Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Questa è la capitale dei contadini, il cuore nascosto della loro antichissima civiltà. Chiunque veda Matera non può che restarne colpito, tanto è direttamente espressiva e toccante la sua dolente bellezza. In essa vive la miseria nobile e civile dei contadini, filtrata attraverso l’eterno del tempo, continua sotto tutti i soli e tutte le piogge, ripiegata su sé stessa, chiusa nella terra come una cosa preziosa, di fronte a un mondo ostile». Queste le parole con le quali Carlo Levi, scrittore torinese esiliato in Basilicata dal fascismo, descriveva la città dei Sassi nel 1952. La “dolente bellezza” esprime con tutta la forza espressiva il senso di una città unica, incastonata nel bel mezzo del Sud Italia, in un territorio particolare già a partire dalla sua conformazione geologica. Una città “magica” e non solo per la sua bellezza. Alcuni luoghi della città, infatti, sono punti di interesse esoterici non di poco conto che nascondono conoscenze e simboli stratificati nel tempo.
Uno sguardo sulla città
La prima cosa che nota un viaggiatore che arriva a Matera è certamente l’unicità della conformazione del territorio. Un paesaggio lunare che richiama alla memoria i luoghi caratteristici del Medio Oriente e proprio con questi si contende il primato tra le città più antiche al mondo. Un territorio solo in apparenza inospitale che, invece, paradossalmente è stato abitato a partire da tempi antichissimi proprio per la naturale predisposizione degli anfratti rocciosi a essere utilizzati come dimore primitive.
Matera, infatti, è denominata anche la "Città dei Sassi": i caratteristici rioni del centro storico originario sono costituiti da case scavate nella roccia e a essa aggrappate da tempo immemorabile, sospese e in bilico in una dimensione surreale. I Sassi sono stati nominati nell'assemblea di Cartagena de Indias (Colombia) il 9 dicembre 1993 Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, primo sito dell'Italia meridionale a ricevere tale riconoscimento. Questo complesso e affascinante ecosistema urbano di case-grotta erano certamente abitate già dal Neolitico. Le origini di Matera, come detto, sono molto remote e ne è testimonianza il ritrovamento nel territorio circostante di alcuni insediamenti senza soluzione di continuità. I Sassi sono inseriti in una profonda gravina, ossia una particolarissima conformazione idrogeologica tipica delle Murge a cavallo tra Basilicata e Puglia, dove l'acqua ha scavato nei millenni la roccia calcarea creando dei canyon profondissimi e aridi.
Questo suggestivo panorama ha ispirato innumerevoli registi; per citarne solo alcuni: Pasolini con “Il Vangelo secondo Matteo”, Mel Gibson con “La Passione di Cristo”, i fratelli Taviani con “Il sole anche di notte” e “Allosanfan”, Tornatore con “L'Uomo delle stelle” e Francesco Rosi con” I tre fratelli” e “Cristo si è fermato ad Eboli”.
La “magia” di Matera
La pianta del nucleo urbano più antico di Matera vista dall'alto si presenta con la stessa forma di un'omega greca. A questa lettera in genere viene attribuita la valenza della conclusione di un ciclo o, comunque, del termine della vita. Nella particolare conformazione urbana della città si può notare un’inversione di questo significato. È interessante notare, infatti, come in passato i tetti a volte delle case servivano come loculi per la sepoltura: i vivi sottoterra e i defunti in superficie. Così riportava il cronista Verricelli nella sua “Cronica de la città di Matera” nel 1595: «in Matera li morti stanno sopra li vivi». Un posto magico, dunque, dalla valenza esoterica notevole che richiama alla mente il motto alchemico “come sopra così sotto” e mette in contatto simbolicamente il microcosmo con il macrocosmo e il sotterraneo con la superficie. Un concetto questo che ritroviamo anche nella formula del Padre Nostro “come in terra così in cielo”. All'imbrunire gli abitanti accendevano i loro lumi al di fuori delle abitazioni, così allo spettatore che guardava dall'alto, i Sassi si illuminavano come un cielo stellato; quindi a Matera, concludeva il cronista cinquecentesco, come i morti sono sopra i vivi, il cielo e le stelle si possono vedere al di sotto dei piedi degli uomini. In passato tale immagine aveva talmente impressionato i visitatori che un'interpretazione suggestiva farebbe risalire l'origine del nome Matera al greco “metereon” ossia meteora, che indica proprio il cielo stellato.
Altri studiosi, invece, ricollegano il toponimo a “mater” ovvero alla "madre terra" e a “matheria” o “materies”, termini che indicavano la legna da taglio o da costruzione, in riferimento alle zone boschive in cui la città sorgeva; altri ancora collegano il toponimo al termine ebraico “Me terah” che starebbe a indicare l’acqua pura. Come si può notare si tratta di ipotesi che celano significati fortemente simbolici. Allargando, poi, lo sguardo anche all’origine del primo nome della regione e cioè quello di Lucania, secondo alcuni storici questo deriverebbe dal latino "lucus" che significa ancora una volta bosco. Secondo altri storici, invece, il nome Lucania potrebbe avere la stessa radice semantica della parola "luci" o addirittura richiamerebbe i "Luci", lontanissimi progenitori giunti dall’Oriente attraverso le coste illiriche intorno al 1.500 a.C. Quest’ultima ipotesi troverebbe un collegamento diretto anche con l’evidenza etimologica del nome della città di Matera, come già detto, nel riferimento al cielo stellato.
Matera può essere considerata a tutti gli effetti una città alchemica per la suddivisione in due piani; proprio per questa è conosciuta anche come la “città sotterranea”. Lungo tutto il centro storico corrono, infatti, un fittissimo dedalo di sotterranei, di cunicoli e anfratti: un’altra misteriosa città a specchio rispetto a quella presente in superficie. In passato questo complesso sistema sotterraneo è stato utilizzato in maniera ingegnosa per la regimentazione delle acque; questa particolarità è stata presa in considerazione ed è stata determinante per l’attribuzione del riconoscimento di patrimonio dell’umanità. In quest’ottica l’ipotesi che il nome della città possa derivare, come detto, dal termine ebraico “Me terah” (acqua pura) assumerebbe una valenza particolare. Il concetto dell’acqua che scorre nel mondo sotterraneo dal punto di vista simbolico ha molti significati anche ambivalenti che si possono sintetizzare attraverso il richiamo di quattro concetti fondamentali: vita, morte, rinascita e purificazione della vita. Per gli antichi le grotte, le gole profonde, le aperture nel terreno e le fenditure erano considerati delle zone di accesso al mondo dei morti. Per esempio è da notare che l’Acheronte ha una parte sotterranea del suo corso che poi sfocia nella palude detta Acherusia, giusto dove si collocava l’ingresso agli inferi (Odissea X, 513).
La cattedrale misteriosa
Matera si presenta come un vero e proprio percorso iniziatico bidirezionale dal basso verso l’alto e viceversa che mette in contatto idealmente il mondo materiale con quello spirituale passando attraverso gli anfratti della Gravina, uno stato intermedio e una sorte di limbo a metà strada tra il mondo sotterraneo e quello di superficie. La parte visibile più importante dove idealmente culmina il percorso iniziatico è costituita dalla cattedrale collocata nella parte più alta della vecchia civita. I lavori di edificazione si conclusero nel 1270 nel luogo dove già esistevano le rovine di un monastero benedettino dedicato a Sant’Eustachio. L’impianto stilistico complessivo è tardo romanico. Nella facciata è presente un rosone a sedici raggi con piccole figure umane che sembrano sorreggerlo e donarlo alla Vergine e al Bambino, anch’essi presenti sulla facciata e incorniciati da esili colonnine in marmo bianco che sostengono piccoli archetti pensili. La prima figura in alto ha un’identità certa: si tratterebbe dell’Arcangelo Michele che sconfigge il Drago. Le altre figure sono tre telamoni e potrebbero richiamare elementi della mitologia greca; in particolare la raffigurazione posta in basso potrebbe essere riconducibile al mito di Atlante, ossia il figlio di Zeus che lo costrinse a tenere sulle spalle l'intera volta celeste. Nella parte laterale si possono notare dei protomi, ossia volti umani e animali dalle espressioni inquietanti.
L’altro elemento esoterico della cattedrale è certamente il rosone centrale. Questo dal punto di vista architettonico rappresenta un motivo decorativo a forma di finestrone circolare applicato alla facciata, ma, in realtà, simbolicamente indica una ruota a raggi che secondo la tradizione cristiana esplicita il dominio di Cristo sulla Terra. Questo elemento, inoltre, indica anche la ruota della fortuna ossia la ciclicità del destino umano. Il significato simbolico del rosone è pertanto in stretta relazione con il cerchio che, come "linea infinita", senza inizio e senza fine, simboleggia Dio e l’eternità.
Tra sacro e profano
Il Duomo è dedicato alla Madonna della Bruna che è anche la protettrice della città. La festa patronale si celebra il 2 luglio di ogni anno sin dal lontano 1389, quando Papa Urbano VI, già arcivescovo di Matera, istituì la festa della Visitazione.
All’origine dell’appellativo della "Madonna della Bruna" sono attribuite diverse ipotesi: la prima è che derivi dal termine altomedioevale longobardo “brùnja” che indicava la corazza, ossia la protezione dei cavalieri; altri, invece, sostengono che derivi da Hebron, città della Giudea dove la Vergine si recò per la visitazione a Elisabetta; infine un'ultima ipotesi è che il nome derivi dal colore olivastro del viso della Vergine. Proprio quest’ultima possibilità metterebbe in rapporto questo culto con quello antichissimo di Iside, presente nella cultura egizia e solitamente raffigurata come una donna vestita con una lunga tunica che recava sul capo il simbolo del trono. Più tardi, in associazione con Hathor, è stata raffigurata con le corna bovine, tra le quali è racchiuso il sole. Potrebbe sembrare solo una coincidenza ma nello stemma della città è raffigurato proprio un bue.
La festa più importante per i materani ha delle peculiarità degne di note e certamente uniche. La statua della Madonna della Bruna viene ogni anno issata su un nuovo carro trionfale e portata in processione per le vie cittadine. Il caratteristico mezzo di trasporto è realizzato in cartapesta ed è trainato da quattro coppie di muli; giunto in Cattedrale compie tre giri della piazza in segno di benedizione della città e subito dopo la statua della Madonna viene fatta scendere dal carro per essere deposta nella cattedrale; così inizia l'ultima parte del tragitto verso la piazza centrale dove il carro viene assaltato e distrutto dalla folla. Questo è un rito collettivo di rinascita e di rigenerazione antichissimo, originale e unico.
L'origine della tradizione della distruzione del carro è narrata da una leggenda secondo la quale i Materani, per evitare che il quadro della Madonna fosse rubato e distrutto dai Saraceni che assediavano la città, lo nascosero prima su un carretto e poi, messo in salvo il quadro, distrussero loro stessi il traino pur di non far cadere le sacre immagini nelle mani degli infedeli. Alcuni storici locali, invece, sostengono che nel XVI secolo il conte Giovan Carlo Tramontano, all'epoca signore di Matera, avesse fatto grandi promesse al popolo materano per dare maggiore solennità alle celebrazioni del 2 luglio, compreso un carro nuovo ogni anno. I cittadini materani così, per mettere alla prova il mal sopportato tiranno, assaltarono il carro trionfale costringendo il conte a mantenere la sua promessa. Le prime testimonianze concrete sull'esistenza di un carro trionfale rimandano tuttavia all'anno 1690.
È importante notare come la tradizione della distruzione del carro si possa mettere in relazione con la mitologia astronomica della costellazione del Gran Carro e quindi dell’Orsa Maggiore; a questa costellazione è legato il mito di Crono, padre di Zeus, che ogni anno inghiottiva i figli partoriti dalla moglie Rea. Un giorno, però, la moglie per salvare il proprio figlio consegnò una pietra avvolta in fasce, portando in salvo il bambino in una grotta. L’assalto al carro potrebbe essere la rappresentazione della vendetta distruttrice di Crono; non a caso il cosiddetto “strazzo” del carro avviene proprio subito dopo la deposizione della madonna con il suo bambino.
Il castello fiabesco
Gli elementi esoterici della città lucana non finiscono qui. Esiste, per esempio, in pieno centro e a pochi metri dalla piazza centrale un curioso e stravagante palazzotto che da molti anni attira l’attenzione dei passanti e dei turisti. Lo stabile si sviluppa su tre piani ed è conosciuto come il “castello fiabesco”. La villa è stata costruita nell’800 e si compone di quattro stanze. Per tanti anni ha intimorito i bambini, convinti che all’interno ci fossero dei fantasmi. Ma perché è così strano questo edificio? Principalmente perché è avvolto da un fitto mistero già per la sua strana conformazione: la sua facciata è contorniata da figure geometriche, da merletti e da guglie arabeggianti. Sulla parte esterna poi è presente una curiosa frase latina “donec Erunt Ignes” che vuol dire “finché saranno i fuochi”. Si tratterebbe di un’espressione utilizzata da Fulcanelli per indicare il “Fuoco Segreto, l'Agente Spirituale Universale, l'Anima Mundi”, senza la quale ogni operazione è vana. Nel suo libro, “Le Dimore Filosofali”, scrive che senza questo “Fuoco Segreto” né la Vita esisterebbe né potrebbe evolversi: «la nostra nascita è il risultato della sua incarnazione; la nostra vita, l'effetto del suo dinamismo; la nostra morte la conseguenza della sua scomparsa». All’ingresso principale si può accedere tramite due scale; sul pianerottolo della prima scala è disegnato un quadrato di colore rosso che contiene un ottagono ispirato alla forma del maniero di Castel del Monte. Nell’altra scala, invece, è disegnato un quadrato magico che ricorda un labirinto dove al centro è disegnato un fiore con otto petali. È importante notare, dunque, la presenza costante del numero otto che richiama la figura geometrica dell’ottagono e di riflesso i suoi particolari significati esoterici collegati alla resurrezione e all’infinito. Il numero otto lo ritroviamo anche nella venerazione della Madonna della Bruna perché la sua istituzione è collegata all’avvenimento biblico della Visitazione, ossia la visita che Maria Vergine fece alla sua parente Elisabetta dopo avere ricevuto l'annuncio che sarebbe diventata madre di Gesù per opera dello Spirito Santo. Tale ricorrenza ricade il 2 luglio, proprio otto giorni dopo il 25 giugno quando si celebra San Giovanni Battista, data per altro molto importante anche negli ambienti massonici.
Le curiosità non finiscono qui: sulla parete presente sul fianco sinistro si nota un quadrato di parole conosciuto come il “Sator”, ossia una misteriosa iscrizione latina costituita con le parole in forma di quadrato magico palindromo: SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS. La caratteristica principale di questa iscrizione è che si può leggere in tutti i versi; una raffigurazione simile è stata rinvenuta anche negli Scavi di Pompei, ma il suo vero significato è avvolto ancora nel mistero.
Matera, dunque, è davvero una città magica e misteriosa che non finisce mai di stupire per la sua bellezza e per le sue curiosità: da capitale dei contadini a Capitale Europea della Cultura nel 2019, mantenendo intatto il suo fascino millenario.
«In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l'impero. Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città. Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto; ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. In quella stessa regione c'erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore. L'angelo disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”».
Nel secondo versetto del Vangelo di Luca così viene descritto l’evento più importante nella storia dell’umanità. Il Natale è certamente la festa più importante dell’anno e quella dal punto di vista religioso più carica di significati, sebbene proprio la valenza religiosa si confonde con altri aspetti più prosaici: il consumismo, i regali e le vacanze.
Certamente la Natività riveste un’importanza notevole, tanto da determinare addirittura uno spartiacque nella datazione storica ufficiale: l’anno zero, infatti, per convenzione è proprio quello della nascita di Cristo.
Tutti sappiamo, dunque, che il Natale è la festa più importante del cristianesimo con la quale viene ricordata la nascita di Gesù: un fatto scontato e banale, eppure non è propriamente così.
Cosa dicono i vangeli
I vangeli sinottici descrivono l’avvenimento più o meno alla stessa maniera con qualche lieve discrepanza narrativa, ma stranamente, a dispetto dell’importanza dell’evento, però in essi non è indicata con esattezza né il giorno, né il mese né tanto meno l’anno.
La narrazione della natività di Gesù è contenuta nel Vangelo di Matteo, in quello di Luca oltre che in quello apocrifo di Giacomo.
Certo, i vangeli non possono essere tout court assimilabili al rango di fonte storica, ma l’assenza della collocazione temporale precisa fa riflettere, alla luce del fatto che nel testo biblico altri avvenimenti, anche minori, hanno riferimenti temporali spesso abbastanza precisi.
Secondo il Vangelo di Luca, come abbiamo visto, sappiamo che Gesù Cristo è nato sotto l’impero di Cesare Augusto perché è scritto espressamente che fu proprio lui a emanare il decreto del censimento; sappiamo anche che quando è nato Gesù regnava sulla Giudea Erode il Grande (Matteo 2:1); sappiamo, inoltre, che quella stessa notte nelle vicinanze vi erano dei pastori che stavano nei campi e facevano la guardia al loro gregge e che a essi apparve un angelo del Signore per annunciare la nascita del Salvatore (Luca 2:8-14). Quest’ultimo elemento è fondamentale perché ci fornisce un indizio importante: in quella zona difficilmente nel periodo di dicembre i pastori avrebbero potuto sostare all’aperto nelle tende. Molto probabilmente, invece, il periodo decritto potrebbe essere quello della Festa delle Capanne che era celebrata il quindicesimo giorno del settimo mese per ricordare che gli Israeliti avevano dimorato nelle tende durante il loro pellegrinaggio nel deserto (Deuteronomio 16:13-15; Levitico 23:34). Si tratterebbe del periodo corrispondente circa alla metà del mese di settembre.
Allora da dove deriva effettivamente la celebrazione del Natale nella data del 25 dicembre? È effettivamente questa?
L’incognita della data
Al contrario di quanto si possa pensare non vi è una certezza assoluta che il 25 dicembre sia effettivamente la data “giusta” per celebrare la nascita di Gesù. Anzi, alcuni elementi portano a pensare il contrario.
Una prima ipotesi parte da una possibile lettura simbolica della data di nascita: dato che la data della morte di Gesù nei vangeli si colloca tra il 25 marzo e il 6 aprile del nostro calendario, per calcolare la data di nascita secondo alcuni studiosi si sarebbe seguita la credenza che la morte sia avvenuta nell'anniversario della sua venuta al mondo. Secondo questa ipotesi si è tenuto conto che Gesù fosse morto nell'anniversario della sua incarnazione o concezione (non della sua nascita) e così si è pensato che la sua data di nascita dovesse cadere nove mesi dopo la data del Venerdì Santo, cioè tra il 25 dicembre e il 6 gennaio.
Si giunge, però, a un’altra soluzione procedendo in base alle informazioni rintracciabili nei passi del vangelo. La ricerca parte dalla descrizione dei turni del sacrificio al tempio del sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni il Battista. L'evangelista Luca ci dice che Zaccaria era sacerdote della classe di Abijah. Costui esercitava le sue funzioni nel tempio quando l'angelo Gabriele gli annunciò la nascita del figlio (Luca, 1, 5-13). Secondo il calendario qumranico solare i turni per il servizio nel tempio della famiglia di Abijah capitavano due volte all'anno: dall' 8 al 14 del terzo mese e dal 24 al 30 dell'ottavo mese. Ponendo la data del servizio al tempio di Zaccaria nel secondo turno corrispondente all’ultima decade di settembre e interpolando questo dato con la data dell'annunciazione dell'angelo a Maria nel sesto mese successivo al concepimento di Giovanni (Luca, 1, 26), risulta, dunque, che la nascita di Gesù si dovrebbe collocare intorno al 23 settembre. Questa tesi potrebbe essere in linea con quanto narrato nel vangelo di Luca a proposito del particolare dei pastori delle tende poiché il periodo intorno alla metà del mese di settembre coinciderebbe con la Festa delle Capanne quando abitualmente i pastori dimoravano abitualmente nelle tende.
Una terza ipotesi, infine, farebbe coincidere la data proprio con il 25 dicembre seguendo questa sequenza: l’annuncio di Gabriele a Zaccaria della nascita di Giovanni Battista (23 settembre), l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria avvenuta (25 marzo) e, infine, la nascita di Gesù avvenuta nove mesi dopo (25 dicembre).
Per quanto riguarda l'anno il problema è più complesso. Abbiamo due avvenimenti come punti di riferimento: la morte di Erode il Grande e il censimento di Quirinio. Nel 63 a.C. con la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo, la Palestina è divenuta provincia romana. Il senatore Publio Sulpicio Quirinio (morto nel 21 d.C.) è stato governatore della Siria una prima volta dal 12 all’8 a.C. e una seconda nel 6 o 7 d.C. Il primo mandato di Quirinio è terminato nell' 8 a.C., perciò la nascita di Gesù cadrebbe nel periodo del primo censimento citato anche da Luca e in anticipato su quello che consideriamo come l'anno “zero”, cioè quindi nel 6 0 7 a. C.
L’istituzione della festività
Quasi sicuramente in origine il Natale non veniva affatto festeggiato né ricordato. Intorno al 200 d.C., secondo quanto riportato da Clemente Alessandrino, per alcuni era il 19 aprile, per altri il 20 maggio, mentre lo stesso Clemente credeva che la data esatta fosse il 17 novembre.
La nascita di Gesù iniziò a essere ricordato in Egitto nel II secolo ed era festeggiato il 6 gennaio, giorno della nascita del dio Eone. Questa tradizione è rimasta nel mondo ortodosso che festeggiano, appunto, il Natale il 7 gennaio.
Fu solo a partire dal 353 d.C. che la Chiesa indicò il 25 dicembre, data nella quale ricorreva la festività di Mitra. Il centro del culto e il luogo di incontro dei seguaci di questa divinità era il mitreo, ossia una cavità o caverna naturale adattata; questo offre un’importante parallelismo con la nascita di Gesù in una capanna o una caverna. Secondo il mito, Mitra affrontò il dio Sole e lo sconfisse. Il Sole, allora, stringe un patto di alleanza con la divinità donandogli la corona raggiata che sarà poi mutuata nell’iconografia del cristianesimo divenendo l’accessorio sacro dell’aureola.
Già nel 274 d.C. l'imperatore Aureliano aveva deciso che il 25 dicembre si dovesse festeggiare il “Dies Natalis Solis Invicti” ossia la ricorrenza dedicata alla nascita del Sole (Mitra), introdotta a Roma da Eliogabalo, imperatore dal 218 al 222 d. C. Risale proprio a questo periodo l’origine della tradizione dell’accensione dei ceppi che dovevano bruciare per dodici giorni consecutivi; il ceppo doveva essere preferibilmente di quercia, poiché era considerato un legno propiziatorio: da come bruciava si presagiva come sarebbe stato l'anno futuro. I fuochi dei ceppi nei nostri giorni si sono trasformati nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi, e strade.
Il solstizio invernale e il culto del "Sol Invictus" nel tardo impero romano hanno verosimilmente avuto un ruolo importante nell'istituzione e nello sviluppo del Natale, anche se non ci sono evidenze definitive di questa relazione. È curioso notare come questa sovrapposizione fatta essenzialmente per ragioni politiche ebbe un buon riscontro perché parecchi cristiani identificavano il sole nella figura di Gesù Cristo perché in Malachia egli è chiamato “il sole della giustizia” (Malachia 4:2).
Simbolicamente, inoltre, la festa del sole aveva delle affinità con la figura di Gesù e con la sua nascita: subito dopo il solstizio d’inverno, infatti, le giornate si allungano ed è come se il sole rinascesse portando una luce rinnovata. Come risulta evidente le similitudini con la figura di Gesù sono notevoli: il simbolismo teologico "Cristo-luce" è rintracciabile in particolare anche nel Vangelo di Giovanni che mette spesso in evidenza la contrapposizione tra luce e tenebra.
È importante notare come il culto solare abbia comunque profondamente influenzato il cristianesimo del primo periodo; basti considerare che il giorno dedicato al Signore, la domenica, in inglese si indica con “sunday” ossia letteralmente “giorno del sole”.
Nonostante l'introduzione del Natale cristiano, i culti pagani collegati alla celebrazione del sole perdurarono per molti anni, infatti ancora nel Natale del 460 papa Leone I affermava: «È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei».
Il collegamento con i culti solari
Il Natale costituisce probabilmente l'esempio più significativo di come una tradizione pagana sia stata assorbita dal cristianesimo e abbia assunto un nuovo significato.
Nell'antica Roma si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell'agricoltura; era considerato un periodo di pace, si scambiavano i doni e si facevano sontuosi banchetti, proprio come nel nostro periodo natalizio. Era anche l’occasione per festeggiare la fine dell’inverno in attesa del ritorno del sole per riscaldare la terra in modo che la semina primaverile potesse avvenire con successo.
È importante notare che praticamente ogni civiltà ha un dio del fuoco o del sole. Già dal punto di vista semantico l'italiano “dio”, il latino “deus”, il greco “theos” e il sanscrito “dyaus” derivano tutti da un'unica radice che significa “luminoso” o “splendente”; il concetto primitivo dunque di divinità è strettamente legato al culto solare.
Oltre agli Egiziani e ai Romani, lo ritroviamo anche presso i Greci che lo chiamavano Crono, così come presso i Fenici che lo indicavano come Saturno. I Babilonesi, invece, lo veneravano con Tammuz.
Già nel 3.000 a.C. nel periodo corrispondente al 25 dicembre veniva festeggiato il dio babilonese Shamash. Era il dio del sole, della giustizia e della predizione. In Babilonia successivamente comparve il culto della dea Ishtar e di suo figlio Tammuz che veniva considerato l’incarnazione del sole. Secondo il mito, Semiramide non fu solo la madre di Nimrod ma ne divenne anche la moglie. Secondo una versione diversa Semiramide, dopo la morte di Nimrod, partorì Tammuz (Adone per i greci). Questo aveva come moglie la dea sumera Inanna (assimilata alla babilonese Ishtar, alla greca Afrodite e alla romana Venere). Siccome Semiramide non poteva aver concepito Tammuz dopo la morte di Nimrod, il suo concepimento appariva miracoloso tanto da considerarlo la rinascita di Nimrod. Le assonanze con il parto verginale di Maria sono notevoli.
Attorno alla testa di Tammuz si rappresentava un’aureola di dodici stelle che simboleggiavano i dodici segni zodiacali. È interessante aggiungere che anche Tammuz muore per risorgere dopo tre giorni.
Il simbolismo solare permane comunque ancor oggi nei rituali della Chiesa, principalmente nell'uso dell'ostensorio in cui l'ostia consacrata viene esibita come un sole irradiante raggi dorati.
Il tema della natalità cristiana, inoltre, ha un’impressionante corrispondenza anche con gli affreschi raffiguranti immagini di Horus in braccio a Iside che ricordano l’iconografia cristiana della Madonna col bambino.
Come si può osservare la contaminazione pagana nella festa del Natale è notevole. A conferma della legittimità della matrice comune con i culti pagani si è espresso addirittura anche il papa emerito Benedetto XVI il quale nel 2006 ha dichiarato: «Il mondo in cui sorse la festa di Natale era dominato da un sentimento che è molto simile al nostro […]. Il 25 dicembre, al centro com’è dei giorni del solstizio invernale doveva essere commemorato come il giorno natale, ricorrente ogni anno, della luce che si rigenera in tutti i tramonti […] Quest’epoca, nella quale alcuni imperatori romani avevano cercato di dare ai loro sudditi in mezzo all’inarrestabile caduta delle antiche divinità, una fede nuova con il culto del sole invitto, coincide col tempo in cui la fede cristiana tese la sua mano all’uomo greco-romano. Essa trovò nel culto del sole uno dei suoi nemici più pericolosi. […] Molto presto i cristiani rivendicarono per loro il 25 dicembre il giorno natale della luce invitta, e lo celebrarono come natale di Cristo, come giorno in cui essi avevano trovato la vera luce del mondo. Essi dissero ai pagani: il sole è buono e noi ci rallegriamo non meno di voi per la sua continua vittoria».