La holding dell’ecomafia anche in Basilicata N.41 18/09/2010

Le organizzazioni criminali da tempo, ormai, hanno capito che l’ambiente può essere un settore rilevante per incrementare i propri affari. E’ il sistema che, con un neologismo, Legambiente chiama ecomafia. Con oltre 20,5 miliardi di euro di fatturato, l'ecomafia si conferma come una holding solida e potente. Come ogni anno l’organizzazione ambientalista fa il punto della situazione. “Se, da un lato, questa regione rimane sostanzialmente un’area di transito rispetto ai più significativi flussi criminali che interessano le regioni limitrofe, caratterizzate da un elevato tasso di mafiosità del crimine, dall’altro presenta fenomeni di consolidamento strutturale delle organizzazioni locali” è questo il quadro d’insieme che fotografa la situazione del fenomeno in Basilicata secondo il dossier Ecomafia 2010 di Legambiente. Il rapporto evidenzia 148 infrazioni accertate (erano 145 nel 2008) e 21 sequestri (idem nel 2008); crescono, invece, le persone denunciate che arrivano a 146 (erano 111 nel 2008). Stando così le cifre la Basilicata si attesterebbe al 16° posto, in fondo alla classifica nazionale. Sembrerebbe, quindi, una regione tranquilla dal punto di vista della legalità ambientale. Se, però, poi si considerano in percentuale l’incidenza degli stessi reati in rapporto alla popolazione regionale la situazione cambia e la regione lucana è proiettata al terzo posto nazionale con 2,5 reati ogni 10 mila abitanti preceduta solo da Calabria e Sardegna. Crescono, inoltre, nel 2009 le infrazioni relative alla normativa penale sui rifiuti: 155 (erano 108 nel 2008), il 3 per cento sul totale nazionale; aumento, questo, che spinge la Basilicata di qualche gradino più in alto nella classifica dell’illegalità nell’intero ciclo. Più che raddoppiate le persone denunciate, che passano dalle 50 del 2008 a ben 114; quasi raddoppiati pure i sequestri che arrivano a 46 (erano 25 nel 2008). Preoccupante, invece, la situazione della provincia di Matera che si attesta al secondo posto nazionale dopo Vibo Valentia con 87 reati accertati e un’incidenza di 4,3 ogni 10 mila abitanti. Anche l'agricoltura si conferma uno dei pilastri dell'economia criminale. Un giro d'affari di 50 miliardi di euro l'anno, poco meno di un terzo del fatturato illegale nel nostro paese. Un business che si traduce in 150 reati al giorno, un agricoltore su tre raggiunto dai tentacoli delle mafie, come denuncia la Cia, Confederazione italiana agricoltori, nel suo terzo rapporto sulla "Criminalità in agricoltura". Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia sono le regioni in cui il comparto dell'agro-crimine rende di più. I reati vanno dai furti di attrezzature e mezzi agricoli, usura, racket, abigeato, estorsioni, "pizzo", macellazioni clandestine, danneggiamento alle colture, aggressioni, a truffe nei confronti dell'Unione europea, caporalato, abusivismo edilizio e saccheggio del patrimonio boschivo. Sullo sfondo, per modo di dire, permangono gravi problemi ambientali. Basti pensare all’ex Liquichimica nel comune di Tito, a due passi da Potenza. Dal 2002 è un sito d’interesse nazionale da bonificare, infatti, nel terreno sono state sversate 300 mila tonnellate di fanghi industriali e 200 mila tonnellate di fosfogessi con tracce elevate di uranio e radio. Per non parlare dell’amianto disseminato in Val Basento o dell’inceneritore di Melfi. La Basilicata, una regione piccola ma con problemi ambientali grandi.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto N.41 18/09/2010

La holding dell'ecomafia anche in Basilicata