Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Il passo evangelico di Matteo, appena enunciato, ha un valore intrinseco non solo di carattere religioso; questo, infatti, è citato all’interno del romanzo La Cerca del Santo Graal, uno dei testi della saga cavalleresca diffusi a partire dal XII e attribuito al misterioso maestro Gautier Map.
In questo testo Galaad, figlio di Lancillotto, è destinato a porre fine agli eventi sinistri che da tempo immemore affliggono il regno di Logres, ormai definito Terra Guasta. Insieme a centocinquanta cavalieri della Tavola Rotonda, parte alla ricerca del Graal, simbolo della grazia divina e unica speranza di salvezza. Come annunciato dalle profezie, solo due di loro, oltre a Galaad, riusciranno nell’impresa. Dopo lunghe e pericolose avventure, i tre compagni giungono in Oriente nella città di Sarraz, riflesso della Gerusalemme Celeste; un viaggio che simboleggia il ritorno verso la Terra Santa, alle origini del cristianesimo.
La Cerca è un romanzo allegorico, fonte inesauribile di rimandi alle Sacre Scritture e alla mistica cistercense; un “vangelo della cavalleria” scritto per istruire, tramite l’espediente narrativo, la classe dominante del XIII secolo.
Il testo è stato recentemente riportato e tradotto nel libro La Cerca del Santo Graal edito da Rossini Editore a cura di Paolo Spaggiari, laureato in civiltà e lingue straniere moderne, francesista e traduttore di vari testi in lingua d'oïl.
Per iniziare parliamo del panorama letterario riguardante il Graal; quali sono le opere principali?
Il Graal è un elemento celtico trapiantato nell’epica cristiana: il magico calderone dell'abbondanza, presente nel folklore gallese e irlandese, che si trasforma in “cosa santa” nel Perceval di Chrétien de Troyes (1182 c.). In seguito, all’inizio del Duecento, questo motivo letterario viene sviluppato da Robert de Boron che, con il Joseph d’Arimathie, crea la fortunata associazione tra il Graal e il calice usato da Cristo durante l’Ultima Cena. Il Perlesvaus e il ciclo Lancelot-Graal (di cui fa parte anche La Queste del Saint Graal) conservano i nuovi elementi; mentre il Parzival di Eschenbach vede nel Graal una pietra purissima per mezzo della quale la fenice brucia e risorge dalle ceneri.
Perché è importante il romanzo La cerca del Santo Graal?
Credo che sia un’opera ancora poco conosciuta; tutti in qualche modo abbiamo un’idea di cosa sia il Graal, fa parte del nostro immaginario collettivo, ma pochissimi hanno letto quel testo fondamentale della cultura occidentale che è La Cerca del Santo Graal. Esso non è soltanto uno splendido romanzo d’avventura popolato da guerrieri, epiche imprese, demoni e saggi eremiti; oltre il velo letterario, il testo ci offre una sintesi della morale e delle spinte ideologico-spirituali che animavano la società del Duecento. Nella Queste la cristianizzazione del Graal raggiunge il suo apogeo; l’anonimo autore ci lascia un manifesto della cavalleria sacra, costellato dall’esaltazione del rituale eucaristico e da un sottofondo crociato e antiereticale figlio del suo tempo.
Perché l'opera viene definita “vangelo della cavalleria”?
Chi scrive la Cerca lo fa con un chiaro intento: istruire, per mezzo di un romanzo allegorico, la classe dominante del XIII secolo. I monaci sono chiamati a rinnovare la società cristiana, e per farlo individuano nella cavalleria la chiave di questa rivoluzione. Il cavaliere deve liberarsi dalla tracotanza – caratteristica della cavalleria secolare – e farsi umile, divenire servo di Dio per combattere la buona battaglia; deve trasformarsi in miles Christi. Nell’opera, eremiti, preti e monache, istruiscono i cavalieri – chiarendo i loro dubbi – e li aiutano a diventare migliori; ovvero, a diventare cavalieri celesti. L’interpretazione dei misteri legati al Graal e il continuo rimando alle Sacre Scritture danno modo all’autore – probabilmente un cistercense – di veicolare il proprio messaggio al lettore.
Cos’è secondo Lei il Graal? Può avere un collegamento con lo Spirito Santo?
Il Graal rappresenta Dio, la Sua grazia, i Suoi misteri; mentre la Cerca simboleggia il percorso spirituale che l’uomo compie per sanare la frattura con il Padre. Perduti nella Guasta Foresta dell'esistenza ci mettiamo in viaggio nella speranza di ritrovare la “via di casa”. Certamente un collegamento con lo Spirito Santo è possibile notarlo non solo nei parallelismi che il testo ci offre con la Pentecoste, ma anche nella continua presenza di Dio, che attraversa tutto il romanzo per mezzo delle sue ierofanie, le manifestazioni del sacro legate al Santo Graal.
Sappiamo che questo filone letterario è pregno di simbologie. Quali sono quelle più importanti in questo testo?
Credo che il simbolismo più influente nell’opera sia quello legato all’Eucaristia e in particolare al dogma della presenza reale. Oltre agli elementi accomunati al rituale eucaristico, primo fra tutti il Graal – associato al calice usato per officiare la messa –, nel testo troviamo una singolare e potente drammatizzazione della transustanziazione: l’ostia sollevata dal celebrante si fa carne e dal vaso liturgico sorge Cristo sanguinante; il Salvatore in persona si avvicina ai fedeli e li comunica con il Corpus Domini; Egli, infatti, è al tempo stesso sacerdote e sacrificio.
Molto affascinanti sono i nomi legati ai personaggi: Vero Cavaliere, Re Ferito, Re Pescatore; cosa rappresentano queste figure?
Il Vero Cavaliere – Galaad – è la personificazione del modello che l’autore si prefigge per la nuova cavalleria; il cavaliere perfetto, colui che non combatte per vanagloria, ma per la fede e la giustizia, per il Regno di Dio. Il Re Pescatore fa la sua comparsa nel Perceval di Chrétien de Troyes e, da lì in poi, assumerà il significato di custode del Graal. Questa figura è strettamente connessa a quella del Re Ferito – spesso infatti i personaggi coincidono – e si collega a un motivo ricorrente nel ciclo arturiano, quello del Colpo Doloroso: un colpo di spada o di lancia ferisce il re e la sua terra smette di dare frutto; solo l’eroe – nel nostro caso Galaad – potrà salvarlo e con esso salvare la Terra Guasta.
Nel romanzo si parla anche del peccato originale aggiungendo però dei particolari molto importanti. Cosa pensa a riguardo?
Il peccato originale è un tema complesso sul quale spesso si crea confusione. Quello che condividiamo con la caduta dei nostri progenitori non è la colpa, ma la condizione che ne deriva, ovvero l'allontanamento da Dio. Tuttavia, non dobbiamo rassegnarci alla disperazione, il Padre ci offre la possibilità di ritornare a Lui, il Suo desiderio è quello di riaverci. Citando il romanzo, la voce divina dice ad Adamo ed Eva una volta cacciati dall'Eden: «Gente di poca fede, perché vi giudicate morti? Non date nulla per perduto, poiché vi è più vita che morte». La Cerca, in questo passaggio, attinge liberamente ai primi capitoli di Genesi e alla Leggenda della Vera Croce: Eva porta con sé dal Paradiso un rametto da cui crescerà l'Albero della Vita; esso rappresenta in maniera allegorica la croce di Cristo, che con il Suo sacrificio ci ha donato la Salvezza.
Una parte molto importante della storia riguarda il leggendario Seggio Periglioso della famosa Tavola Rotonda.
La Tavola Rotonda – come ci illustra Merlino – con la sua forma rappresenta l'universo, la terra, il cielo, le stelle; potremmo dire che è lo spazio in cui viviamo, il nostro mondo. Per i cavalieri è un luogo di incontro tra pari, dove ognuno gioisce della compagnia dei fratelli d’arme. Essa, però, simboleggia anche la tavola di Cristo, per questo ha un seggio speciale riservato a colui che è guida e maestro dei cavalieri-apostoli: il Seggio Periglioso; nessuno può sedersi su di esso impunemente, chiunque osa occuparlo senza diritto incorre in pericoli mortali.
Qual è, secondo Lei, alla fine il messaggio simbolico di questo testo?
Tutti noi siamo chiamati a partire – lasciando ogni cosa: le nostre paure, le nostre passioni – e incamminarci come pellegrini alla ricerca di Cristo. Il mondo ha bisogno di cambiare, da sempre; la società ha bisogno di evolvere. L'anonimo autore della Queste crede nella necessità di una nuova era – prefigurata da Gioacchino da Fiore – in cui l'uomo raggiungerà la perfezione cristiana e il Regno di Dio sarà realizzato come in cielo, così in terra. La Cerca è un viaggio da compiere in primis dentro di noi, per ritrovare il legame con il divino; e poi, fuori da noi per lottare contro il Male e portare la Luce nel mondo. Non ci sono tesori da disseppellire, terre lontane da esplorare, reliquie da recuperare; il Graal non è un oggetto né un segreto occulto, ma il riflesso di Dio.
Potenza è un capoluogo di provincia in una regione, come la Basilicata, del profondo sud. Profondo come il mistero che avvolge ancora uno dei fatti di cronaca che ha tenuto banco nell’Italia degli anni ’90. C’è un prima e un dopo che segna distintamente la storia di questa città; quella linea di demarcazione ha una data: 12 settembre 1993 ossia quando misteriosamente scompare Elisa Claps una studentessa sedicenne. Poi c’è un dopo lungo oltre diciassette anni fatto di indagini, sospetti, insabbiamenti, mistificazioni che, comunque, non si concludono con il ritrovamento del cadavere nel sottotetto della chiesa della Trinità in pieno centro proprio a Potenza.
Ripercorriamo l’intera vicenda in occasione dell’uscita del libro dal titolo Elisa Claps: indagine nell’abisso della Chiesa della Trinità scritto a quattro mani da Fabio Amendolara e Fabrizio Di Vito che a 30 anni dall'omicidio con gli strumenti del giornalismo investigativo hanno analizzato e ricostruito ogni particolare del caso, consegnando al lettore tutte le drammatiche e clamorose scoperte.
Il caso Elisa Claps ha attraversato per decenni la cronaca nera italiana; ma prima di entrare nel merito sarebbe opportuno descrivere brevemente il quadro politico e sociale della città di Potenza negli anni della scomparsa.
1993: sono gli anni del controllo territoriale della Democrazia cristiana. Proprio nei giorni della scomparsa viene inaugurato lo stabilimento Fiat a Melfi e questo è un dettaglio che pesa non poco sulle prime indagini. Potenza, città di provincia dove si mormora su qualsiasi cosa accada, ha all’epoca una piccola questura con personale poco avvezzo a indagare su fatti di sangue.
Ricostruiamo l’intera vicenda cercando di mettere in evidenza i caratteri dei due protagonisti: Elisa Claps e Danilo Restivo.
I profili dei due protagonisti vengono tracciati in modo dettagliato da chi ha indagato: lei viene descritta come una ragazza modello, dedita alla famiglia, di personalità mite e accogliente, che prende a cuore chi viene emarginato. Lui come un soggetto con molte personalità, che se ne andava in giro per la città a tagliare i capelli alle ragazze, che faceva stalking alle sue vicine di casa e che da ragazzino aveva accoltellato al collo un coetaneo. Restivo già presentava, insomma, una serie di elementi che non potevano essere trascurati, come invece è accaduto per molti anni.
Arriviamo, dunque, a quel famoso giorno della sparizione; quali sono i punti oscuri secondo gli autori del libro?
Intanto dall’analisi degli atti della prima inchiesta è emersa subito la sciatteria con cui sono state condotte le indagini. Partiamo dalla dichiarazione di Danilo Restivo. Ai poliziotti conferma di aver incontrato Elisa quella domenica mattina, di essersi fermato con lei a parlare nella chiesa della Trinità (che è la parrocchia della borghesia potentina) e di averla vista uscire mentre lui si era fermato a pregare. Questa parte della sua dichiarazione viene ritenuta da chi indagava credibile, tanto che in chiesa non è stata disposta una perquisizione e neppure un semplice sopralluogo. La seconda parte della sua dichiarazione, invece, è questa: Restivo sostiene di essere entrato a curiosare nel cantiere delle scale mobile (che in quel periodo erano in costruzione), di essere ruzzolato da una scalinata e di essersi ritrovato con una scheggia metallica infilata tra il pollice e l’indice di una mano e, per questo motivo, è poi andato in ospedale a farsi medicare. Bene, questa seconda parte della sua dichiarazione, secondo gli investigatori dell’epoca, non era credibile, tanto che nel cantiere delle scale mobili è stata concentrata gran parte dell’attività investigativa: vengono effettuati rilievi scientifici, fotografie, video e perfino simulazioni della caduta per accertarne la dinamica. Ma non è finita: Restivo confessa subito di avere anche un movente e arriva a sostenere di essere innamorato di Elisa ma di essere stato rifiutato. Serviva qualcos’altro? Eppure per tantissimi anni è stato ritenuto solo un bugiardo e non un brutale assassino.
Veniamo alle indagini: quali sono essenzialmente gli aspetti che hanno caratterizzato l’intera vicenda giudiziaria?
Centinaia di sviste e di omissioni. L’inchiesta sull’omicidio di Elisa Claps è il manuale di ciò che non deve essere fatto in un’indagine giudiziaria. Reperti mai analizzati, dichiarazioni contraddittorie prese per buone, falsi testimoni dell’epoca che dopo il ritrovamento non sono stati risentiti. E perfino una stranissima prescrizione, che riguarda il genetista che non ha trovato il Dna sulla maglia che indossava Elisa il giorno dell’omicidio. Il Dna è stato poi trovato dai carabinieri del RIS e il genetista è finito sotto inchiesta. Bene, pur essendo stato rinviato a giudizio, il processo a suo carico si prescrive già in primo grado. Un avvocato che qualche tempo fa ha scritto una recensione del nostro libro ha sostenuto che sarebbe stato più semplice giustificare un’assoluzione che spiegare quella prescrizione.
Il fulcro della vicenda è il ritrovamento del corpo della ragazza. Nel libro riportate che «Non è facile entrare nell’abisso della chiesa della Trinità e solo chi conosce a fondo quella struttura sa come raggiungere il sottotetto». Perché questo sembra essere un aspetto importante?
Importante lo è sicuramente. Chiunque ha immaginato in questi anni un posto agevole dove in tanti sono entrati a fare di tutto si sbaglia. Poteva arrivarci solo chi conosceva bene l’ambiente. È vero che era un’alcova dove si consumavano rapporti sessuali (lo provano tracce di sperma su un materasso e un graffito sul muro in cui è stato scritto «sono stato qui con una bella ragazza alla faccia del prete»), ma questo prova proprio che era isolato e poco frequentato. Lì Restivo ha potuto agire indisturbato, così come ha avuto tutto il tempo chi l’ha aiutato successivamente a occultare il cadavere.
Alla luce della vostra accurata indagine giornalistica quali sono attualmente ancora i punti oscuri e poco chiari?
Questa storia è stata raccontata sotto ogni aspetto e dopo il ritrovamento ci si è concentrati solo sugli esponenti della Chiesa le cui dichiarazioni apparivano contraddittorie e il cui comportamento sembrava omissivo. Ci si è concentrati anche sulle due signore delle pulizie accusate di aver visto i resti di Elisa qualche settimana prima. Il sacerdote brasiliano don Wagno, inoltre, ha ammesso di aver visto il corpo di Elisa già tempo prima. Un segmento, però, non è stato mai esplorato ed è legato proprio a chi ha aiutato Restivo a occultare il cadavere e a farla franca per 17 anni. Il paradosso è questo: gli inquirenti si sono concentrati su chi ha fatto trovare i resti di Elisa e non su chi li ha nascosti. Incredibile.
La morte di Elisa è un composito puzzle fatto di tanti misteri; per esempio sotto il corpo è stato trovato uno strano bottone rosso presumibilmente tipico dell’abito cardinalizio…
In effetti in un primo momento si era pensato all’abito talare di don Mimì Sabia, che era il parroco della Trinità e che durante la sua testimonianza al processo di Restivo per false dichiarazioni al pubblico ministero aveva parzialmente mentito, ma un’indagine merceologica ha stabilito che si trattava di un bottone di colore rosso ponsò, tipico delle tonache cardinalizie. La coincidenza inquietante è che proprio nel 1993 l’unico cardinale in visita alla città di Potenza è Joseph Ratzinger, il futuro papa Benedetto. Non c’è però traccia di un suo ingresso nella chiesa della Trinità.
In quello che sembra un “semplice” fatto di cronaca in realtà sembrano coinvolti tantissimi soggetti anche istituzionali, come per esempio addirittura anche il SISDE? Come mai secondo voi così tanto interesse per la vicenda?
Il Sisde sembra essere inciampato nel caso Claps. C’è finito per caso. Mentre gli 007 si occupavano di criminalità organizzata una loro fonte ha svelato che Elisa era stata uccisa lo stesso giorno della scomparsa e che il suo corpo era stato occultato in un posto «isolato» ma «frequentato». A ripensarci oggi sembra l’identikit del sottotetto. Inoltre, il rapporto del Sisde è del 1997, ovvero quando ancora tutti ritenevano che Elisa fosse ancora viva (addirittura nel 2006 il questore di Potenza fa invecchiare la foto della vittima dalla polizia Scientifica, ritenendo che si trattasse ancora di una scomparsa).
Com’è cambiata, secondo voi, la città di Potenza alla luce di questa storia?
I potentini, dopo il ritrovamento in chiesa, hanno messo da parte la maglietta da tifosi che li divideva tra colpevolisti e innocentisti e hanno continuato a dividersi tra chi non vedeva l’ora della riapertura al culto della Trinità e chi vorrebbe abbatterla. Si manifesta davanti alla chiesa, dimenticando però che la stessa animazione bisognerebbe riservarla a tutte le istituzioni che, chiamate in causa, hanno impedito il ritrovamento dei resti di Elisa e non hanno ancora inchiodato chi ha aiutato Restivo.