Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
Per contatti e richiedere la presentazione dei libri mail: g.balena@libero.it
«Ricordati, o figlio Roboamo, che allorquando io, Salomone, ricevei da Dio la saggezza, e la conoscenza di tutte le cose, allora rispose Roboamo, d' onde vieni che io non ho lo stesso merito di Salomone mio padre, che ebbe la scienza di tutte le cose create, dall' angelo di Dio, Salomone rispose: ascolta la mia voce, figlio mio, che sentirai delle belle cose; una notte nel coricarmi, mormorando il Santo nome di Dio, domandava l' ineffibile conoscenza di tutte le cose; in allora l'angelo di Dio mi è apparso e mi disse: Salomone la tua preghiera non fu vana al cospetto di Dio, molto più che non domandavi, a vivere molti anni, né molte ricchezze, né la rovina dei tuoi nemici, ma l' intelligenza di fare un buon giudizio, e per questo il Signore ti ha dato un cuor saggio, e molta intelligenza, che nessuno non ne ha mai avuto, e non ne avrà uguale dopo di te».
Questi versi enigmatici appartengono a un manoscritto tanto criptico quanto significativo nell’ambito della tradizione esoterica. Si tratta del prologo dal testo noto come la Chiave di Salomone.
Questo testo è collegato alla figura biblica di Re Salomone. Secondo la Bibbia è stato il terzo re di Israele, figlio e successore di Re Davide. Tra le altre cose viene considerato un medium e un esorcista: un'opera importante che ci dà testimonianza di ciò è il Testamento di Salomone, in cui si narra come il re abbia esercitato il suo potere magico sui demoni per costringerli a costruire il Tempio di Gerusalemme.
Verso la fine del XIX secolo i manoscritti che fanno riferimento alla Chiave di Salomone sono stati recuperati da organizzazioni esoteriche pseudo-massoniche quali per esempio l'Hermetic Order of the Golden Dawn e l'Ordo Templi Orientis.
A proposito di questi manoscritti possiamo distingue due documenti differenti: la Chiave di Salomone e la Piccola Chiave di Salomone.
Che cosa sono e soprattutto cosa nascondono?
La Chiave di Salomone
La Chiave di Salomone, noto anche come Clavicula di Salomone o Clavis Salomonis, è un testo di magia attribuito, ma non certezza assoluta, a Re Salomone. Spiega dettagliatamente quando, come e dove è meglio evocare i 72 demoni ai quali corrispondono 72 sigilli utilizzati per la costruzione del Tempio di Gerusalemme.
Non è certo se il testo pervenuto ai giorni nostri risalga al tardo Medioevo oppure al Rinascimento come riproduzione del documento originale. Molti di questi grimori attribuiti a Re Salomone sono stati scritti in un ampio lasso di tempo, influenzati dai libri molto più antichi dei qabbalisti ebraici e degli alchimisti arabi che a loro volta facevano spesso riferimento alla magia greco-romana. Sostanzialmente, però sebbene con piccole varianti posso essere riconducibili a un testo originale tramandato in prima battuta in forma orale.
La prima citazione storica certa della Clavicula risale allo storico ebreo Giuseppe Flavio, vissuto nel primo secolo d.C.
Esistono poi diverse versioni manoscritte, in seguito stampate clandestinamente; tra questi in particolare uno in greco, risalente al XV secolo (Harleian MS. 5596), menzionato come “Il Trattato Magico di Salomone”. I contenuti sono molto simili a quelli delle Clavicula, infatti, potrebbe trattarsi del prototipo sul quale si basano i successivi testi in italiano oppure in latino.
Un manoscritto in lingua italiana si trova nella Biblioteca Bodleiana. Esiste, inoltre, un certo numero di manoscritti in latino e un testo tradotto in inglese del 1572 dal titolo “The Clavicle of Solomon, revealed by Ptolomy the Grecian”. Esistono, infine, alcuni manoscritti in francese, tutti databili intorno al XVIII secolo.
Il testo, comunque, può essere considerato un manoscritto di magia rituale, cerimoniale e iniziatica e per questo è stato messo all’indice dalla Santa Inquisizione.
L'opera è divisa in due parti: nella prima vengono spiegate le azioni da evitare nell’evocare gli spiriti; nella seconda, invece, si descrivono alcune specifiche e dettagliate arti magiche e contiene istruzioni per la preparazione dei rituali, con il monito che nessuna operazione deve essere intrapresa se prima non è stato tracciato e consacrato il cosiddetto “Circolo Magico”.
La Piccola Chiave di Salomone
La Piccola Chiave di Salomone o Lemegeton Clavicula Salomonis, è un grimorio anonimo del Seicento, ma è anche uno dei più famosi libri di demonologia. Viene citato anche nel romanzo del 2009 “Il simbolo perduto” di Dan Brown.
La Piccola Chiave di Salomone potrebbe essere considerata una continuazione della precedente Chiave di Salomone e contiene dettagliate descrizioni degli spiriti e dei rituali necessari per evocarli e costringerli a eseguire gli ordini del mago chiamato nel testo "esorcista". Vengono date istruzioni dettagliate circa i simboli, le procedure rituali da eseguire, le azioni necessarie per impedire che gli spiriti prendano il sopravvento, i preparativi che devono precedere l'evocazione e il modo in cui costruire gli strumenti necessari per l'esecuzione di tali rituali.
La Piccola Chiave di Salomone è suddivisa in cinque parti: Ars goetia, Ars theurgia goetia, Ars paulina, Ars Almadel e Ars notoria.
Nell'Ars goetia gran parte del materiale è antecedente al Seicento, con alcune parti risalenti al Trecento. Contiene le descrizioni, ancora una volta, dei 72 demòni che si dice siano stati evocati da re Salomone e da lui rinchiusi in un vaso di bronzo sigillato con simboli magici al fine di soggiogarli alla propria volontà. L’Ars goetia contiene inoltre le istruzioni per costruire un vaso di bronzo simile e l’uso delle formule magiche per invocare senza rischi questi demòni.
Una copia dell'Ars goetia, datata 1314, è stata ritrovata sigillata in un vaso nelle fondamenta di una casa a Massarosa, vicino Viareggio. Se fosse originale, sarebbe la più antica copia esistente.
La seconda parte del grimorio espone i nomi, le caratteristiche e i simboli dei 31 spiriti aerei, buoni e maligni, invocati sempre da Salomone.
La terza parte sarebbe stata scoperta dall'apostolo Paolo ed è suddivisa in due capitoli. Il primo illustra come contattare gli angeli delle varie ore del giorno, i loro sigilli, la loro natura, le relazioni tra questi e i sette pianeti allora conosciuti; il secondo, invece, riguarda gli angeli che governano i segni zodiacali e la loro relazione con i quattro elementi. Questi angeli vengono qui chiamati "angeli degli uomini" poiché ogni persona nasce sotto un segno zodiacale e con il sole posizionato a uno specifico grado di esso.
La quarta sezione illustra come costruire il cosiddetto “Almadel” ovvero una tavola di cera su cui vengono disegnati simboli protettivi: su di essa vengono posizionate quattro candele.
La quinta sezione parla dell’arte rivelata da Dio a re Salomone tramite un angelo. Contiene una raccolta di preghiere mescolate con parole cabalistiche e magiche in varie lingue e istruzioni su come recitare tali preghiere.
Nell’ultima sezione, infine, è descritto come re Salomone abbia ricevuto la rivelazione dall'angelo. L’ultimo capitolo di questo testo contiene un rituale completo per l’evocazione degli angeli preposti al dominio dei quattro punti cardinali denominati "parti del mondo" o "torri".
Significati simbolici ed esoterici
Il rapporto dell’uomo con la magia affonda le sue radici in tempi antichissimi e ha rappresentato da sempre la possibilità di poter in qualche modo modificare la realtà e la percezione della stessa. Tutto questo non in maniera casuale ma cercando di convogliare la potenza derivante dalla magia per scopi benefici o malefici. Ecco, dunque, che a un certo punto è nata la necessità di codificare le pratiche destinate a questi scopi. Queste conoscenze ovviamente avevano un retaggio proveniente spesso da una tradizione antica, iniziatica e misteriosa.
I grimori, per esempio, a un certo punto hanno assolto proprio questa funzione; in particolare i manoscritti riguardanti le Chiavi di Salomone hanno una caratteristica importante sulla quale bisogna soffermarsi.
Nel gergo comune e nell’immaginario collettivo le chiavi servono per aprire le porte e non a caso anche in questo contesto hanno simbolicamente la medesima funzione: spalancare le porte di una nuova dimensione o comunque diversa rispetto alla realtà.
Ecco perché poi, a ben vedere, nei medesimi manoscritti si parla di sigilli, ossia le fessure nelle quali, utilizzando le giuste chiavi, si arriva a una diversa consapevolezza.
Come è ovvio non è necessario solo avere la chiave giusta e individuare il giusto sigillo per aprire la porta su una percezione differente, ma bisogna sapere anche in che modo e in che direzione girare la chiave. Questo è codificato nei manoscritti attraverso i cosiddetti rituali magici.
Nello specifico poi bisogna far riferimento in maniera simbolica a quello che rappresentano la figura di Salomone, il tempio di Gerusalemme e le connotazioni cabalistiche e numerologiche del numero 72.
Salomone era il figlio di Re David e oltre a essere autore di alcuni libri della Bibbia era noto e riconosciuto per la sua sapienza. Inoltre ha costruito il primo tempio di Gerusalemme nel 967 a.C. A livello religioso, ma anche simbolico ed esoterico, il tempio rappresenta il corpo dell’uomo, ossia l’involucro all’interno del quale però è costudito il sacro ovvero l’anima, proprio come il tempio di Gerusalemme custodiva il sancta sanctorum; ecco perché deve essere solido ed ecco perché numerosi passi della Bibbia si soffermano sulla sua costruzione e sulle dimensioni.
Risulta, pertanto, significativo ed enigmatico che secondo quanto riportato nel testo della Chiave di Salomone lo stesso abbia costretto 72 demoni a dare un contributo nella costruzione del tempio. Secondo quanto riportato nella Bibbia la costruzione fu affidata a un certo Hiram Abiff che è diventato poi una figura leggendaria soprattutto nella tradizione massonica. Secondo la versione della storia utilizzata nel tradizionale rituale massonico, l'architetto Hiram Abiff è stato ucciso da tre operai che lavoravano alla costruzione del tempio, nel tentativo di estorcere informazioni segrete proprio in merito alla costruzione. Hiram non rivelò nulla e da allora si è creato il mito della “parola segreta” che in ambito massonico è nota come” parola perduta” e nella Cabbala come il “nome ineffabile”. “Nome ineffabile”, stranamente ma non tanto, viene nominata, come abbiamo visto in apertura, anche nel prologo della Chiave di Salomone quando si parla di “l'ineffibile conoscenza di tutte le cose”.
Non di poco conto e sorprendente risulta poi il parallelismo riguardante il numero 72: i cabalisti medievali attribuivano al nome di Yahweh 72 lettere e ritenevano anche che 72 fossero i nomi divini.
Infine poi, come stabilito anche nei manoscritti in oggetto, il cerchio e il triangolo sono due elementi fondamentali utilizzati per l'evocazione proprio dei 72 spiriti. Il mago deve stare all'interno del grande cerchio e lo spirito si crede che debba comparire nel cerchio all'interno del triangolo; anche il "Pentacolo di Salomone" serve a costringere gli spiriti evocati a comparire al suo interno.
A questo punto, però, forse meglio fermarsi qui: un passo oltre e si varca pericolosamente la soglia della realtà per giungere al confine nebbioso della magia.
«In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l’unico immodificabile evento di cui si possa asserire l’incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell’errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutti intesa al male. Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, nell’attesa di perdermi nell’abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta, partecipando della luce inconversevole delle intelligenze angeliche, trattenuto ormai col mio corpo greve e malato in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, ripetendo verbatim quanto vidi e udii, senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l’Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione».
Si apre così il prologo, in maniera enigmatica, del famoso giallo storico Il nome della rosa scritto da Umberto Eco ed edito per la prima volta da Bompiani nel 1980.
È proprio la decifrazione, come specificato nelle prime battute del romanzo, la chiave di lettura dell’intreccio dell’intera vicenda narrata nel libro dal quale poi è stata realizzata la trasposizione cinematografica affidata alla regia di Jean-Jacques Annaud e con la partecipazione di Sean Connery nei panni di Guglielmo. A partire dal 4 marzo 2019, in anteprima mondiale, su Raiuno è andato in onda la prima delle otto puntate della serie tv di Giacomo Battiato e John Turturro che è anche attore protagonista e sceneggiatore.
Un romanzo particolare che nasconde vari livelli di lettura e una serie di riferimenti letterari ma soprattutto simbolici ed esoterici.
La trama
L'opera si colloca a metà strada tra il romanzo storico e il giallo. La vicenda si svolge all'interno di un monastero benedettino non chiaramente specificato dell'Italia Settentrionale. La trama si sviluppa in sette giorni sul finire dell'anno 1327. In apertura si fa riferimento al ritrovamento di un manoscritto, opera di un monaco di nome Adso da Melk che, divenuto ormai anziano, decide di mettere su carta i fatti vissuti da novizio, quando era in compagnia del suo maestro Guglielmo da Baskerville. Nel prologo l'autore racconta di aver letto il manoscritto durante un soggiorno all'estero e a quel punto ha iniziato a tradurlo su un quaderno di appunti.
Il monastero è sede di un importante incontro tra i francescani — sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'imperatore Ludovico — e i delegati della curia papale, insediata a quei tempi ad Avignone. L'abate è timoroso che l'arrivo della delegazione avignonese possa ridimensionare la propria giurisdizione sull'abbazia ed è altresì preoccupato che l'inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui; allora decide di confidare nelle capacità investigative di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio che i monaci attribuiscono all’opera dell'Anticristo. Altre morti violente si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo e quella di Berengario, aiutante bibliotecario alle cui invereconde profferte aveva ceduto il giovane Adelmo. La colpa, intanto, ricade su due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore che parla una strana lingua.
La situazione si complica con l'arrivo dell'inquisitore domenicano Bernardo Gui che dopo aver trovato la fanciulla (che nel frattempo aveva incontrato segretamente Adso) insieme a Salvatore li accusa di essere cultori di riti satanici e responsabili delle misteriose morti. Guglielmo, però, a un certo punto scopre che le morti sono tutte riconducibili a un manoscritto greco custodito gelosamente nella biblioteca (costruita come un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante). Guglielmo e Adso si avvicinano alla verità penetrando nel labirinto della biblioteca e scoprendo il luogo dove è custodito il manoscritto fatale, ossia l'ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele che tratta della commedia e del riso; scoprono così che le pagine del libro sono avvelenate in modo da uccidere chi lo sfoglia. Alla fine, il venerabile Jorge, dopo la morte del bibliotecario Malachia, tenta di uccidere Guglielmo offrendogli il manoscritto avvelenato. I due, però, riescono a scampare all’incendio che nel frattempo divampa nella biblioteca e si mettono in salvo.
Cosa si nasconde dietro il Nome della Rosa
Questa è la trama del romanzo, ma cosa si nasconde tra e oltre le righe delle pagine del romanzo di successo di Umberto Eco? Prima di tutto già l’ambientazione e la stessa vicenda è tanto misteriosa quanto avvincente: un’immersione in pieno Medioevo, un’epoca affascinante e oscura.
Il primo elemento da prendere in considerazione è certamente il titolo dell’opera. Durante lo sviluppo delle vicende non si fa mai riferimento esplicitamente alla rosa né l’autore fornisce elementi chiari che facciano capire cosa o quale sia in realtà il nome della rosa. Questo ci pone subito su un altro livello di lettura, ben più profondo e particolare che apre la strada sul significato mediato, simbolico ed esoterico del romanzo. Lo stesso autore dopo vari tentennamenti sul titolo da dare ha optato su questo più enigmatico e dichiara che tra quelli presi in considerazione “il Nome della Rosa era il più bello”. Chiaramente una risposta di circostanza che nasconde qualcosa. Questo titolo enigmatico potrebbe richiamare in primo luogo l’espressione latina “sub rosa dicta velata est”, una dicitura che ricorda come la rosa nei miti antichi era anche simbolo di silenzio e di riservatezza. La frase latina era utilizzata quando si poneva una rosa sul tavolo e chi aveva ascoltato o detto qualcosa si impegnava a tenerlo segreto. Questo ricorda da vicino la vicenda del libro custodito segretamente nella biblioteca.
In verità la scelta del titolo che potrebbe sembrare distante e distinto dalla trama racchiude il fulcro del messaggio che l’autore vuole far passare attraverso la stesura del libro. Infatti, il titolo richiama, inoltre, il motto nominalista tratto dal “De contemptu mundi” di Bernardo Cluniacense che poi è anche la chiusura del romanzo: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" ossia "La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi". Il senso, come sostenuto dai nominalisti, è in linea con gli studi di semiotica di Eco: ogni cosa non possiede realtà ontologica ma si riduce a un mero nome, a un fatto linguistico.
Non a caso, poi, sempre in apertura si fa riferimento a un passo biblico fondamentale, ossia Giovanni 1,1-2: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Si fa cioè accenno al segno creatore per antonomasia ossia al verbo, alla parola di Dio e quindi alla potenza creatrice dello stesso. Il segno e la parola hanno un potere creativo, ma nonostante questo ogni cosa è soggetto a decadenza.
Così, ad esempio, è anche il caso specifico della biblioteca e dei libri custoditi gelosamente ma distrutti dal fuoco, sebbene tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare segni e come dice lo stesso autore "libri che parlano di altri libri”. Ecco perché quindi il racconto si incentra su un volume maledetto ossia il secondo libro della “Poetica” di Aristotele, un testo inesistente, in quanto questa parte dell’opera è andata perduta.
Proprio tenendo conto di questo concetto diventa poi più chiaro l’intero disegno del romanzo e uno dei suoi messaggi: di tutte le cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo. Questo potrebbe essere anche il senso della vita e dell’esistenza.
Quando nel prologo l’autore scrive “senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l’Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione” fa riferimento proprio ai segni perduti o a quelli lasciati affinché chi capisca possa decifrarli. Questo potrebbero essere collegato ancora all’incipit quando si fa riferimento al passo biblico 1 Corinzi 13,12 ossia “Videmus nunc per speculum et in aenigmate” che tradotto significa “Ora vediamo come attraverso uno specchio, in maniera confusa, distorta”. Infatti nel romanzo lo specchio è l’elemento fondamentale presente proprio nel luogo deputato alla conoscenza, ossia la biblioteca e serve inoltre come elemento distintivo per uscire dal labirinto, ossia “riflettere” su se stesso per arrivare all’esterno anche di se stessi.
Questo pone il romanzo ben oltre il successo narrativo e lo fa diventare un percorso iniziatico. L’indicazione della valenza iniziatica del romanzo proviene anche da un altro elemento fondamentale: la vicenda si sviluppa in sette giorni, proprio come il tempo della creazione divina che ci riconduce ancora una volta alla genesi tramite il verbo.
Risulta, poi, significativa una scena fondamentale anche del film: i protagonisti sono alla ricerca della verità e si perdono nella biblioteca protetta dal labirinto; paradossalmente si “perdono” proprio quando “ritrovano” i libri e quindi la conoscenza. Quella stessa conoscenza alla quale si arriva necessariamente in maniera mediata: attraverso la prova del labirinto e metaforicamente utilizzando gli occhiali per la lettura tanto cari a Guglielmo. Allo stesso modo la cecità del Venerabile risulta essere da un lato in antitesi con gli occhiali di Guglielmo che invece aumentano la capacità di “vedere” e dall’altro lato simbolicamente rappresenta l’ottusità cieca dell’ordine costituito che deve mantenere il segreto nella divulgazione di conoscenze che possono invece far vedere le cose diversamente e forse nella giusta prospettiva.
Non a caso poi nelle vicende narrate ritroviamo in una disputa incrociata i tre ordini religiosi più importanti: domenicani, benedettini e francescani che rappresentano in maniera mediata la divisione del potere e la disputa per il mantenimento dello stesso in ambito religioso.
Il messaggio criptico del romanzo è forse solo in parte contenuto nel finale anche del film: «Ma l’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo, l’indemoniato dal veggente; la verità si manifesta a tratti anche negli orrori del mondo cosicché dobbiamo decifrarne i segni anche là dove ci appaiono oscuri intessuta da una volontà del tutto intesa al male».
Forse il nome della rosa può essere rintracciato, alla fine, come viene messo in evidenza bene nel finale del film, proprio nell’amore, massima espressione del motto nominalista "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"; l’amore è una nuda realtà ontologica e sebbene importante passa come passa tutto nella vita. Non a caso, ancora facendo riferimento alla pellicola, dei tre condannati al rogo l’unica a salvarsi è proprio la ragazza di cui è segretamente innamorato Adso, ma della quale non saprà mai il nome. Un amore intenso, nascosto e senza nome. Ecco forse il senso segreto della rosa: la bellezza del mondo, della vita e dell’amore che si nascondono dietro petali delicati destinati ad appassire con il procedere del tempo.
Infatti mentre la scena si dissolve e Guglielmo e Adso si allontanano metaforicamente dalla scena, la voce fuori campo chiosa: «Mi rendo conto che di tutti i volti che dal passato mi ritornano alla mente, più chiaro di tutti vedo quello della fanciulla che ha visitato tante volte i miei sogni di adulto e di vegliardo. Eppure dell’unico amo re terreno della mia vita non avevo saputo né seppi mai il nome».
«E ci fu una battaglia nel cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone». Nel passo biblico Apocalisse 12:7 si parla semplicemente di Michele e dei suoi angeli impegnati in una strana guerra presumibilmente nelle sfere celesti. Chi è questo Michele? Perché è così importante tanto da combattere contro il dragone che ovviamente incarna le forze opposte del male?
Michele in latino significa “Quis ut Deus” ossia “Chi è come Dio”. In vari passi della Bibbia è riconosciuto come Arcangelo ed è generalmente associato anche ad altri due arcangeli, ossia Gabriele e Raffaele. È considerato tale anche nell’ambito della fede ebraica e islamica, oltre come abbiamo visto in quella cristiana. Nell’ambito della liturgia della chiesa cattolica i tre arcangeli vengono venerati in una data specifica, ossia il 29 settembre. Come si può notare la data è particolare perché è vicina temporalmente all’equinozio d’autunno.
La parola Arcangelo, invece, deriva dal latino archangelus e significa "angelo capo" o "capo degli angeli. Già da questo, quindi, possiamo comprendere l’importanza di tale figura.
Chi è San Michele Arcangelo
Per capire la figura di San Michele Arcangelo bisogna far riferimento in prima battuta ai testi biblici. Nell'ultimo libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse di Giovanni, vengono decritti alcuni “strani” combattimenti celesti tra forze avverse; dopo la prima guerra in paradiso, l'Arcangelo è protagonista nel secondo scontro terreno contro il drago. San Michele Arcangelo guida di nuovo alla vittoria la milizia celeste degli angeli di Dio contro Satana e i suoi accoliti. Secondo la profezia, alla fine dei giorni, San Michele Arcangelo farà squillare la tromba annunziatrice del gran giudizio finale, quando il Regno dei Cieli verrà riconsegnato da Gesù Cristo al Dio Padre per l'eternità. Ecco perché è spesso raffigurato con in mano una bilancia con cui pesa le anime (psicostasia); questo particolare iconografico deriva dalla tradizione islamica, a sua volta tramandato dalla mitologia egizia e persiana e comunque non trova nessun fondamento e riscontro nelle scritture bibliche.
In origine Michele, comandante delle milizie celesti, dapprima accanto a Satana, si separa poi dallo stesso e dai suoi angeli che operano la scissione da Dio, poco prima di precipitare negli inferi.
Come abbiamo visto San Michele si celebra in prossimità del 21 settembre quando ha luogo l'equinozio d'autunno. Questo è un elemento simbolico non di poco conto. Il sole, infatti, in questa data entra nel segno della Bilancia, dando così inizio a un nuovo ciclo. Proprio la bilancia che per una strana coincidenza è uno degli elementi dell’apparato iconografico di san Michele.
L'autunno è il periodo nel quale avviene la separazione di cui parla Ermete Trismegisto quando dice: «Tu separerai il sottile dal denso con grande abilità». Separare il sottile dal denso vuol dire separare l’aspetto spirituale dal materiale. Metaforicamente il compito dell'Arcangelo Michele è forse quello di separare l'anima dal corpo in attesa proprio del giudizio finale e della grande mietitura.
Si tratta, dunque, di una figura molto importante non solo sul piano religioso ma soprattutto anche dal punto di vista spirituale e simbolico. Nel corso dei secoli, pertanto, la devozione ha determinato la nascita di diversi luoghi di culto in tutto il mondo e in particolare in Europa.
La linea di San Michele
Una misteriosa linea immaginaria unirebbe sette monasteri, dall’Irlanda fino a Israele, tutti dedicati alla figura dell’Arcangelo; sebbene lontanissimi tra loro, sembrerebbero perfettamente allineati su un asse geografico. Seconda la leggenda questa linea rappresenterebbe il colpo di spada con cui l’Arcangelo scacciò il demonio, relegandolo per sempre all’Inferno.
A quanto pare, però, questi punti geografici sarebbero anche dei punti energetici e proprio l’Italia è l’unica nazione ad avere sul proprio territorio la presenza di ben due nodi. Le leggende locali di questi luoghi sacri hanno una matrice comune: l’apparizione di San Michele, vincitore nella lotta contro il Drago, che avrebbe richiesto espressamente l’edificazione e l’istituzione del culto.
È importante notare che i punti di questa linea sono sette. Questo numero ha una valenza religiosa ed esoterica molto importante e particolare. Il numero sette, infatti, simbolo per eccellenza della ricerca mistica, rappresenta ogni forma di scoperta e conoscenza. Sette sono i chakra, ma anche i giorni della creazione. Il numero sette inoltre ha una valenza religiosa importante perché rappresenta Dio e la divinità proprio nell’atto della creazione.
Platone definiva il numero sette come “anima mundi”, mentre la settima lettera dell’alfabeto ebraico è ZAIN e indica l’eternità. Il numero sette quindi ha una perfezione intrinseca e rappresenta la mediazione tra umano e divino. Senza dimenticare poi che sette sono proprio gli arcangeli: Michele, Raffaele, Gabriele, Uriel, Raguel, Zedkiel e Jophiel.
Sette sono anche i metalli simbolici del percorso di trasmutazione alchemica: piombo, ferro, stagno, rame, mercurio, argento, oro. In quest’ottica alchemica, pertanto, la linea potrebbe rappresentare un percorso iniziatico verso la perfezione spirituale.
Tenendo conto di queste ipotesi la disposizione dei sette santuari potrebbe essere vista in un’ottica differente e in chiave simbolica.
Vi è poi una particolarità: è sorprendente notare la disposizione di questi santuari sulla linea. I tre siti più importanti Mont Saint Michel in Francia, la Sacra di San Michele in Val di Susa e il santuario di Monte Sant’Angelo nel Gargano sono tutti alla stessa distanza di circa mille chilometri: un monito del santo affinché vengano sempre rispettati le leggi di Dio nella rettitudine e nella perfezione. Inoltre la linea sacra è in perfetto allineamento con il tramonto del sole nel giorno del solstizio d’estate.
La linea si snoda per oltre due mila chilometri tagliando l’intera l’Europa e può essere considerata una delle cosiddette “ley lines” ossia delle linee rette geografiche immaginarie che toccano alcuni punti importanti del mondo, venerati già in età preistorica.
Vediamo da vicino i singoli nodi di questa linea immaginaria.
Skelling Micheal
Il tracciato comincia in Irlanda, sull’isolotto semideserto di Skelling a 17 km dalle coste del Kerry, dove l’Arcangelo Michele sarebbe apparso a San Patrizio per aiutarlo a liberare il suo paese dal demonio. Si tratta di un monastero poco accessibile e visitato da pochissimi turisti perché non facilmente raggiungibile. È stato costruito intorno al 588 d.C.
Saint Micheal’s Mount
La linea si dirige poi verso sud e si ferma in Inghilterra, a St. Michael’s Mount, un isolotto della Cornovaglia che con la bassa marea si unisce alla terraferma. Proprio qui San Michele avrebbe parlato a un gruppo di pescatori nel 495 d.C.
Mont Saint Michel
La linea sacra prosegue poi in Francia, su un’altra celebre isola, Mont Saint-Michel, anch’essa tra i luoghi dell’apparizione dell’Arcangelo Michele nel 709 d.C. quando si è presentato al vescovo locale intimandogli che gli venisse costruita una chiesa nella roccia. Il santuario sorge su una formazione granitica e si eleva a un’altezza di 92 metri sul livello del mare, ma con la statua di San Michele collocata in cima alla guglia della chiesa abbaziale raggiunge i 170 metri. Il monastero si colloca precisamene in una località detta Gargant, pertanto non si esclude che furono proprio le popolazioni pugliesi del Gargano di Monte Sant’Angelo a edificarlo su richiesta di San Michele.
Sacra di San Michele
A ben mille chilometri di distanza, in Val di Susa in Piemonte, troviamo il quarto santuario. Sorge sulla cima del monte Pirchiriano, a 40 chilometri da Torino. La costruzione dell’abbazia inizia intorno all’anno mille e nel corso dei secoli si sono aggiunte altre strutture. Secondo una leggenda un arcivescovo del luogo ebbe la visione dello stesso Arcangelo Michele che gli ordinò di erigere un santuario. La leggenda narra che una notte la cappella fu vista dalla popolazione come se fosse avvolta da un grande fuoco. La stessa scena si è ripetuta drammaticamente il 23 gennaio 2018 probabilmente a causa di un corto circuito.
Santuario di San Michele
Spostandosi di altri mille chilometri in linea retta si arriva in Puglia, sul Gargano, dove una caverna inaccessibile è diventata un luogo sacro. Il santuario fu iniziato intorno al 490 d.C. quando avvenne la prima apparizione dell’Arcangelo Michele a San Lorenzo Maiorano; da allora ci sono state poi altre tre apparizioni, l’ultima nel 1656. Ha ricevuto il titolo di “Celeste Basilica” e la sua torre ha la forma ottagonale.
Monastero di Symi
Dall’Italia la traccia dell’Arcangelo arriva poi al sesto santuario, in Grecia, sull’isola di Symi: qui il monastero custodisce un’effigie del santo alta tre metri, una delle più grandi esistenti al mondo.
La data della costruzione della chiesa non è nota ma secondo alcune notizie storiche molto probabilmente è stata eretta verso il 450 d.C. sul luogo ove sorgeva un antico tempio dedicato al dio Apollo. Sull’isola ci sono ben nove monasteri dedicati a San Michele ed è presente anche un antico castello che fu sede dal 1309 al 1522 dell'Ordine dei Cavalieri Ospitalieri di Gerusalemme che governò l'isola.
Monastero del Carmelo
La linea sacra termina in Israele, al Monastero del Monte Carmelo ad Haifa. Questo luogo è venerato fin dall’antichità, ma la costruzione del santuario risale al XII secolo. Monte Carmelo significa letteralmente “Vigna di Dio” e ospita il cosiddetto monastero carmelitano di Stella Maris. Secondo la tradizione sarebbe stato fondato su una grotta che fu dimora del profeta Elia. È nominato anche nella Bibbia come luogo da cui lo stesso profeta sfidò Baal. Questo ultimo nodo della linea indicherebbe, dunque, simbolicamente proprio la battaglia finale, come abbiamo visto, che San Michele dovrebbe tenere contro il maligno in linea con il dettato profetico.
Una curiosità: il primo di questi santuari è stato scelto nel 2015 come sito per le riprese cinematografiche di due episodi della famosa saga di Guerre Stellari, usciti nelle sale di tutto il mondo rispettivamente nel dicembre 2015 e nel dicembre 2017 con i suggestivi titoli: “Il risveglio della Forza” (episodio VII) e “Gli ultimi Jedi” (episodio VIII). Due titoli stranamente profetici.
Box di approfondimento
Le ley lines
Sono definite anche linee temporanee e rappresentano allineamenti coerenti tra punti geografici distanti generalmente di interesse spirituale o che hanno comunque delle caratteristiche fisiche o simboliche simili e in comune. In Irlanda sono conosciute anche come “Sentieri delle Fate”, in Cina come “Linee del Drago”, per i peruviani sono le “Linee degli Spiriti” e i “Sentieri del Canto” per gli aborigeni australiani. Sono, dunque, comuni a varie culture.
L’espressione” ley line” è stata coniata nel 1921 dall'archeologo dilettante Alfred Watkins. Nel 1969 lo scrittore John Michell ha ripreso lo studio nel suo libro “The View Over Atlantis”, associandolo a teorie spirituali e mistiche sugli allineamenti delle forme della terra e collegandolo al concetto cinese di feng shui. Michell riteneva che esistesse una rete mistica di linee temporanee in particolar modo in tutta la Gran Bretagna.
Oltre alla funzione di collegamento tra diversi posti distanti tra di loro, queste linee nasconderebbero anche veri e propri flussi energetici simili a fiumi che si intersecano in linea retta sulla superficie terrestre. Il reticolato che verrebbe così a formarsi includerebbe tutta la Terra e sarebbe collegato, dunque, a nodi energetici dove generalmente vi è la presenza o l’abbondanza di acqua. Le linee hanno una valenza energetica perché sono collegate a particolari manifestazioni magnetiche e hanno una buona capacità di condurre elettricità. Il più delle volte è possibile rintracciare, proprio lungo le ley lines, anche i cosiddetti cerchi nel grano.
Esistono poi, all’opposto, punti di energie con valenza negativa, come per esempio il Triangolo delle Bermuda che potrebbe essere considerato una deformazione delle stesse ley lines.
Inoltre generalmente i posti che si trovano su queste linee hanno dei legami particolari con le fasi lunari e con i solstizi.