Fondi europei? No, grazie N.92 01/10/2011

Ci sono domande che iniziano con un “perché”, alle quali, però, non è possibile fornire sempre una risposta. Perché gli enti locali, nella migliore delle ipotesi, non utilizzano i fondi europei? Perché altre volte, invece, si rischia addirittura di mandarli indietro? Domande soffocate, forse, dai lacci dell’eccesiva burocrazia. Uno dei tanti paradossi italiani: le risorse finanziarie scarseggiano, ma spesso non si utilizzano quelle europee già assegnate e disponibili. I fondi messi a disposizione da parte dell’Unione Europea sono di due tipi: fondi strutturali e fondi settoriali o altrimenti chiamati a gestione diretta. I fondi strutturali (Fondo europeo di sviluppo regionale – FESR, Fondo sociale europeo – FSE e Fondi di Coesione) sono programmati ed erogati direttamente dai governi nazionali e regionali dei paesi membri; i fondi a gestione diretta, invece, sono coordinati delle direzioni generali della Commissione Europea. I primi hanno come obiettivo quello di contribuire alla riduzione del divario esistente tra i paesi membri e supportare il loro sviluppo economico e sociale attraverso il finanziamento delle infrastrutture, degli aiuti alle imprese (specie nel settore dell’innovazione tecnologica), delle politiche sociali d’inserimento lavorativo, occupabilità, adattabilità e pari opportunità. I secondi hanno, invece, l’obiettivo di supportare la definizione e l’implementazione di politiche comuni in settori strategici quali per esempio la ricerca e l’innovazione tecnologica, l’ambiente, l’imprenditorialità, il life long learning. I destinatari primari dei fondi settoriali sono le amministrazioni e le aziende pubbliche. Accedono, invece, ai fondi strutturali tutti i soggetti economici di un territorio in relazione alla destinazione degli stessi. L’Italia riceve un ammontare di fondi strutturali (FESR e FSE) pari a 13,5 miliardi di euro, con un cofinanziamento nazionale pari a 16,7 miliardi di euro. Una barca di soldi. Di fatto, però, i fondi strutturali sono agganciati al meccanismo del patto di stabilità imposto nel 2009, ossia per accedere ai finanziamenti bisogna rispettare rigorosamente determinati vincoli di bilancio. Con una situazione economico – finanziaria come quella in corso per gli enti locali diventa difficile, se non impossibile, rispettare i parametri imposti. Al danno si aggiunge la beffa. La situazione già precaria si aggrava ulteriormente perché è inibita la possibilità di accesso alle risorse europee. Proprio per questo i governatori Vendola (Regione Puglia), Lombardo (Regione Sicilia) e De Filippo (Regione Basilicata) hanno chiesto al governo che l’utilizzo di tali fondi sia sganciato dal patto di stabilità interno. In sostanza per la Basilicata questa situazione di stallo determina l’impossibilità di completare opere infrastrutturali importanti. Tra queste, per esempio, il tratto di collegamento Barile – Ginestra, la provinciale del Rubbio Francavilla - San Costantino Albanese e la Cavonica che permetterebbe un collegamento agile tra l’alta Val d’Agri e la Strada Basentana. La situazione più assurda, però, è quella che si sta verificando per i fondi europei per la viabilità rurale. Oltre otto milioni di euro devono essere assegnati alla Basilicata entro la fine di settembre, ma rischiano di ritornare a Bruxelles quasi intatti. Infatti, il dipartimento regionale agricoltura a maggio ha stilato la graduatoria tra gli oltre settanta comuni e comunità montane che avevano presentato i progetti di massima per la sistemazione delle strade rurali di loro competenza. Per iniziare i lavori, però, gli enti avrebbero dovuto presentare alla regione domanda di pagamento dei fondi assegnati. Sorpresa: solo sette comuni sono passati all’incasso. Ecco a questo punto l’ennesima domanda senza risposta: perché?

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto  N.92 01/10/2011

Fondi europei No grazie