Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Com’ero buffo, quand’ero un burattino! e come ora son contento di esser diventato un ragazzino
perbene!».
Finisce così una delle favole più note di tutti i tempi. Stiamo parlando de Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi: un testo che ha accompagnato molte generazioni di ragazzi spesso proprio nel difficile passaggio dalla fanciullezza all’età adolescenziale. Nel finale è contemplato un nuovo inizio, ma soprattutto si può rintracciare il senso più profondo, anche esoterico, di questa favola iniziatica.
La storia è ben nota a tutti ed è stata oggetto di numerose trasposizioni cinematografiche; ma il valore aggiunto è rappresentato dal fatto che le vicende raccontate sono diventati archetipi di riferimento e così spesso per indicare una persona bugiarda si dice che sia un Pinocchio o per indicare altresì due soci in affari poco leali si fa riferimento appunto al gatto e alla volpe.
Di certo, sin dalla sua prima pubblicazione nel 1881, destò molto scalpore per la sua impostazione narrativa, per i personaggi presenti e per la storia in generale, a tratti strampalata e intrisa di profondo e per alcuni versi amaro umorismo.
Le avventure di Pinocchio, però, nascondo ben altro rispetto al semplicistico susseguirsi delle vicende della trama; la favola, infatti, è un percorso iniziatico pregno di significati e forme simboliche.
É questo il tema trattato all’interno del libro Pinocchio esoterico. Mitopoiesi di un poema iniziatico di Giacomo Maria Prati. Il libro analizza gli elementi della favola utilizzando gli strumenti del mito greco e della Bibbia, dell'alchimia e della gnosi, passando dal surreale all'esistenziale.
L'autore ripercorre e rilegge il capolavoro collodiano facendone emergere la foresta di simboli e di immagini che lo sostanzia, esaltandone il fittissimo intreccio di archetipi, allusioni, risonanze, rimandi, relazioni interne e dinamiche morfologiche che lo struttura. Un'ermeneutica che complica e non risolve una "favola" vista quale eroismo ed epica, prodigio espressivo e narrativo, mistero vitale.
Giacomo Maria Prati è avvocato e magistrato onorario, ma parallelamente ha da sempre un interesse e una passione per l'arte antica, l'iconologia quale cultura ermeneutica universale, i linguaggi simbolici, i testi mistici e i miti.
Pinocchio è sicuramente il libro per ragazzi più letto e più venduto di tutti i tempi. Spesso nel linguaggio comune parliamo di favola o di fiaba, ma nel sottotitolo del suo libro si parla di mitopoiesi di un poema iniziatico. Quali sono, dunque, gli aspetti iniziatici dell’opera di Collodi?
Sono moltissimi. Possiamo dire che la struttura stessa sia iniziatica, ma anche un viaggio a tappe trasformative che ha all’interno i suoi snodi più decisivi. Nel mio libro sottolineo innumerevoli segnaletiche, simbologie, allusività e relazioni interne al testo che rimandano alla dimensione dell’iniziazione, sia quale rito sia quale partecipazione misterica. Possiamo dire che il capolavoro collodiano celebra l’iniziazione nelle sue due essenze fondamentali: quale passaggio attraverso la morte (vivere la morte da vivi) ma anche quale “vedersi vivere”, assistere alla propria nascita e contemplare la propria genesi. Questo nel racconto accade più volte. Un esempio tra le decine che evidenzio: gli zecchini che il nostro eroe pone sotto la sua lingua mentre scappa di notte nel bosco inseguito dagli assassini rinviano all’obolo di Caronte.
Chi era effettivamente Collodi? Quali rapporti aveva con il mondo iniziatico?
Il vero mistero è questo: sebbene sia assodata la sua inclusione nella Libera Muratoria nulla della sua biografia riesce a spiegare l’unicità, l’originalità e la ricchezza immensa di un’opera così paradossale e misteriosa come Pinocchio. É il mistero della creazione artistica, penso, spesso più inconscia che consapevole.
Già il nome del protagonista ha una valenza fortemente esoterica. Cosa rappresenta?
Esisteva una “fonte Pinocchia” nei luoghi della sua fanciullezza ma come dicevo quest’opera è un apax, un unicum, non riducibile mai a schemi o tradizioni o ideologie. Certamente il legno di pino appare reminiscenza dionisiaca e iniziatica e il tema dell’occhio, quindi del risveglio spirituale è solo un filo rosso dei tanti presenti nel racconto.
Nel mio libro più che risposte precise utilizzo ermeneuticamente lo stesso stile allusivo e simbolico proprio di Collodi. É uno dei connotati del mio metodo interpretativo-narrativo: aderire totalmente all’opera, fino a mutuarne lo stile e il ritmo interno. Occorre cercare di andare oltre sé stessi, il proprio ego che spesso è un elefante inutile e ingombrante che toglie lo sguardo diretto ed essenziale sulla realtà che abbiamo di fronte e dentro noi stessi.
Quali sono gli elementi alchemici che possiamo rintracciare nelle vicende di Pinocchio?
Moltissimi: il burattino-ragazzo-animale Pinocchio attraversa nelle sue vicissitudini più volte i quattro elementi della natura e ha a che fare con i tre principi base dell’alchimia. Tutta la sua bizzarrissima vicenda è un Opus di continua trasformazione che procede spesso anche per salti, collassi, traumi e capovolgimenti radicali. L’ampolla viene rovesciata e mescolata più volte. Quando tutto sembra morto, perso, vano, ecco la rinascita.
Ogni personaggio sembra avere un preciso significato simbolico ed esoterico. Facciamo alcuni esempi.
Il tema fondamentale è quello della rinascita e del riconoscimento di una vitalità che appare insita nella materia (la “vocina” dentro il legno) ma ha bisogno di una plasmazione che gli permetta di raggiungere una consapevolezza e un’unità di vita superiore e completa.
Pinocchio nasce libero ma in modo istintivo e a-sociale. Alla fine controllerà quel fuoco e quella luce con cui per quasi tutta la sua vita non riesce a rapportarsi se non in termini di pericolo, equivoco e perdita.
Pinocchio non viene quasi mai riconosciuto per quello che è, ma sempre scambiato per qualcun altro. La sua liberazione è proprio (apparente paradosso) nell’emancipazione da Geppetto e dalla Fata e nel controllo sciamanico degli spiriti della natura, alluso nel suo cavalcare il colombo e il tonno. La Fata è una sirena che mette alla prova il nostro eroe, così come la sua Lumaca, spirito della soglia e segnaletica luminosa non facile da oltrepassare.
Il denaro sembra un elemento centrale. Qual è il suo ruolo simbolico ed esoterico?
Sì, una favola ben strana quella dove il denaro si rivela uno dei temi costanti del racconto, dai quattro soldi di rame dell’abbecedario venduto per entrare nel Gran Teatro dei Burattini fino ai quaranta zecchini d’oro trasformati-donati dalla Fata attraverso un sogno-reale che ricorda le incubazioni rituali nei templi di Esculapio. Il denaro appare pinocchiescamente un elemento archetipale paterno-maschile-solare che ossessiona-perseguita il nostro eroe: velo alchemico che allude ai cambiamenti di stato animico del nostro eroe.
Pinocchio alla fine riuscirà a riconciliarsi anche con la potente magia del segno metallico controllandone il magnetismo. Il suo cuore è d’oro fin dall’inizio ma di questo il nostro eroe è ignaro.
È interessante il rapporto che lega Pinocchio alla produzione artistica di Carmelo Bene. Quali sono le caratteristiche di questo legame?
Ho dedicato un intenso capitolo al Pinocchio di Carmelo Bene per illustrare come alla luce di quello collodiano si comprenda in profondità e con chiarezza la poetica del grande artista salentino e come viceversa alla luce dell’uomo-opera Carmelo Bene si comprenda molto meglio la profondità dell’epica-lirica pinocchiesca.
Carmelo Bene aveva capito che Achille, Amleto e Pinocchio parlano degli stessi misteri-paradossi esistenziali e artistici. Siamo nei punti cruciali del rapporto vita-finzione-rappresentazione.
Possiamo dire, dunque, che ci sono vari livelli di lettura. Alla fine, quale è l’insegnamento di questo “poema”?
Possono enuclearsi molti insegnamenti e tutti molti attuali: l’essenzialità della libertà individuale, l’apparenza delle relazioni sociali, l’unicità e singolarità dell’individuo quando non si fa ridurre a recita-ruolo sociale, la bellezza del mistero della vita, l’imprevedibilità del divenire e la possibilità reale di cambiare nel profondo dell’anima.
Lo scopo principale del mio libro è porsi come Pinocchio stesso quale opera aperta e performativa che da una parte squaderna molti sensi sottili e quasi nascosti del racconto giungendo ad un “iper-Pinocchio” o “Pinocchio al cubo” assai magico-sciamanico e dall’altra offrendo strumenti e accenni al lettore perché compia lui stesso un suo viaggio performativo-ermeneutico dentro l’opera pinocchiesca rileggendola e individuando lui stesso (certamente) nuove scoperte e illuminazioni.
Il protagonista del romanzo La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco, a un certo punto della narrazione, porta in discussione nella sua seduta di laurea uno strano libro dal titolo difficile e quasi impronunciabile: Hypnerotomachia Poliphili. Tradotto letteralmente sarebbe
Combattimento amoroso di Polifilo in sogno: uno strano titolo per un libro. Cosa tratta questo libro antico con un titolo così astruso?
Lo stesso libro viene anche menzionato nella prima scena del film La nona porta di Roman Polański (1999). Vi è poi un romanzo del 2004 che si basa proprio su questo strano testo: si tratta de Il codice del quattro di Ian Caldwell e Dustin Thomason.
Perché così tanto interesse nei confronti di questo libro?
Più di un semplice libro…
Il volume è un romanzo allegorico con 169 illustrazioni xilografiche stampato a Venezia da Aldo Manuzio il Vecchio nel dicembre 1499.
L'edizione originale dell'Hypnerotomachia Poliphili è un capolavoro tipografico ed è da molti considerato il più bel libro nella storia della stampa. È celebre, infatti, proprio per la qualità e la nitidezza tipografica, ottenuta con l'utilizzo di un carattere romano appositamente inciso da Francesco Griffo.
Le immagini a corredo del testo mostrano, in elaborate scene, le strutture architettoniche e i personaggi che il protagonista incontra nei suoi sogni. Le illustrazioni sono forse la parte migliore del libro: lo stile grafico di delicata ispirazione classica è al contempo semplice e ornato, in perfetta armonia con i caratteri tipografici usati nel testo.
Lo stile delle illustrazioni xilografiche ha avuto una grande influenza sugli illustratori inglesi del tardo XIX secolo, come Aubrey Beardsley, Walter Crane e Robert Anning Bell.
Il testo è stato attribuito a diversi autori (tra cui, oltre allo stesso tipografo Aldo Manuzio, anche a Leon Battista Alberti, Giovanni Pico della Mirandola e Lorenzo de Medici).
Un acrostico contenuto nel testo però, formato dalle iniziali dei 38 capitoli, indicherebbe l'autore dell'opera in un certo Francesco Colonna.
Lo psicoanalista Carl Gustav Jung aveva una grande ammirazione per questo libro, ritenendo che le immagini oniriche preannunciassero la sua teoria degli archetipi.
La trama
Nelle prime pagine è indicata una strana dedica di un certo Leonardo Grassi di Verona, probabile committente, indirizzata all’urbinate Guidobaldo di Montefeltro, noto ai più come figlio di Federico da Montefeltro.
Il tema trattato si colloca nella tradizione del romanzo cavalleresco, secondo le convenzioni dell'amor cortese, un tema caro anche agli aristocratici del Quattrocento.
La storia narrata si svolge nel 1467 e si sviluppa attraverso elaborate descrizioni di scene dove il protagonista è Polifilo (il cui nome deriverebbe dal significato di amante di molte cose, dal greco polú e philos); egli vaga in una sorta di paesaggio onirico bucolico-classico in cerca della sua amata Polia.
Il racconto descrive un sogno erotico, ma anche un viaggio iniziatico, metafora della trasformazione interiore e della ricerca dell'amore platonico. Il viaggio iniziatico richiama alla mente quello di un altro grande romanzo dell'antichità, ossia le Metamorfosi di Apuleio.
La vicenda narrata inizia con Polifilo insonne perché la sua amata si è allontanata da lui. Il protagonista viene trasportato in una foresta selvaggia, dove si perde, incontra draghi, lupi, fanciulle e meravigliose architetture, poi fugge e si riaddormenta.
Quindi si sveglia in un secondo sogno, sognato all'interno del primo, durante il quale alcune ninfe lo conducono dalla loro regina e lì gli chiedono di dichiarare il suo amore per Polia. Polifilo dichiara il suo amore e poi due ninfe lo conducono davanti a tre porte. A quel punto sceglie la terza porta e lì scopre la sua amata. I due sono condotti da altre ninfe in un tempio per la cerimonia del fidanzamento. Lungo la strada passano attraverso cinque processioni trionfali che celebrano la loro l'unione. Successivamente Polifilo e Polia sono trasportati nell'isola di Citèra su un'imbarcazione con Cupido come nocchiero; lì vedono un'altra processione trionfale che celebra ancora una volta il loro amore.
La narrazione è ininterrotta, ma a questo punto si inserisce una seconda voce: Polia descrive l'erotomachia dal suo punto di vista.
Poi Polifilo riprende la narrazione mentre Cupido appare in sogno a Polia e la costringe a tornare da Polifilo (svenuto come morto ai suoi piedi) e lo riporta in vita con un bacio.
Venere, a questo punto, benedice il loro amore e gli amanti finalmente sono uniti. Quando Polifilo sta per prendere Polia tra le sue braccia questa si dissolve nell'aria e Polifilo si sveglia definitivamente.
I significati simbolici
Il testo è scritto in una lingua forse volutamente difficile definita polifilesco: un misto di italiano e latino, ricco di parole coniate da radici greche e latine, oltre a termini ebraici e arabi presenti anche nelle illustrazioni. Il libro contiene anche alcuni geroglifici egiziani, naturalmente con un significato idealizzato e non filologico, non essendo stato ancora decifrato all'epoca. Lo stile dell'autore è elaborato, descrittivo e caratterizzato da un ampio uso di superlativi.
Bisogna innanzitutto partire dal titolo nella sua versione estesa che recita Hypnerotomachia Poliphili, ubi humana omnia non nisi somnium esse docet atque obiter plurima scitu sane quam digna commemorat ovvero, tradotto in volgare: La Hypnerotomachia di Polifilo, cioè pugna d’amore in sogno, dov’egli mostra che tutte le cose humane non sono altro che sogno et dove narra molt’altre cose degne di cognitione.
La prima lettera di ogni capitolo, decorata in modo elaborato, come già detto, forma un acrostico: POLIAM FRATER FRANCISCVS COLVMNA PERAMAVIT (frate Francesco Colonna amò intensamente Polia).
Chi è Francesco Colonna? Ci sarebbero almeno due ipotesi. Una prima fa riferimento a Francesco Colonna principe romano, dal 1484 signore di Palestrina, frater dell’Accademia Pomponio Leto; questa consorteria si riproponeva di tornare all’antica religione pagana, progettando di assassinare addirittura il Papa. Pomponio Leto fondó l’accademia e i suoi accoliti frater erano soliti partecipare a riti orgiastici, omosessuali e probabilmente magici. Leto, inseguito dalle autorità papali, per accuse di eresia, era stato incarcerato per sodomia proprio negli anni in cui fu scritto il romanzo (1467 o successivi) e proprio a Venezia. I riferimenti alla cultura egizia e alla mitologia pagana potrebbero portarci in quella direzione.
L’altro Francesco Colonna potrebbe essere un frate domenicano di origine veneziana che tra il 1467 e il 1477 risiedeva nel convento Santi Giovanni e Paolo a Treviso, nella stessa città dove abitava Polifilo. Il frate è stato esiliato a Venezia nel 1477 perché “troppo rilassato” cioè sensibile alle lusinghe materiali. Morì nel 1527 quasi centenario. Nel libro è stata celata forse la sua storia d’amore clandestina, magari idealizzata con il nome di Polia?
Ritornando ai significati nascosti del testo possiamo dire che forse l’intento finale potrebbe essere quello di mostrare come tutte le cose per cui l’uomo combatte, compreso l’amore e la vita stessa, in fondo, non siano nient’altro che un sogno.
Probabilmente il teso ha anche un altro livello di lettura che potrebbe essere collegato all’esaltazione di una spiritualità libera da dogmi e imposizioni, in cui l’anima seguirebbe il suo naturale percorso verso la rinascita; in effetti l’opera fa riferimento alla mitologia greco-romana, ma si possono cogliere anche numerosi accenni al cristianesimo primitivo e ai culti iniziatici di Iside e Osiride.
Alla luce di queste considerazioni si può leggere l’Hypnerotomachia Poliphili come un percorso iniziatico in cui l’eroe, dopo varie avventure tra sogno e realtà e dopo aver passato anche un’esperienza di morte e risurrezione, raggiunge e completa una trasformazione interiore e la libertà spirituale.
È probabile il testo volesse offrire una specie di sintesi della lunga tradizione dei culti misterici e della tradizione sapienziale; bisogna ricordare, infatti, inoltre che il bisogno di riunificare varie tradizioni, religioni e filosofie era molto sentito proprio dai filosofi rinascimentali. In tal modo il testo andrebbe ricondotto a un preciso filone che va sotto il nome di romanzi misteriosofici.
Il messaggio nascosto del testo potrebbe essere, dunque, l’amore inteso come evoluzione spirituale e trasformazione partendo dalla prima forma del desiderio concupiscente, ossia la passione puramente sensuale che è di fatto una complicata lotta interiore tra anima e corpo. Quando Polifilo se ne libera, può finalmente presentarsi al cospetto di Venere, perché solo allora è pronto per vivere pienamente un amore più elevato. La bellezza e l’amore a quel punto vengono percepiti non solo con i sensi, ma anche con l’anima; il percorso di Polifilo non ha il fine di sacrificare i sensi, ma di purificarli, elevarli e affinarli.
Forse il messaggio autentico di tutto il testo si può capire immergendosi con anima pura nell’allegoria della storia ma anche interpretando nel modo giusto le sibilline frasi finali: «Felix Polia, che vive sepolto. Luminoso Marte Polifilo a riposo. Ti ha già svegliato dal sonno». Poi ancora: «Ma se potessi vedermi sbocciare, sarebbe grande…L'immagine dell'universo meravigliosa…L'ombra cade. Il fiore è secco, non è mai tornato in vita. Arrivederci».