Passannante l’anarchico dimenticato N.58 22/01/2011
L’anarchico lucano Giovanni Passannante fa parte della storia minore, quella refrattaria ai libri di scuola. La storia minore è fatta da un coagulo di fatti dimenticati e spesso da dimenticare. La vita di Passannante stava per finire nel tunnel obliquo del dimenticatoio della storia ufficiale. Il grande pubblico si riapproprierà di questo frammento di storia patria grazie al film “Passannante” del regista Sergio Colabona. Il film, girato a Rivello in provincia di Potenza, è stato tratto dall’omonimo spettacolo dell’attore teatrale lucano Ulderico Pesce. Il rivoluzionario lucano nacque a Salvia di Lucania il 19 febbraio 1849, ultimo di dieci figli, in una famiglia poverissima. Spinto da uno zio di idee repubblicane, sin da piccolo, imparò a leggere sui testi di Mazzini e Garibaldi e a 22 anni si dichiarò anarchico, convinto della necessità di una rivoluzione popolare per sostituire la monarchia con una repubblica. Poco più che ventenne lasciò il suo paese e si trasferì a Salerno dove lavorò come sguattero e poi come cuoco. La storia minore di Passannante s’intersecò con quella maggiore il 17 novembre 1878, quando attentò alla vita del re Umberto I in visita ufficiale a Napoli. L’azione più che altro fu dimostrativa; infatti, tentò di colpire il re con un coltellino usato per sbucciare la frutta acquistato dopo aver venduto la sua unica giacca. Brandendo una stoffa rossa e gridando "morte al re, viva la Repubblica universale, viva Orsini – abbasso il re, viva Pascoli", si scagliò contro il sovrano che se la cavò con una irrilevante scalfittura all'omero sinistro. L’anarchico fu arrestato immediatamente e torturato con ferri ardenti; sua madre e i fratelli furono rinchiusi nel manicomio criminale di Aversa e tutti i Passannante scapparono dal paese. Addirittura il nome del paese natio fu cambiato dopo l'attentato. Il sindaco dell’epoca, infatti, si recò a Roma per implorare il perdono dalla regina Margherita che lo autorizzò a mutare in nome in quello attuale di Savoia di Lucania. L’avvenimento destò molto clamore tanto che il poeta Giovanni Pascoli diede pubblica lettura di un’Ode a Passannante. Il processo si tenne il 6 e il 7 marzo 1879 e si concluse con la condanna a morte. Il re, però, preoccupato del clamore del caso convertì la pena ai lavori forzati a vita da scontare nel penitenziario di Porto Ferraio dove fu tenuto per dieci anni incatenato in una cella al di sotto del livello del mare. Ridotto a una larva, diventò cieco, si ammalò di scorbuto e, ridotto alla fame, fu costretto a mangiare i propri escrementi. Trasferito al manicomio di Montelupo Fiorentino morì il 14 febbraio 1910. Il cadavere fu decapitato e il suo cranio e il suo cervello sono rimasti esposti per 71 anni in una soluzione di formalina nel museo criminologico di Roma. Grazie anche all'impegno di Pesce e alla raccolta di firme Passannante è stato sepolto nel suo paese natio solo il 10 maggio del 2007, con non poche polemiche. La sua vita ora rivivrà nel film di Colabona, già in concorso al Festival Internazionale di Teatro di Santarcangelo di Romagna e a festival in Cile, Argentina e Perù. In primavera arriverà sugli schermi di rai uno. L’ultimo atto per consacrare il ribelle lucano nella storia ufficiale è la battaglia per il ritorno al nome originario del comune di Salvia, grazie a una petizione organizzata on line sul sito di Ulderico Pesce.
Pubblicato sul settimanale Il Resto N.58 22/01/2011