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Notizie ANSA

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Le mille parentopoli del 2010 N.54 18/12/2010

Tangentopoli, parentopoli, monopoli e Paperopoli. Il vezzo linguistico, tutto italiano, di associare lo scandalo e il malaffare di turno a un contesto abitativo virtuale, ma poco virtuoso, meriterebbe un approfondimento e qualche riflessione. Nell’antica Grecia la polis era un'organizzazione politica conosciuta anche come città stato. Lo stesso termine “politica” ha la medesima radice semantica. La polis era, dunque, prima di tutto un’organizzazione. Oggi la connotazione positiva del concetto di polis ha lasciato il posto all’automatica associazione con un sistema pur sempre organizzato ma costellato da fenomeni sociali degradanti: le tangenti, quindi si parla di tangentopoli o l’assunzione preferenziale di parenti e accoliti, quindi si parla parentopoli. Non si tratta di città stato in questi casi, ma città specchio del malcostume di uno stato. Sistemi, come le polis, ben organizzati e collaudati nel loro funzionamento. Tanto estesi che nelle italiche espressioni linguistiche assumono il titolo di vere e proprie polis. Polis connotate dallo scambio di tangenti o dove lavorano solo i parenti dei parenti. Il concetto di polis è snaturato e estremizzato, ma rende bene l’idea dell’estensione sociale dei fenomeni in questione. Città virtuali. Virtuali come i soldi del gioco del monopoli o come Paperopoli. Eppure i fenomeni che stanno dietro e dentro queste polis virtuali sono, invece, reali. Tanto reali che rischiano in questi giorni, per esempio, di provocare un terremoto amministrativo al comune di Roma. Si allarga, infatti, l’inchiesta sulla parentopoli capitolina per le assunzioni a chiamata diretta nelle aziende municipalizzate di Roma; nel mirino della magistratura oltre a 850 assunti all’Atac ora anche 1400 stipendiati dall’Ama, l’azienda che si occupa della raccolta rifiuti. Tutti i giornali ne stanno parlano. Proprio tutti? Su Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti nessuna traccia. Su Libero diretto da Maurizio Belpietro, invece, solo un trafiletto nelle pagine di retrovia. Evidentemente non tutte le parentopoli sono uguali. Eppure è sempre dalle colonne de il Giornale del 22 novembre 2008 che iniziò a tamburo battente una crociata contro le parentopoli nelle università. In particolar modo in quell’occasione si puntò il dito anche contro gli atenei del sud: Bari, Messina, Napoli, Catanzaro, Cosenza. A finire nel ciclone fu anche l’università degli Studi della Basilicata. Presso l’Unibas, infatti, da un calcolo approssimativo su 290 addetti al settore tecnico-amministrativo impiegato, 50 risultavano avere legami di parentela: 10 le unioni coniugali, 18 i fratelli che lavoravano nei vari uffici, 10 tra cugini e cognati, 5 i rapporti familiari tra docenti e addetti al settore amministrativo (padre-figlio, madre-figlia, zio-nipote) e 12 i casi di unione coniugale. Per non parlare di tutti quelli entrati per “via politica”. Per carità, nessun reato contestabile. La genetica può dimostrare tranquillamente che i consanguinei hanno in genere le medesime capacità intellettive tali da permettere il superamento del concorso pubblico. Anche qualora non ci dovesse essere contezza scientifica di questo, certe volte è il caso che si accanisce “contro” determinate famiglie, costringendo i suoi componenti a lavorare tutti in un’unica struttura, meglio se pubblica. Succede anche questo nelle varie città parentopoli dislocate nella grande Paperoli italiana.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto N.54 18/12/2010