Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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L’Italia è il paese dell’arte e della bellezza per eccellenza. Il suo patrimonio artistico è immenso e distribuito nelle innumerevoli città della penisola, ognuna ricca di storia, di arte e di fascino; ingredienti questi che spesso ben mescolati donano ai luoghi un aspetto magico e misterioso. Tra tutte le città italiane certamente possiamo citare, come simboli, Roma e Napoli, geograficamente lontane ma accomunate dal loro inestimabile patrimonio artistico e storico. Le due città inoltre hanno una particolarità in comune molto curiosa che crea un misterioso parallelismo; stiamo parlando di due punti nevralgici di entrambe le città che hanno stranamente lo stesso nome ed esoteriche affinità. Entrambe, infatti, hanno una chiesa e una piazza dedicate a Gesù, come accade in molte altre città. Allora cosa hanno di così particolare questi due posti?
La brezza del diavolo a Roma
Partiamo dalla capitale. La chiesa del Santissimo Nome di Gesù a Roma, conosciuta soprattutto come chiesa del Gesù o più semplicemente come Il Gesù, è la chiesa madre della Compagnia di Gesù.
La chiesa si affaccia su piazza del Gesù ed è considerata il prototipo di una svolta importante nella storia dell'arte poiché è stata costruita seguendo i dettami incarnati nei decreti del Concilio di Trento; pertanto è stata progettata a navata unica affinché l'attenzione dei fedeli fosse concentrata sull'altare. La chiesa era stata pensata, già nel 1551, come un desiderio di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù ed attivo durante la riforma protestante e la successiva riforma cattolica.
Anticamente, dalla piazza fino a Palazzo Grazioli, si estendeva il Portico dei Due Divi, una grande piazza porticata in cui erano situati due piccoli templi uguali e simmetrici fatti realizzare da Domiziano per rendere omaggio ai trionfi del padre Vespasiano e del fratello Tito.
A proposito di Piazza del Gesù si narra un’antica storia dovuta al fatto che sia sempre molto ventosa; ma dietro questa caratteristica climatica si nasconderebbe ben altro. A raccontare questa strana vicenda è lo scrittore francese Stendhal secondo cui un giorno il Diavolo e il Vento, passeggiando per la città, si fermarono davanti alla Chiesa del Gesù. Il Diavolo disse al compagno che avrebbe avuto da fare nella chiesa e di aspettarlo fuori, ma da lì non uscì mai più e si dice che il Vento, da allora, sia rimasto nella piazza ad attendere il suo ritorno facendo avanti e indietro impaziente; da qui le correnti di vento che caratterizzano la piazza.
Due sono le possibili interpretazioni di questo aneddoto: c’è chi ritiene che Stendhal l’abbia raccontato per alludere alle capacità di conversione dei Gesuiti che sarebbero riusciti a convincere persino il demonio. Altri pensano, invece, che la storia fosse stata raccontata per denigrare il potente Ordine dei Gesuiti, titolare della Chiesa, accusandolo di essere tanto corrotto da riuscire a trattenere tra le sue fila di proseliti addirittura il diavolo.
Entrando in chiesa, però, viene da pensare che il diavolo sia rimasto affascinato dalla ricchezza degli affreschi, degli stucchi, delle decorazioni e delle illusioni prospettiche tanto da rimanere all’interno; all’interna l’attenzione viene rapita soprattutto dalla stupenda Cappella di Sant’Ignazio con le quattro colonne di lapislazzuli e bronzo dorato e l'architrave di verde antico costruita nel 1696-1700 dall'artista gesuita Andrea del Pozzo in onore del soldato spagnolo Ignazio di Loyola che qui riposa.
Da questo nasce un’altra versione della leggenda legata proprio alla straordinarietà e alla bellezza della Chiesa del Gesù: sembrerebbe che Lucifero vedendola si ingelosì terribilmente. Deciso a distruggerla, arrivò a notte fonda su un carro trascinato dal Vento. Rimase così affascinato dalla bellezza della chiesa che all'arrivo l’alba, nella fretta di fuggire, abbandonò la piazza lasciando lì da solo il Vento.
Napoli e lo spartito di pietra
Lasciamo la ventosa piazza romana e ci spostiamo a sud, direzione Napoli. La chiesa del Gesù Nuovo o della Trinità Maggiore è una chiesa basilicale sita in piazza del Gesù Nuovo di fronte all'obelisco dell'Immacolata e alla basilica di Santa Chiara.
Si tratta di una delle più importanti chiese della città, massima espressione della pittura e scultura barocca. All'interno è custodito il corpo di san Giuseppe Moscati, canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 1987.
In origine insisteva in quell'area il palazzo Sanseverino progettato e ultimato nel 1470 da Novello da San Lucano per espresso volere di Roberto Sanseverino principe di Salerno. I beni dei Sanseverino passarono successivamente al demanio e furono messi in vendita per volontà di Filippo II.
Nel 1584 il palazzo con i suoi giardini fu venduto ai gesuiti, grazie anche all'interessamento del nuovo vicerè spagnolo don Pedro Girón, duca di Osuna. I gesuiti, tra il 1584 e il 1601, riadattarono l'edificio civile a chiesa, istituendo poi nella stessa area la cosiddetta "insula gesuitica" cioè il complesso di edifici ospitanti la Compagnia di Gesù e composta oltre che dalla chiesa anche dal palazzo delle Congregazioni (1592) e dalla casa Professa dei Padri Gesuiti (1608).
Entrati in possesso del palazzo, i gesuiti si incaricarono della ristrutturazione di tutto il complesso risparmiando la facciata a bugne e il portale marmoreo rinascimentale. La nuova chiesa venne fin da subito chiamata correntemente "del Gesù Nuovo" per distinguerla dall'altra già esistente divenuta per l'occasione "del Gesù Vecchio".
La facciata di palazzo Sanseverino divenne la facciata della chiesa. Essa è caratterizzata da particolari bugne, ossia una sorta di piccole piramidi aggettanti verso l'esterno, normalmente usate in Veneto in epoca rinascimentale. Le pietre a forma piramidale presentano degli strani segni incisi dai tagliapietra napoletani che avevano sagomato la durissima pietra di piperno; questi segni tradizionalmente sono stati interpretati come caratterizzanti le diverse squadre di lavoro che le avevano predisposte durante la costruzione. Già in epoca medioevale, infatti, vi erano a Napoli confraternite di artigiani organizzate sul modello franco templare. Giunti dal nord Europa, gli intagliatori di pietre erano particolarmente abili nel lavorare il duro piperno che era usato largamente in città nell'edilizia pubblica e privata per fare non solo strade, ma anche le scale, le soglie dei balconi e le facciate dei palazzi. Queste confraternite nel periodo Normanno, Svevo ed Angioino, divennero particolarmente importanti e molto ricercate nel successivo periodo rinascimentale. Prima di costruire un edificio importante, sceglievano con cura l’area dove edificare, secondo riti magici antichi, cercando i punti energetici. Trovato il luogo, per proteggere la parte dell’edificio a contatto con gli inferi, usavano porre nelle fondamenta alcune monete per omaggiare i morti.
Gli strani segni incisi che si possono vedere sulla facciata ai lati delle bugne hanno dato luogo a una curiosa leggenda: si pensa che chi fece edificare il palazzo (che a questo punto bisogna presupporre sia stato Roberto Sanseverino) avesse voluto servirsi in fase di costruzione dell’opera e della saggezza dei maestri pipernieri che avevano anche conoscenze esoteriche tramandate solo oralmente e sotto giuramento dai maestri agli apprendisti; tali conoscenze venivano applicate ai lavori in muratura e in particolare alle pietre al fine di caricarle di energia positiva. I segni misteriosi graffiti sulle piramidi della facciata avrebbero dovuto convogliare tutte le forze positive e benevole dall'esterno verso l'interno del palazzo. Per imperizia o malizia dei costruttori, però, queste pietre segnate non furono piazzate correttamente per cui l'effetto fu esattamente opposto: tutto il magnetismo positivo veniva convogliato dall'interno verso l'esterno dell'edificio, attirando così ogni genere di sciagure sul luogo.
Questa sarebbe la ragione per cui nel corso dei secoli tante sventure si sono abbattute su quell'area: nel 1639 ci fu un devastante incendio; nel 1688 ci fu il crollo della originale cupola dopo un terremoto e nonostante fosse stata ricostruita, crollò nuovamente e fu poi sostituita con una diversa e più leggera.
Nel 2010 lo storico dell'arte Vincenzo De Pasquale e i musicologi ungheresi Csar Dors e Lòrànt Réz hanno identificato delle lettere aramaiche nei segni incisi sulle bugne; non solo, ma alcuni segni, letti in successione rappresenterebbero le note di uno spartito da leggersi da destra verso sinistra e dal basso verso l'alto. Si tratterebbe in altre parole di un concerto per strumenti a plettro della durata di quasi tre quarti d'ora al quale gli studiosi hanno dato il titolo di Enigma.
Nella stessa piazza però ci sarebbe anche un altro mistero. A colmare lo spazio di Piazza del Gesù vi è la famosa Guglia dell’Immacolata eretta nel 1747 a opera di padre Francesco Pepe il quale per compiacere il re Carlo di Borbone organizzò una raccolta fondi tra il popolo per decorare l’obelisco. La struttura è altissima e imponente con i suoi circa trenta metri; sulla cima c’è una statua rappresentante la Santa Vergine Maria. Proprio su questa statua circola una sinistra leggenda: si racconta che cambierebbe aspetto durante l’arco del giorno, trasformandosi nella personificazione della Morte; tutto questo forse è solo frutto di normali giochi ottici e di insolite ombre notturne che accosterebbero la scultura dell’Immacolata alla figura della Santa Muerte di origine messicana. Particolari giochi di ombre e luci farebbero apparire quello che è il velo con cui è coperto il capo della Madonna, se visto da dietro, come un viso stilizzato e scheletrico il cui sguardo cupo è diretto verso il basso. Nella mano si intravvederebbe persino uno scettro o secondo alcuni una falce. Tale trasformazione sarebbe la vendetta e la rivendicazione della famiglia Sanseverino, la nobile famiglia caduta in disgrazia e scacciata dalla loro primordiale residenza che poi fu convertita nell’attuale chiesa.
Insomma, Napoli e Roma, dunque, non sono solo accomunate dall’indiscutibile bellezza del loro patrimonio artistico ma sembrerebbero legate da misteriose leggende cariche di esoterismo che hanno sullo sfondo la presenza dell’ordine dei gesuiti.
Allora, per restare ai detti famosi possiamo dire che tutte le strade portano a Roma con la speranza di non imbattersi a Piazza del Gesù in una giornata ventosa; allo stesso tempo nell’omonima piazza napoletana, guardando il bugnato e l’obelisco, facendo i dovuti scongiuri, meglio non pensare al famoso detto “vedi Napoli e poi muori”.
Esiste il paese delle favole? Forse sì e non solo nei libri. Esiste, infatti, un paese nel profondo Sud Italia che potrebbe incarnarlo al meglio.
Alberobello è un comune italiano di poco più di dieci mila abitanti, ai confini della città metropolitana di Bari, ma al centro della Valle d'Itria e della Murgia dei Trulli.
Per l’ignaro visitatore che arriva sul posto il colpo d’occhio è certamente spettacolare: ci si trova catapultati in un altro mondo, immersi in una distesa di case solo apparentemente tutte uguali. Una distesa di tetti grigi e mura bianche: sono le tipiche abitazioni conosciute con il nome di trulli, un modello antico di costruzione spontanea dichiarato dal 6 dicembre 1996 patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO.
Le origini
La parola trullo deriverebbe dal latino turris o dal greco tholos, entrambi con il significato di cupola e rimanda come concetto alle strutture abitative dei popoli primitivi.
Alcuni studiosi ipotizzano un’origine molto particolare e interessante che pone in collegamento Alberobello con la città turca di Harran, terra natia di Abramo; questa città presenta, infatti, costruzioni abitative molto simili proprio ai trulli. Molto probabilmente circa mille anni fa i discendenti di Abramo sono ritornati nella città di Harran per ricostruirla secondo le antiche tradizioni, ma nel frattempo alcune di queste tribù sarebbero arrivati anche nella zona del sud Italia portando forse con sé questa tradizione.
Certamente in questa zona tali costruzioni hanno un’origine antichissima, ma le prime forme non sono arrivate a noi perché nel corso dei secoli si preferiva rifarli ex novo piuttosto che sottoporli a manutenzione. Sebbene, dunque, la tradizione sia arcaica, il loro sviluppo sistematico in loco sembrerebbe legato a un contesto storico ben preciso. Il conte Giangirolamo II, detto dagli storici dell'Ottocento il Guercio delle Puglie perché dopo una battaglia perse un occhio, a partire dal XVII secolo, vista l'abbondanza di materiale (soprattutto pietra calcarea e carsica), obbligava la popolazione locale a costruire le abitazioni solo con muri a secco senza l'uso di malta. Tale obbligo si rendeva necessario come espediente per evitare il pagamento dei tributi al viceré spagnolo del Regno di Napoli; infatti secondo la Pragmatica de Baronibus, legge in vigore fino al XVIII secolo, la costruzione di un nuovo centro abitato comportava in primo luogo il regio assenso e il consecutivo pagamento dei tributi alla Regia Corte. Così al momento del controllo del centro abitato da parte degli emissari del re, i trulli venivano letteralmente smontati a partire dal tetto e rimontati successivamente, proprio per dimostrare che non vi era effettivamente un centro abitato organico.
Solo nel 1797 Alberobello ottenne l'esenzione da ogni richiesta tributaria, grazie alla coraggiosa azione di alcuni abitanti che si recarono dal re Ferdinando IV di Borbone per farne richiesta e spiegandone le motivazioni.
Dovendo quindi utilizzare soltanto pietre, i contadini trovarono la soluzione migliore nella forma rotonda o quadrata con tetto a falsa cupola, composto da cerchi di pietre sovrapposti. I tetti erano abbelliti con pinnacoli decorativi che secondo molti rappresentavano la firma del maestro trullaro che lo aveva costruito o restaurato; ma la forma era ispirata a elementi simbolici, mistici e religiosi o profani. La posa del pinnacolo era un momento di festa per tutta la comunità.
Una struttura particolare
I trulli erano interamente costruiti in pietra e non si utilizzavano né malta né legname né altri mezzi di sostegno o di collegamento. La struttura portante era del tutto particolare e unica. La parte esterna era caratterizzata dalle cosiddette chiancole o chiancarelle di colore grigio mentre il resto del fabbricato era generalmente ricoperto da intonaco bianco.
Per coprire i vani quadrangolari si utilizzavano archi a tutto sesto (semicircolari) costruiti con cèntine di legno che poi venivano eliminate.
La base poggiava su roccia messa a nudo, a base quadrata, ma i vani potevano anche essere rettangolari, specie nei trulli cittadini. L’interno era costituito da un vano principale che si collegava a eventuali altri ambienti divisi quasi sempre da tende mobili e quasi mai da porte.
All’interno la forma conica imponeva il dimensionamento a due piani; al piano superiore (soppalco) in genere si accedeva con una scala interna mobile e non in muratura. La struttura era quindi calda in inverno e fresca in estate.
Una caratteristica importante era la presenza di una cisterna sotterranea dove venivano convogliate le acque piovane.
Nella maggior parte dei casi avevano una o due piccole finestre e nella parte sommitale era presente, come abbiamo visto, il caratteristico pinnacolo che poteva assumere varie forme.
I pinnacoli erano detti anche chiave del trullo, cucurneo o tintinule. Erano generalmente formati da tre pietre soprapposte: una di forma cilindrica, una a forma di scodella o di piatto e di forma sferica. La loro origine e il motivo per il quale venivano messi in cima ci introduce allo studio simbolico ed esoterico. Erano solo decorativi o in realtà avevano anche un significato simbolico? Secondo gli studiosi si possono avanzare tre ipotesi: la prima li considera il tentativo di spingere la costruzione ancor più in alto verso il cielo e si potrebbe dunque ipotizzare un legame con il culto del dio Sole o di altri dei strettamente connessi all’andamento dei lavori agricoli; la seconda li considera, invece, come piccole opere d’arte dei maestri trullari che amavano realizzare piccole sculture artistiche in pietra; la terza, infine, li considera come segno distintivo di gruppi familiari.
I simboli più comuni erano la sfera, il disco, ma non mancavano anche i pinnacoli tetraedrici, cuneiformi, cruciformi e stellati.
I simboli esoterici delle facciate
I pinnacoli non erano gli unici elementi simbolici di queste estrose costruzioni. Infatti, spesso sulle facciate si disegnavano simboli dipinti con calce bianca.
La cosa che stupisce è che venivano posti in strutture abitative costruite e abitate prevalentemente da contadini e quindi in un contesto agro-pastorale che a prima vista potrebbe sembrare distante da una cultura iniziatica più avvezza all’utilizzo dei simboli.
Ciononostante, come detto, è possibile rinvenire simboli che avevano una chiara matrice esoterica pagana o cristiana, altre volte magica o di carattere propiziatoria. In totale sono stati catalogati circa duecento simboli diversi.
La maggior parte dei segni erano di origine religiosa o nello specifico cristiana, infatti molto comune era la croce in varie forme, ma non mancavano anche quelli che rimandavano alla cultura ebraica, come la stella a sei punte e il candelabro a sette bracci.
Nonostante la maggior parte dei simboli riprodotti sulle cupole dei trulli fossero di origine religiosa, ce n’erano molti altri riconducibili alla cultura pagana. In particolare, alcuni facevano parte dell’antico culto degli animali come, per esempio, l’aquila che rappresentava l’anima che aspirava al cielo, la testa del cavallo in riferimento invece al duro lavoro, il bue che indicava lo scongiuro, il cane rappresentativo della famiglia e della fedeltà e il gallo che era un antico simbolo della vigilanza.
C’erano poi simboli primitivi, sicuramente più difficili da identificare e collocare in un periodo preciso. Facevano parte di questa categoria gli intrecci di linee, i punti e le linee curve pertanto ben più difficili da interpretare in funzione simbolica. Nella stessa tipologia ritroviamo anche simbologie di tipo numerico che spesso si rifacevano in particolare ai numeri 3, 5 o 7. Non mancano alcune raffigurazioni della svastica che, al netto del significato politico collegato al nazismo, era invece un emblema molto antico che rievocava la ciclicità della vita, già noto presso le antiche civiltà orientali.
Alcuni trulli erano abbelliti poi con i segni zodiacali, astrologici e planetari. Ognuno di questi simboli aveva un significato preciso, di solito collegato a un auspicio. Per esempio: l’ariete era una preghiera di vita sana e robusta, mentre i segni del Cancro, Leone e Bilancia servivano come augurio di buona fortuna rispettivamente per i genitori, per i bambini e per gli sposi. Altri simboli magici importanti e molto frequenti erano quelli del sole, principio di vita spirituale e materiale e della luna che, invece, rappresentava la protezione nelle ore notturne.
Altri simboli potevano essere ricondotti alla semplice e imperscrutabile fantasia del proprietario o del costruttore; spesso, infatti, ritroviamo le iniziali del nome e del cognome, oppure simboli del lavoro che svolgeva chi abita la struttura (falci, bilance e martelli).
Un altro aspetto simbolico importante possiamo rintracciarlo proprio nella struttura caratteristica del trullo. La forma a cupola non era solo funzionale alle esigenze abitative, ma aveva anche una valenza ancora una volta simbolica: la cupola, infatti, era direttamente collegata al cielo e alla volta celeste e potrebbe rappresentare l’unione di ciò che stava sotto (materia) con ciò che stava in alto (spirito).
Vi erano poi elementi importanti della geometria sacra: a prima vista si potrebbe pensare che tali costruzioni avessero una pianta circolare, mentre invece, come detto, era quadrata. Come abbiamo visto, però, era sormontata da una copertura a base circolare e il passaggio dal perimetro quadrato al cerchio lo si otteneva formando un ottagono per mezzo di quattro "trombe" di sostegno. Ritroviamo, dunque, nello stesso edificio il quadrato, il cerchio e l’ottagono, ma la cosa interessante è che non erano figure slegate ma unite, anzi in evoluzione combinata dal basso verso l’alto. Questo, probabilmente non rispondeva solo a esigenze costruttive ma potrebbe avere una valenza sacra e simbolica.
I trulli, dunque, in conclusione potremmo dire che evocano una dimensione magica e fiabesca come ebbe a dire Tommaso Fiore: «Sono minuscole capanne tonde, dal tetto a cono aguzzo, in cui pare non possa entrare se non un popolo di omini, ognuna con un piccolo comignolo ed una finestrella da bambola, e con quella buffa intonacatura in cima al cono, che è la civetteria della pulizia, e dà l’impressione di un berretto da notte ritto sul cocuzzolo d’un pagliaccio…».«Senza l’Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l’Italia sarebbe molto diversa». Questo dichiarava Umberto Eco a proposito della città sabauda; ma perché ne parlava in questi termini? Solo per ammirazione da parte di chi, come lui, era piemontese o c’era forse altro? Probabilmente oltre alla semplice ammirazione estetica e culturale bisogna evidenziare un aspetto particolare di questa città che forse solleticava le conoscenze esoteriche che lo scrittore aveva e che ha profuso più o meno velatamente anche in molte sue opere letterarie.
Nel caso della citazione, dunque, il semiologo faceva riferimento probabilmente al lato segreto, magico ed esoterico di questa città; aspetto questo che in verità la lega ad altre città europee e mondiali nella costituzione dei cosiddetti triangoli magici delle città.
Il triangolo magico delle città
Prima di mettere in evidenza in che cosa si esplica la valenza esoterica di queste triangolazioni tra città, spesso anche molto distanti tra di loro, bisogna fare alcune considerazioni preliminari ma necessarie su alcuni elementi di geometria, a partire proprio da una figura antichissima, ossia il triangolo. Questa figura geometrica è strettamente legata ovviamente al numero tre. Il simbolismo universale del triangolo si ritrova in tutte le tradizioni e rappresenta essenzialmente la manifestazione del ritorno all’unità primordiale.
Sin dall’antichità esprimeva prevalentemente sia l’idea della divinità, riscontrabile nella simbologia della trinità, sia l’ascesi dell’uomo verso la trascendenza divina. In altre parole, quindi, il microcosmo che si innalza verso il macrocosmo.
Nella tradizione pitagorica, in cui si manifestava come Tetraktys, il triangolo simboleggiava l’ascesa dal molteplice all’Uno. Secondo la peculiare interpretazione alchemica, invece, nell’ordine delle figure chiuse, questa si colloca tra il cerchio e il quadrato, ossia rappresenterebbe un’entità intermedia tra la sostanza astratta, ovvero spirituale e la dimensione materiale. In altri termini, dunque, rappresenta la via di passaggio tra la materia e lo spirito.
Il triangolo è, inoltre, anche la rappresentazione grafica dei quattro elementi (acqua, fuoco, aria e terra). Con la punta verso l’alto simboleggia il fuoco e il sesso maschile, mentre con la punta in basso, invece, indica l’acqua e il sesso femminile. L’equilibrio dei due triangoli è dato dalla loro unione nella forma dell’esagono stellato, cioè la rappresentazione grafica del Sigillo di Salomone, composto dall’incrocio dei due triangoli inversi.
Per tutti questi motivi questa figura è adottata per unire, idealmente nei vertici, alcune città con particolare valenza esoterica.
Possiamo individuare, dunque, il Triangolo della Magia Bianca e il suo opposto, ossia il Triangolo della Magia Nera. Torino fa parte di entrambi questi triangoli: insieme a Londra e a San Francisco prende forma il Triangolo della Magia Nera, mentre insieme a Lione e Praga fa parte del Triangolo della Magia Bianca.
Torino: la città magica
Secondo un’antica tradizione, ai confini della leggenda, il primo nucleo abitativo della città è stato fondato da Fetonte, figlio di Iside dea della magia.
In questa città si pensa, quindi, regnino forze magiche opposte che lottano e si compensano allo stesso tempo. Torino, inoltre, sorge tra due fiumi, il Po e la Dora, che secondo enunciati esoterici, rappresentano simbolicamente il Sole e la Luna. La città piemontese si trova esattamente al centro dell’emisfero boreale e infine è attraversata dal 45° parallelo, oltre che dall’intersezione delle famose e antiche energie delle Linee del Drago. Questo aspetto è in comune con le altre città dei triangoli magici.
La città ospita due oggetti sacri molto venerati. Uno è reale ossia la Sacra Sindone. Questo suggestivo oggetto, nell’antichità, veniva esposto tra le statue di Castore e Polluce presenti in Piazza Castello. La leggenda narra che attraversando il punto in cui veniva esposta ci si ricaricava di energia positiva e di fortuna. L’altro oggetto invece è irreale, ma altrettanto potente. Secondo una tradizione arcaica a Torino sarebbe nascosto il famoso Santo Graal. Il punto in cui era riposto pare essere indicato da una delle statue della Chiesa Gran Madre di Dio. La chiesa, inoltre, ha al suo ingresso due statue, simboleggianti la Fede e la Religione, che secondo una leggenda orienterebbero il loro sguardo proprio laddove sarebbe nascosto il Sacro Graal.
Anche la parte sotterranea della città offrirebbe numerosi spunti interessanti. Sempre sotto Piazza Castello, tra Palazzo Madama e Palazzo Reale, ci sarebbero le cosiddette grotte alchemiche (di difficile accesso) che secondo alcuni sarebbero vie fisiche e mistiche per raggiungere altre dimensioni.
Il lato in cui si concentrano le forze della magia bianca sarebbe la zona est, dopo aver attraversato il cancello di Palazzo Reale. Altro luogo della magia bianca sarebbe la Fontana dei Tritoni che raffigura una ninfa e dei tritoni, tutti figli di Poseidone.
Il punto massimo della magia nera sarebbe, invece, Piazza Statuto, dove si dice ci sia la bocca dell'inferno. Questo era considerato un luogo negativo anche dai Romani a causa della sua disposizione verso Occidente, cioè dove il sole muore; in questa piazza, infatti, venivano effettuate le crocifissioni.
Ad amplificare ancora di più l'energia negativa di questo luogo ci sarebbe poi il Monumento al Traforo del Frejus eretto nel 1879. Questo rappresenta uno sperone di roccia su cui si arrampicano figure bianche e sulla cui cima svetta un angelo della scienza, con in capo una stella a cinque punte. Questo angelo, però, secondo gli esoteristi, rappresenterebbe Lucifero.
Vicino Piazza Statuto, in Via Lessona, si trova inoltre la Domus Marozzo dove avrebbe alloggiato Nostradamus venuto a Torino per curare la sterilità di Margherita di Valois, moglie di Emanuele Filiberto. Qui è presente una lapide con la scritta “Nostradamus ha alloggiato qui, dove c’è il Paradiso, l’Inferno e il Purgatorio. Io mi chiamo la Vittoria, chi mi onora avrà la gloria, chi mi disprezza avrà la rovina intera”.
Sempre a proposito della presenza demoniaca possiamo far riferimento al portone di Palazzo Trucchi di Levaldigi, meglio conosciuto come il Portone del Diavolo. La particolarità che ha contribuito al nome che oggi porta è il batacchio centrale che raffigura il diavolo che scruta i visitatori che bussano. La parte che si prende con la mano per bussare è composta da due serpenti le cui teste si uniscono nel punto centrale. La leggenda narra che il portone sia comparso all’improvviso in una sola notte. Si narra che, quella notte, un apprendista stregone avesse invocato le forze oscure e lo stesso Satana decise di punirlo imprigionandolo dietro il portone; il malcapitato non riuscì mai più ad aprirlo.
Lione
Lione è sorta su quella che era l’antichissima Lugdunum Segusianorum ossia la città di Lug, il dio celtico del sole e delle messi che aveva come animale-totem proprio il leone.
Anche questa città, come Torino, nasce in mezzo a due fiumi: il Rodano e la Saona che simbolicamente rappresentano il dualismo maschile e femminile. Dal punto di vista religioso è situata in un luogo molto particolare, ovvero sulla via che porta verso il pellegrinaggio di Santiago di Compostela. Molti, anche in età antica, prima di intraprendere il cammino preferivano passare da Lione per ricevere la benedizione della Vergine Nera che si trovava all’interno della Basilica di Notre Dame de la Fourviere. Questo è forse il più antico insediamento della città e si trova sulla collina omonima, dove anticamente sorgeva il massimo centro spirituale di Cibele, una dea materna positiva, adorata in forma di pietra nera. Attualmente qui sorge la basilica dove è venerata proprio la Madonna Nera.
Lione è stata la città-dimora di molti Cavalieri Templari e ha ospitato Cagliostro quando vi fondò la prima Loggia Massonica di Rito Egizio. La città, come Torino, ha molti collegamenti con il mondo egizio. Si trova, infatti, sulla ley lines europea che congiunge il sito archeologico e megalitico della città egizia di Karnak.
Praga
Anche Praga, come Torino e Lione, nasce tra due fiumi: la Moldava e l’Elba. La sua fama di luogo magico ebbe particolare risonanza a partire dal XVI secolo sotto il regno di Rodolfo II, noto appassionato di alchimia. Rodolfo accoglieva a corte i personaggi più influenti dell’epoca perché voleva che scoprissero per lui la formula per trasformare il metallo in oro. Tra questi si ricordano Tycho Brahe, Giovanni Keplero, John Dee, Michael Sendivogius ed Edward Kelly.
Un altro sovrano, Carlo IV, era particolarmente interessato sia alla magia che alle arti occulte. Fece costruire il famoso Ponte Carlo carico di simboli mistici.
Un altro simbolo suggestivo della città è certamente l’Orologio Astronomico medioevale che si affaccia sulla Piazza della Città Vecchia. Questo monumento presenta sulla facciata vari simboli legati al numero 4 e quindi ai quattro elementi, ossia l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco.
Praga, come Lione e Torino, avrebbe delle grotte sotterranee dedicate alle attività alchemiche ed esoteriche.
Londra
Londra è il vertice europeo del triangolo della magia nera. Gli efferati crimini avvenuti alla fine dell'Ottocento per mano del killer Jack lo Squartatore, di cui non si è mai saputa l'identità, hanno contribuito a farne capitale del male.
Tantissimi sono poi i luoghi legati ai Cavalieri Templari e all'Ordine degli Ospitalieri. In Fleet Street è visibile il Dragone Alato che porta fiero uno scudo tipicamente crociato ed è un emblema importante e significativo dal punto di vista esoterico.
Altri punti della città sono legati alla Massoneria e alle sue origini. Nella capitale inglese, infatti, nel 1717 nacque la moderna Massoneria. La capitale inglese, infatti, è piena di numerosi simboli massonici come ad esempio la stella a cinque punte che ritroviamo l’ingresso della Cattedrale di Saint Paul. L’opera è dell’architetto Sir Christopher Wren, vissuto nel XVII secolo, membro influente proprio della Massoneria.
Anche Londra presenta un curioso segreto legato al mondo sotterraneo. Secondo una leggenda al di sotto del Saint John’s Gate sarebbe custodito un prezioso pozzo che pare contenesse acqua magica in grado di curare chiunque vi entrasse in contatto.
San Francisco
L’altro vertice del triangolo della Magia Nera si trova a San Francisco. La città è stata fondata dall’antica popolazione degli Oloni e da sempre ha ospitato personaggi fuori dagli schemi. Per esempio è balzata alla cronaca nera per la scia di sangue di cinque omicidi commessi tra il 1968 e il 1974 dal famigerato Zodiac. Tra gli anni ‘70 e ’80, inoltre, ospitò tantissimi personaggi della scena hippie internazionale, tra cui anche assassini e criminali. Tra questi spicca la figura di Charles Manson, una delle personalità più ambigue e discusse degli anni ’70; grazie alle sue abilità riuscì a piegare al suo volere migliaia di persone, spingendole a commettere atti crudeli come omicidi efferati e immotivati.
La metropoli californiana ha anche ospitato alcuni degli esoteristi più famosi della storia, come Anton LaVey che nella seconda metà degli anni ‘60 diede vita alla Chiesa di Satana.
Come abbiamo visto, dunque, queste città, sebbene distanti, hanno alcune caratteristiche in comune ma anche peculiarità che le rendono uniche e magiche.
Ritorniamo all’inizio del nostro viaggio. Fanno riflettere le parole Giorgio De Chirico avvezzo ai temi esoterici: «Torino è la città più profonda, più enigmatica, più inquietante, non d’Italia ma del mondo».