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Notizie ANSA

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Carlo Levi. Un torinese del sud N.112 25/02/2012

Un torinese del sud. Questa frase potrebbe sembrare un ossimoro, una contraddizione di termini: in realtà, a ben guardare, esprime un concetto di complementare. Corre, infatti, sul filo della dicotomia tra nord e sud, intesi come porzioni geografiche che s’incontrano e si fondono, lo spettacolo “Carlo Levi. Un torinese del sud” di Ulderico Pesce e Maria Letizia Gorga, coprodotto da “Libera Scena Ensemble” di Napoli. La piéce teatrale è andata in scena lo scorso 18 febbraio sul palcoscenico del Teatro Comunale di Matera nell’ambito della stagione teatrale 2011/2012 curata dall’associazione “Incompagnia”. La rappresentazione è stata impreziosita dalle musiche della tradizione contadina lucana eseguite da Stefano De Meo e dall’esposizione dei quadri realizzati dall’intellettuale torinese durante il periodo del confino lucano, riprodotti fedelmente dall’artista Franco Artese. La messa in scena racconta la vita e la ricerca artistica di Carlo Levi attraverso tre momenti fondamentali. Il primo è quello che racconta l’incontro tra Levi e Paola Olivetti, la moglie dell’industriale delle macchine per scrivere, che nel 1935 scende a Grassano, dove il fascismo ha confinato il pittore torinese. Vissero insieme presso la locanda “Prisco” per venti giorni. A memoria di questo incontro “illegale”di cui non si parla nel “Cristo si è fermato a Eboli”, rimasero i ritratti di Paola dipinta tra i calanchi e alcune fotografie. Questa tresca amorosa determinò il trasferimento di Levi in un paese isolato tra i calanchi, ma che lo affascinò irrimediabilmente: Aliano. Il secondo momento è l’incontro tra Levi e il barbiere “Frischetto”, custode per undici anni delle tele dipinte dal maestro torinese durante il periodo del confino. Il barbiere, nel “Cristo” definito “il futuro segretario”, conservò nella sua bottega fino al 1945 buona parte delle tele dipinte da Levi dal 5 agosto 1935 fino al 5 maggio del 1936. L’ultimo momento è, infine, l’incontro tra Levi e Linuccia, figlia del poeta Umberto Saba, conosciuta a Firenze a casa di Annamaria Ichino durante l’occupazione nazista del 1943; qui la giovane si rifugiò con la famiglia e con altri ebrei antifascisti come Montale, Rossi-Doria, Luzi e lo stesso Levi. Proprio a Firenze, scrivendo il “Cristo”, scoppiò la passione tra lo scrittore torinese e la stessa Linuccia. Questi momenti sono egregiamente immortalati nella prosa di Ulderico Pesce che fonda insieme la semplice rappresentazione teatrale alla memoria storica e alla ricerca delle emozioni attraverso la narrazione di fatti realmente accaduti. Il talento dell’attore potentino si esprime nella grande capacità di raccontare la figura di Levi senza farlo mai parlare in prima persona, ma attraverso le testimonianze delle persone che l’hanno conosciuto. Questo fa di Ulderico Pesce un autentico cantastorie, in linea con la tradizione famigliare. Il nonno, come suo padre, faceva l’arrotino e girava per i paesi della Basilicata, della Calabria, della Puglia e di parte della Campania; “ammolava” coltelli raccontando storie di anarchici, antifascisti, operai e braccianti. Ulderico ha poi continuato la tradizione di famiglia, raccontando storie che cominciavano a interessare la gente che andava a vedere i suoi spettacoli senza, però, portare più coltelli e forbici da “ammolare”. Pesce vanta un lungo e variegato excursus professionale. Ha frequentato l'Accademia di Teatro di Mosca diretta da Anatoli Vassilev e ha lavorato come attore con Luca Ronconi, Carmelo Bene, Giorgio Albertazzi, Giancarlo Sbragia e Gabriele Lavia. La sua maestria è messa a frutto in maniera esemplare anche in questo spettacolo, veicolando il grande amore per la Lucania attraverso gli occhi di una figura poliedrica e complicata come quella di Carlo Levi. Lo scrittore torinese, infatti, trova paradossalmente proprio nella restrizione del confino una nuova dimensione di libertà, impressa nella produzione pittorica ispirata dai paesaggi lucani e in particolar modo dai calanchi e dai Sassi di Matera; sono, però, soprattutto i volti catturati sulle tele a palare del sud e della Lucania. Gli stessi volti che, proprio come lui, sono alla ricerca del riscatto e della libertà. Un concetto questo condensato in pieno nella memorabile descrizione dei Sassi e della città di Matera, definita allo stesso tempo “disperata e bellissima”. Ecco che ritorna l’insanabile e misteriosa dicotomia intima del sud, allora come oggi, in cerca di se stesso e dove i contadini hanno appeso l’anima alla catena di montaggio, barattando la passione con la modernità. 

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto N.112 25/02/2012