erano sempre state lì, ma che fino a quel momento non erano state notate e viste.
Diceva Carl Gustav Jung: «Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia» che poi è lo stesso concetto espresso nel film quando uno dei protagonisti dice: «Nessun sogno è mai soltanto sogno».
«C'era una volta... – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze».
Inizia così uno di più celebri romanzi di formazione della letteratura italiana e forse mondiale, con all’attivo oltre 240 traduzioni. Già dalle prime battute si capisce che non è una favola “classica”: non ci sono né principi né castelli incantati, ma il protagonista è un umile pezzo di legno in attesa di diventare un bambino in carne e ossa.
La storia di Pinocchio ha fatto compagnia all’adolescenza di molte generazioni: un giusto e misurato connubio tra letteratura pedagogica e quella dell’infanzia dove però il protagonista è un perdente e tutto è imbastito con una lieve ma costante velatura di malinconica disillusione. Sono, forse, proprio questi gli ingredienti che nel tempo ne hanno decretato la diffusione e il successo.
Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi è il racconto più famoso della tradizione culturale italiana e dopo la Bibbia è la storia più diffusa al mondo con all’attivo molteplici traduzioni, riproduzioni in film, cartoni animati e trasposizioni teatrali; la famosa storia del burattino così ha raggiunto milioni di persone nel corso di diversi lustri. Ancora oggi è nelle classifiche dei libri più venduti. Questo popolarissimo testo sembra, però, racchiudere molti misteri, diversi simbolismi e significati nascosti spesso sfuggenti a una semplice lettura “profana” e superficiale. Per addentrarci nel mondo inesplorato di Pinocchio bisogna, però, prima conoscere più da vicino il suo autore.
Un enigmatico autore
Carlo Collodi è lo pseudonimo di Carlo Lorenzini, scrittore e giornalista fiorentino vissuto a cavallo del XIX secolo. Sua madre Angiolina era figlia del fattore dei marchesi Garzoni Venturi e amministrava il podere di Veneri, alle porte del paese di Collodi, il cui nome ha ispirato lo pseudonimo che ha reso famoso lo scrittore in tutto il mondo.
Si è spesso parlato dell’affiliazione di Collodi alla massoneria. Sebbene, in effetti, negli ambienti massonici si parla da sempre e con insistenza di tale presunta appartenenza dell'illustre scrittore, tuttavia, non vi sono prove certe. La tesi dell'affiliazione di Collodi si fonderebbe su un'errata comprensione di un saluto in calce a una sua lettera: la contrazione ''suo affo'' è stata letta come ''fratello'' anziché ''affezionato''.
La storia narrata da Collodi, comunque, sembra disseminata di alcuni elementi che farebbero pensare alla vicinanza dell’autore proprio ad ambienti massonici ma anche a una certa confidenza con le tematiche esoteriche. Per esempio, quando il burattino arriva finalmente dove dovrebbe essere la casa della Fata, vi trova soltanto una pietra di marmo con incise queste parole: “Qui giace la bambina dai capelli turchini morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio”. Allo stesso modo anche gli altri burattini di Mangiafuoco riferendosi a Pinocchio lo chiamano “fratello”. Questi appellativi non sembrano inseriti a caso ma potrebbero essere chiari riferimenti proprio ai fratelli massonici e alla vicinanza dell’autore con questi ambienti. Sta di fatto, comunque, che il racconto di Collodi non può essere considerato tout court semplicemente una piacevole lettura per adolescenti, ma potrebbe nascondere ben altro.
Uno romanzo non solo per bambini
Il titolo completo del libro è Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Prima di diventare il best seller che tutti conosciamo era un semplice romanzo a puntate, pubblicato nel 1881 sul Giornale per bambini edito da Ferdinando Martini. Il finale era però completamente diverso: Pinocchio, infatti, non diventava un bambino in carne e ossa, ma moriva impiccato a una quercia per mano del Gatto e la Volpe. I lettori del giornale, prevalentemente giovani o giovanissimi, rimasero talmente stupiti dal macabro epilogo che scrissero in massa in redazione, chiedendo che Collodi modificasse l’epilogo della storia. Anche se non pienamente convinto, l’autore accontentò i propri lettori e cambiò il finale facendo diventare Pinocchio un bambino vero, insomma scrivendo il finale che tutti conosciamo.
C’è una curiosità a proposito proprio del titolo. Pinocchio è una marionetta ovvero un pupazzo di legno che si manovra con i fili e non un burattino che invece viene manovrato da sotto infilandovi la mano dentro. Nel libro però è chiamato, impropriamente, burattino.
La sua caratteristica più nota, come ben sappiamo, è il naso che si allunga a dismisura quando dice le bugie. Pinocchio è fondamentalmente buono e innocente, ma cade spesso nella tentazione di farsi trascinare da brutte compagnie ed è incline alla menzogna. A causa di queste caratteristiche si ritrova spesso nei guai dai quali riesce però sempre in qualche modo a cavarsela. In questo impianto narrativo si intravede, dunque, la classica morale delle favole indirizzata ai più piccoli in funzione educativa, ma anche un monito per i più grandi che comportandosi come Pinocchio potrebbero restare per sempre perenni bambini nell’animo.
I livelli di lettura sono molteplici, soprattutto se poi si presta attenzione ai personaggi e ai vari elementi che costituiscono gli episodi dell’intero racconto.
Una lettura diversa
Secondo Elémire Zolla: «il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile». Per capire meglio questa affermazione bisogna partire necessariamente dal nome del protagonista. L'origine del nome non è chiara: in prima battuta è possibile riscontrare il fatto che Pinocchio significa “pinolo” e che potrebbe far riferimento nell'antico dialetto toscano all'albero Pinus Pinea. Il nome, inoltre, potrebbe essere un’allusione alla ghiandola pineale, cioè la manifestazione fisica del “terzo occhio”: pin-occhio (occhio–pineale). Nell'accezione di pinolo si possono riassumere simbolicamente le caratteristiche del personaggio, come evidenziato anche da Gérard Génot: il seme come «valore filiale, infantile», nel suo stesso essere di legno, insomma «la carne nel legno, la germinazione nella durezza».
In quest’ottica, dunque, è possibile individuare i primi elementi che inducano a pensare che si tratti di un racconto iniziatico velato sotto la forma della favola per bambini. L’intreccio narrativo conterrebbe diversi elementi simbolici appartenenti all'antichissima tradizione magica e “sotterranea” della letteratura italiana che parte da Apuleio e attraverso la poesia medioevale di Federico II e Dante Alighieri approda fino all'esoterismo rinascimentale.
Chiave di lettura gnostico-massonica
Pinocchio simbolicamente potrebbe rappresentare l’archetipo di un'iniziazione: una marionetta di legno, simbolo della meccanicità della persona che aspira a un’evoluzione spirituale. Un’allegoria del sé inferiore che tende a modellarsi per diventare un essere umano che prova emozioni e quindi anela a diventare migliore e superiore; sembrerebbe un riferimento mediato e simbolico del processo alchemico e allo stesso modo del percorso massonico dall’iniziazione fino all’ultimo grado.
Il pezzo di legno rappresenterebbe proprio la pietra grezza che in massoneria va smussata e lavorata con gli attrezzi tipici degli scalpellini (molto simili anche a quelli di Geppetto) e che si ritrovano simbolicamente anche nelle logge massoniche.
Lo stesso episodio, per esempio, della sua trasformazione in asino, in termini esoterici, indica che egli è più vicino alla dimensione materiale (impersonata da questo animale testardo) più che a quella spirituale. Questa parte della storia, inoltre, è un riferimento letterario chiaro ad Apuleio e alla sua opera Asino d'oro, un classico studiato nelle scuole misteriche e anche nelle logge massoniche.
Il tema dell'autonomia e dell'auto-miglioramento è fortemente ispirato agli insegnamenti gnostico-massonici: la salvezza spirituale è qualcosa che si deve conquistare attraverso l'auto-disciplina, la conoscenza di sé e la forza di volontà.
Un altro riferimento alle tematiche massoniche si può individuare nella spoliazione dai metalli da parte del profano durante il rito di iniziazione, all’inizio del quale bisogna necessariamente consegnare tutto il denaro, in metallo o banconote, i gioielli e gli oggetti metallici in possesso. Questo rito simboleggia l’abbandono all’attaccamento alle idee preconcette e il distacco da ogni passione ed elemento materiale prima di entrare nei lavori della loggia. La stessa cosa avviene a Pinocchio nel momento in cui semina nella terra le monete d’oro; infatti, proprio da quel momento inizia il suo cammino verso la “salvezza” finale.
Il Paese dei Balocchi, infine, è una metafora della vita “profana”, così intesa in ambito massonico, caratterizzata dall'ignoranza, dalla ricerca della gratificazione immediata e della soddisfazione degli istinti più bassi.
Anche i personaggi della storia potrebbero avere una valenza simbolica. In questa prospettiva Mangiafuoco corrisponderebbe a Mammona che nei Vangeli è equiparato al denaro e più propriamente al potere della mondanità, mentre in Lucignolo è rinvenibile la figura di Lucifero che, come il Gatto e la Volpe (le passioni del corpo), distraggono Pinocchio dalla scuola e quindi dalla possibilità di accedere a un livello di conoscenza superiore; nella Fata Turchina si esprimerebbe l'archetipo della Grande Madre, assimilabile a Iside ma anche alla madonna cristiana che aiuta infine Pinocchio a ricongiungersi al “padre”.
Queste considerazioni, così impostate, farebbero sfociare l’analisi in un’altra possibile chiave interpretativa.
Chiave di lettura spirituale-esoterica
Alcune vicende della storia potrebbero essere riconducibili a elementi attinti da un background esoterico dello stesso autore. Già nella “creazione” di Pinocchio si può riscontrare un evidente parallelismo con le vicende bibliche e religiose. Geppetto è creatore e padre e non a caso falegname proprio come San Giuseppe, ma va oltre la funzione del padre putativo di Gesù perché inconsapevolmente fornisce a Pinocchio anche la possibilità di diventare “umano”. Si può notare, quindi, un’apparente inversione del paradigma o forse anche una sovrapposizione: Gesù muore su un pezzo di legno della croce mentre Pinocchio nasce proprio da un pezzo di legno.
Pinocchio, come in generale ogni essere umano, è insidiato da intelligenze maligne, diabolicamente più astute di lui (il Gatto e la Volpe); non avrebbe alcuna possibilità di salvezza senza l'intervento della Fata Turchina e di altre creature benevole. Infine Pinocchio non può restare prigioniero di Mangiafuoco perché a differenza degli altri burattini ha la consapevolezza di avere un “padre”.
C’è, poi, un altro episodio significativo che rientra chiaramente in tale matrice spirituale: Pinocchio nel ventre del pescecane che risulterebbe essere un chiaro riferimento al racconto biblico di Giona nell'Antico Testamento. Simbolicamente rappresenta la resurrezione e può essere collegato, come abbiamo visto, al tema del perfezionamento dello spirito; l’ambiente descritto nella pancia del grosso animale marino potrebbe coincidere anche nell’arredo al cosiddetto gabinetto di riflessione in cui vengono fatti sostare i neofiti per l’iniziazione massonica.
Anche la stessa figura della Fata potrebbe rappresentare Maria a causa proprio del suo intervento provvidenziale e per la sua strumentalità a Geppetto.
Dopotutto la storia di Pinocchio è l’archetipo della ribellione e del ritorno al Padre: un’espansione della parabola del figliuol prodigo.
Pinocchio viene impiccato, ma risorge ed ecco la sua “morte iniziatica”: in questo caso si sovrappongono la chiave di lettura esoterica con quella più prettamente spirituale.
Insomma la storia del burattino di Collodi in sostanza narra la condizione umana, in quel perenne contrasto e confronto tra il libero arbitrio e la propria coscienza.
Diceva Edoardo Bennato nella famosa canzone È stata tua la colpa del concept album Burattino senza fili del 1977 interamente dedicato all’opera di Collodi: «È stata tua la colpa allora adesso che vuoi? Volevi diventare come uno di noi, e come rimpiangi quei giorni che eri un burattino ma senza fili e adesso invece i fili ce l'hai!» e ancora «Adesso non fai un passo se dall'alto non c'è qualcuno che comanda e muove i fili per te adesso la gente di te più non riderà non sei più un saltimbanco ma vedi quanti fili che hai...».
In conclusione, pertanto, a futura memoria per tutti i bambini che saranno adulti, come riporta lo stesso Collodi: «Metti giudizio per l'avvenire e sarai felice».