Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Così, quando un mago è versato nella filosofia naturale e nella matematica e conosce le scienze che ne derivano, l’aritmetica, la musica, la geometria, l’ottica, l’astronomia e quelle che si esercitano a mezzo di pesi, di misure, di proporzioni, di giunzioni, nonché la meccanica, che è la risultante di tutte queste discipline, può compiere cose meravigliose che stupiscono gli uomini più colti». Così si esprimeva Cornelio Agrippa, convinto che la matematica, con le sue applicazioni pratiche e teoriche, possa essere considerata l’arte magica per eccellenza. Forse è effettivamente così, sebbene sin da piccoli siamo stati abituati a pensare che la matematica sia essenzialmente solo un groviglio di fredde e distaccate regole e formule astratte avulse da applicazioni reali. In effetti, però, non è così: la matematica può avere risvolti e utilizzi concreti anche nella vita di tutti i giorni (basti pensare per esempio al funzionamento dei più moderni strumenti tecnologici), ma soprattutto può essere la base di riferimento per importanti interpretazioni simboliche e in particolare legati alla numerologia, spesso utili per decodificare alcune opere d’arte o monumenti come per esempio le Piramidi che sono state costruite secondo calcoli ben precisi. In altre parole la matematica può essere considerata uno strumento importante, basti pensare, per esempio, ai risvolti esoterici e mistico-simbolici legati al pensiero di Pitagora. Tenuto conto di questo quadro di riferimento vi è poi un’applicazione matematica che si perde nella notte dei tempi, ma che ha un fascino particolare. Il suo nome è il quadrato magico.
Le origini
I quadrati magici erano già noti in Cina nei primi secoli dopo Cristo e forse addirittura nel IV secolo a.C. I primi quadrati magici risalgono addirittura all’antica Cina, ai tempi della dinastia Shang, nel duemila a. C., quando secondo la leggenda un pescatore trovò lungo le rive del fiume Lo, un affluente del fiume Giallo, una tartaruga che portava incisi sul suo guscio strani segni geometrici. Il pescatore portò la tartaruga all’imperatore e i matematici al suo servizio studiando quei segni scoprirono un’imprevedibile struttura: un quadrato di numeri con somma costante 15 su ogni riga, colonna e diagonale. Si trattava di un quadrato magico 3x3 (ossia di ordine 3) definito “Lo Shu”.
Le proprietà più interessanti di questo primo quadrato magico sono collegate alla teoria dello Yin-Yang, secondo la quale ogni cosa deriva dall’armoniosa opposizione di due originali forze cosmiche. Yang è la forza maschile, sorgente di calore, di luce e di vita, sotto l’influenza del Sole; Yin è invece la forza femminile che si sviluppa al buio, al freddo e nell’immobilità, sotto l’influenza della Luna. Nel “Lo Shu” i numeri dispari rappresenterebbero l’elemento maschile, mentre quelli pari l’elemento femminile. Il numero cinque, inoltre, rappresenta la Terra mentre gli altri numeri i punti cardinali e le stagioni. Ad esempio: uno è il nord e l’inverno, il nove è il sud e l’estate, il tre rappresenta l’est e la primavera e il sette l’ovest e l’autunno. Attorno al numero cinque si alternano coppie di numeri che rappresentano i quattro elementi: l’acqua, uno e sei; il fuoco, due e sette; il legno tre e otto e il metallo, quattro e nove.
In occidente, invece, i quadrati magici apparvero intorno al XIII secolo. Se ne trova traccia in un manoscritto in lingua spagnola, ora conservato nella biblioteca Vaticana, attribuito a Alfonso X di Castiglia. Già in questo testo i quadrati sono messi in relazione con i pianeti. Ricompaiono poi a Firenze nel XIV secolo in un manoscritto di Paolo Dagomari, matematico, astronomo e astrologo che fu tra l'altro in stretto contatto con Jacopo Alighieri, uno dei figli di Dante.
Con l'avvento della stampa, i quadrati magici crebbero enormemente, soprattutto grazie all’opera di Cornelio Agrippa che li descrisse in gran dettaglio nel libro II della sua opera Filosofia Occulta, definendoli "tavole sacre dei pianeti e dotate di grandi virtù, poiché rappresentano la ragione divina, o forma dei numeri celesti".
La vera riscoperta dei quadrati magici si ebbe, però, con lo sviluppo in Italia del neoplatonismo rinascimentale e quindi di riflesso delle scienze esoteriche. Il quadrato magico, però, è prima di tutto un concetto matematico.
Gli aspetti matematici
Si tratta di una disposizione di numeri interi all’interno di una tabella quadrata in cui siano rispettate due condizioni: i valori siano tutti distinti tra loro e la somma dei numeri presenti in ogni riga, in ogni colonna e in entrambe le diagonali, dia sempre lo stesso risultato, denominato "costante di magia". In matematica, una tabella di questo tipo è detta matrice quadrata. In modo analogo il numero di righe (o di colonne) è detto "ordine" del quadrato magico. Se si moltiplica la costante magica per l'ordine, si ottiene la somma di tutti gli interi del quadrato. Dunque una vera e propria struttura magica basta sui numeri.
I quadrati magici di ordine tre sino al nove, descritti come strumenti per attirare le influenze dei pianeti, si ritrovano in numerosi manoscritti a partire dal XV secolo. Tra i più noti possiamo citare il Liber de Angelis, un testo di magia angelica. I quadrati con ordini compresi tra tre e nove sono invece collegati simbolicamente ai vari pianeti. Nel corso dei secoli sono stati utilizzati per costruire talismani: le loro incisioni su placche d'oro o d'argento venivano impiegate come rimedi, per esempio, contro la peste o il mal d'amore.
Nell’edizione del 1533 nel libro II della sua opera Filosofia Occulta di Cornelio Agrippa i quadrati magici sono associati alla magia celeste, cioè al potere delle stelle e dei pianeti. Di ogni quadrato magico Agrippa fornisce la descrizione in chiave planetaria, secondo il seguente schema:
Ordine 3: quadrato di Saturno
Ordine 4: quadrato di Giove
Ordine 5: quadrato di Marte
Ordine 6: quadrato del Sole
Ordine 7: quadrato di Venere
Ordine 8: quadrato di Mercurio
Ordine 9: quadrato della Luna.
Vi è poi una particolare forma evoluta del quadrato magico che è definito invece quadrato cabalistico di ordine sei, cioè con una matrice quadrata 6x6 che contiene i numeri da 1 a 36. In numerologia questo quadrato magico assume una valenza particolare poiché la somma di tutti i numeri utilizzati determina il famigerato numero 666.
È possibile definire i quadrati magici secondo il loro utilizzo e la loro funzione: ordinari, panmagici, satanici, diabolici e cabalistici. A partire dal XVI secolo la loro diffusione è arrivata anche in ambito artistico: la matematica così si fonde e si nasconde nell’arte, sconfinando nel simbolismo e nell’esoterismo.
Il quadrato magico di Dürer
In ambito artistico il quadrato magico lo ritroviamo in una strana opera tanto affascinante quanto enigmatica. Un quadrato magico di ordine quattro, quindi quadrato di Giove, infatti compare in una delle incisioni più famose dell’artista tedesco Albrecht Dürer, ossia la Melencolia I, realizzata nel 1514. Il quadrato magico è raffigurato sulla parete dietro il soggetto, in alto a destra. L’incisione è stata oggetto di diversi studi che in prima battuta hanno evidenziato il collegamento, in linea con la dottrina medioevale, degli stati d’animo con i quattro elementi naturali e con i pianeti, secondo lo schema: umore sanguigno – aria – Giove, umore collerico – fuoco – Marte, umore flemmatico – acqua – Luna, umore melanconico – terra – Saturno. In maniera enigmatica e simbolica l’artista pone, dunque, l’attenzione sul pianeta Giove, in virtù del fatto, come abbiamo detto, che il quadrato magico è di ordine quattro e pertanto collegato ad esso. Cosa vuole esprime, però, effettivamente sotto questo velo simbolico?
Il soggetto ritratto nell’opera regge un compasso, ha una borsa per contare il denaro ed è circondato da oggetti di forma geometrica, tra i quali uno strano poliedro che ha interessato generazioni di matematici. La figura alata è seduta con aria pensosa davanti a una costruzione in pietra circondata da strani oggetti, appartenenti al mondo dell'alchimia: una bilancia, un cane scheletrico, attrezzi da falegname, una clessidra, un putto, una campana, un coltello e una scala con sette pioli.
L'opera, simbolicamente, rappresenta in termini alchemici le difficoltà che si incontrano nel tentativo di tramutare il piombo (anime delle tenebre) in oro (anime che risplendono). Si tratta quindi di un vero e proprio compendio del pensiero dell'artista sull'arte e sull'animo umano attraverso la scienza alchemica.
In questa visione e seguendo queste chiavi interpretative è possibile forse capire meglio la presenza del quadrato magico.
In prima battuta è possibile notare che i due numeri nelle caselle centrali dell'ultima riga formano 1514, anno in cui venne eseguita l'incisione. Le due caselle poste alle estremità, invece, contengono i numeri quattro e uno che corrispondono alle lettere D e A dell’alfabeto, ossia proprio le iniziali di Albrecht Dürer.
Il quadrato magico contenuto nell'opera è molto complesso. Infatti non è in funzione solo del fatto che la somma dei numeri delle linee orizzontali, verticali e oblique riporta sempre come risultato 34 ma anche la somma dei numeri dei quattro settori quadrati in cui si può dividere lo schema e anche i quattro numeri al centro se sommati danno ancora proprio 34. La stessa cosa vale anche per i quattro numeri agli angoli. Inoltre se si prende un numero agli angoli e lo si somma con il numero a lui opposto si ottiene sempre 17 ossia la metà proprio di 34.
È importante notare che il numero 34 simboleggia il potere della realizzazione dell'uomo e rappresenta l'evoluzione risultante dall'organizzazione cosmica e dalla legge naturale, ossia il cosiddetto asse del mondo. Si tratta, dunque, di un numero magico per eccellenza e rappresenta la compresenza di vari elementi allusivo al processo di trasformazione oggetto dell’opus alchemico. Si tratta di un numero complesso: il principio del tre, il numero perfetto, si unisce al quattro, il numero della materia, creando la cifra del perfetto mutamento.
Il quadrato magico dell’incisione di Dürer, ma in generale tutta l’opera, è dunque un complesso sistema di conoscenze celate in pochi centimetri quadrati: la matematica al servizio di altre discipline come in un percorso iniziatico.
Diceva ancora Cornelio Agrippa: «Solo per voi, figli della dottrina e della sapienza, abbiamo scritto quest'opera. Scrutate il libro, raccoglietevi in quella intenzione che abbiamo dispersa e collocata in più luoghi; ciò che abbiamo occultato in un luogo, l'abbiamo manifestato in un altro, affinché possa essere compreso dalla vostra saggezza».
Nasce il Blog di Uno Editori
https://revoluzione.unoeditori.com/
«Vedere ciò che si trova davanti al nostro naso richiede un impegno costante» George Orwell.
Nella società democratica le opinioni, le abitudini e le scelte delle masse vengono indirizzate, spiegava nel 1928 Edward Bernays – considerato il fondatore delle Pubbliche Relazioni e l’ideologo degli attuali spin doctors − da un «potere invisibile che dirige veramente il Paese». Nel suo saggio Propaganda, Bernays spiegava che nei sistemi democratici la propaganda è fondamentale per “dare forma al caos”: per evitare che la democrazia ci porti al caos e alla paralisi sociale, un “governo invisibile” manipola, le opinioni, le abitudini e le scelte dei cittadini, lasciando a costoro l’illusione di essere liberi.
La lezione di Bernays, in estrema sintesi, è che ai metodi repressivi si preferisce affiancare la manipolazione “dolce” volta a far credere ai cittadini che costoro siano liberi di scegliere quando invece le loro decisioni vengono orientate dall’alto. Questo processo nei decenni ha portato alla costituzione di una “scienza della manipolazione” di sconcertante raffinatezza che riesce a influenzare comportamenti e modi di essere, a volte senza nemmeno dover fare uso della coercizione fisica. Il potere oggi, per risultare maggiormente efficace, preferisce infatti rimanere “nell’ombra”, manipolando da dietro le quinte i sentimenti e la mentalità di massa senza dare l’impressione di farlo.
Qualcosa, però, di questo meccanismo, oggi sembra essersi inceppato: la manipolazione costante e capillare dell’opinione pubblica ha raggiunto al contempo il suo apice e forse il suo declino.
La frattura tra il potere “democratico” e la base della popolazione è sempre più drammatica, perché sempre più evidente è la diseguaglianza economica e sociale che certe politiche basate sull’austerity, il mondialismo e la globalizzazione hanno portato. Stiamo inoltre assistendo a una erosione capillare di tutte le identità forti, alla costituzione di una società sempre più liquida e a una generalizzata perdita dei valori che stanno comportando uno spaesamento collettivo e come reazione la diffusione dei cosiddetti “populismi”.
La popolazione sta infatti iniziando ad acquisire la capacità e la volontà di andare oltre l’apparenza per capire meglio gli avvenimenti e la loro genesi. Sempre più persone iniziano a informarsi in modo alternativo rispetto ai classici media di massa: il problema per loro è trovare un “contenitore” in cui poter recuperare notizie e fonti attendibili che non scadano nel becero cospirazionismo.
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Il nostro scopo è informare in modo corretto e attendibile per offrire quelle informazioni che il potere volutamente nasconde. L’intento è quello di offrire un canale di informazione unico nel suo genere, ove si possano approfondire quei modelli sociali, culturali, filosofici, economici, politici che si affermeranno nel futuro e al contempo renderli fruibili al grande pubblico.
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Dobbiamo essere consapevoli di essere immersi quotidianamente nella propaganda e che se non vogliamo ritrovarci in una società distopica come quelle immaginate da saggisti e romanzieri visionari (da Aldous Huxley a George Orwell), siamo ancora in tempo a “svegliarci” e riappropriarci del nostro futuro, sapendo che anche la libertà, come la verità, richiede un impegno costante.
Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi potrebbe sembrare un nome qualunque, eppure forse non tutti sanno che dietro questo appellativo, all’apparenza vagamente aristocratico, si nasconde uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano. Stiamo parlando di Sandro Botticelli. L’impronta artistica che ha lasciato resiste nei secoli: quando si parla di primavera o di bellezza per una libera associazione di pensieri la mente corre subito ai suoi dipinti più famosi, ossia alla Nascita di Venere e alla Primavera. Botticelli, però, non è stato solo questo: è possibile rintracciare significati nascosti ben oltre il canone della bellezza estetica che trasuda dalle sue opere.
Prima di capire quali sono i punti più controversi che si prestano a varie interpretazioni relativamente alle opere più importanti e che denotano una certa predilezione dell’artista nei confronti di alcune particolari tematiche esoteriche, vediamo più da vicino chi era Sandro Botticelli.
La vita
Nacque a Firenze nel 1445 in via Nuova, oggi Via del Porcellana, ultimo di quattro figli maschi crebbe in una famiglia modesta ma non povera, mantenuta dal padre, Mariano di Vanni Filipepi che faceva il conciatore di pelli. Secondo alcuni documenti di famiglia è possibile desumere che abbia avuto un'infanzia malaticcia che gli avrebbe plasmato poi un carattere introverso, leggibile anche in alcune sue opere dal tono malinconico e assorto.
Il fratello Antonio era orefice di professione (battiloro o battigello), per cui è molto probabile che il giovane Sandro abbia ricevuto una prima educazione presso la sua bottega e da questo particolare forse gli fu affibbiato il soprannome che è diventato più importante del suo cognome reale. La prima vera formazione artistica si svolse invece nella bottega pratese di Filippo Lippi dal 1464 al 1467.
Nel 1469 lavorava già da solo e in seguito alla morte di Filippo Lippi mise bottega per conto proprio. Tra il 1473 e il 1474 completò un’opera importante, L’adorazione dei Magi, conservato alla National Gallery di Londra; è uno straordinario esempio di anamorfismo, ossia per vederlo correttamente bisogna metterlo in posizione orizzontale.
Le sue opere successive risentirono delle tematiche umanistiche e filosofiche grazie alle commesse artistiche affidategli da membri importanti della famiglia Medici: si apriva così la stagione della realizzazione dei grandi capolavori. Il 27 ottobre 1480 insieme a Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino e i rispettivi collaboratori partirono per Roma per affrescare le pareti della Cappella Sistina. Il ciclo prevedeva la realizzazione di dieci scene raffiguranti le storie della vita di Cristo e di Mosè.
Nel 1502 una denuncia anonima lo accusò di sodomia. La sua fama era ormai in pieno declino anche perché l'ambiente artistico, non solamente fiorentino, era dominato da Leonardo e dal giovane astro nascente Michelangelo. Il pittore ormai anziano e quasi inattivo trascorse gli ultimi anni di vita isolato e in povertà, morendo il 17 maggio 1510. Fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di Ognissanti a Firenze.
Una vita dedica completamente all’arte e soprattutto all’esaltazione di un nuovo concetto di bellezza. Con Botticelli si entra, forse per la prima volta, in una nuova concezione artistica: la raffigurazione pittorica non solo fine a se stessa; in altre parole dietro la bellezza esteriore ha cercato di celare un concetto o un messaggio e spesso addirittura un sistema cifrato da interpretare.
Influenze esoteriche
Botticelli è stato influenzato profondamente dai filosofi neoplatonici dell’epoca; ne accolse pienamente le idee e riuscì a rendere visibile la bellezza da loro teorizzata, attraverso la sua personale interpretazione artistica influenzata dal suo carattere malinconico e contemplativo. I neoplatonici offrirono la più convincente rivalutazione della cultura antica, riuscendo a colmare la frattura che si era venuta a creare tra i primi sostenitori del movimento umanista e la religione cristiana; essi arrivarono a conciliare gli ideali cristiani con quelli della cultura classica, ispirandosi a Platone e alle varie correnti di misticismo tardo-pagano. In questo modo la mitologia fu pienamente riabilitata. Questo divenne, pertanto, il quadro concettuale di riferimento soprattutto del periodo maturo dell’artista fiorentino. Ecco, quindi, per esempio che diventano centrali alcune figure mitologiche. In primo luogo proprio Venere, la dea più peccaminosa dell'Olimpo pagano venne totalmente reinterpretata dai filosofi neoplatonici e diventò uno dei soggetti raffigurati più frequentemente dagli artisti in una duplice veste: la Venere celeste, simbolo dell'amore spirituale che spingeva l'uomo verso l'ascesi e la Venere terrena, simbolo dell'istintualità e della passione che lo ricacciavano verso il basso. Ma Venere è anche semplicemente associata all'amore, alla bellezza e alla fertilità.
Il contesto esoterico in cui si muoveva l’artista era fortemente influenzato in particolare da una figura centrale: Marsilio Ficino, filosofo, umanista e astrologo di primo piano nella cultura rinascimentale. Nel 1459 aprì la sede della nuova Accademia Platonica, per volere di Cosimo de’ Medici, con il compito di studiare le opere di Platone e dei platonici. Qui iniziò la traduzione dei Libri Ermetici (Corpus hermeticum). Ficino intravedeva in quella sapienza antica la presenza di una rivelazione, di una “pia philosophia” che si era condensata nel Cristianesimo ma nella quale l'umanità di tutti i tempi era sempre stata partecipe. Strumento dell'amore era principalmente proprio la bellezza.
C’è poi un aspetto particolare della vita di Botticelli spesso poco evidenziato ma che ha influenzato fortemente la sua produzione artistica ed è collegato agli studi di approfondimento neoplatonici. L’artista ha seguito quasi certamente un iter di preparazione iniziatica per rivestire il ruolo di Gran Maestro del Priorato di Sion e per diventare poi il pittore ufficiale della Famiglia Medici e dell’Accademia ficiniana. Le conoscenze rivenienti dall’appartenenza a questi contesti esoterici sono state riversate e celate ovviamente anche nelle sue opere. Come si manifestano tali conoscenze? Forse sarebbe meglio dire: come sono state celate?
Significati nascosti
Quando si parla di Botticelli è quasi automatico pensare alla sua opera forse più famosa, ossia La Primavera. Si tratta di un’opera su tavola commissionata nel 1482 da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino di secondo grado del Magnifico, anche egli allievo di Marsilio Ficino. L’opera avrebbe dovuto essere un dono per le sue nozze con Semiramide Appiani.
L’interpretazione classica che viene data fa riferimento alla rappresentazione dell'amor carnale che viene poi sublimato, sotto lo sguardo di Venere ed Eros al centro, in qualcosa di perfetto. La scena è ambientata in un giardino ricco di vegetazione e alberi di arancio. È presente inoltre Zefiro, re dei venti, che si libra leggero nell’aria avvolgendo in un sensuale abbraccio la ninfa Clori; è utile notare che Zefiro è un vento che soffia da ponente ma nel quadro è raffigurato a levante; ma come vedremo più avanti molto probabilmente c’è un motivo.
Al centro troviamo Venere vestita con un manto rosso e in posizione più alta rispetto a tutti gli altri personaggi proprio perché rappresenta l’amore puro ed elevato. È importante notare come questa figura abbia un ventre appena accennato come se fosse incinta; questo particolare legherebbe il tema della nascita simbolicamente alla natività di Cristo e in senso lato alla rinascita proprio della stagione primaverile. In altre parole Botticelli cerca di unire il tema religioso a quello prosaico delle stagioni in linea con il canone neoplatonico. Al di sopra troviamo Cupido bendato (perché l’amore è cieco) che sta per scoccare una freccia in direzione delle tre grazie che danzano elegantemente tra loro tenendosi per mano.
Questa opera è idealmente accoppiata con un’altra molto famosa, ossia La nascita di Venere, con la quale si potrebbe fornire una lettura congiunta. In questo caso Venere sarebbe la rappresentazione della venuta alla luce dell'Humanitas, intesa come allegoria dell'amore quale forza motrice della natura. Come nel caso dell’opera La Primavera ritroviamo nuovamente al centro la figura della dea, rappresentata nella posa di Venus pudica (ossia mentre copre la sua nudità con le mani e i lunghi capelli biondi), simbolo di purezza, semplicità e bellezza disadorna dell'anima. Il richiamo, però, potrebbe essere anche alla donna primordiale, ossia Eva al momento del compimento del peccato e quindi il disvelamento dell’anima peccatrice. Ritroviamo nuovamente il soffio di Zefiro, il vento fecondatore, abbracciato a un personaggio femminile presumibilmente la ninfa Clori.
Un altro elemento simbolico centrale è senza dubbio la conchiglia dalla quale emerge proprio la dea. La conchiglia rappresenta ancora una volta proprio la rinascita, ma è riconducibile anche al mollusco per sua natura ermafrodita. Questo passaggio è importante perché la coppia conchiglia – Venere potrebbe essere la rappresentazione velata di Lucifero. Sebbene Giulio Carlo Argan evidenzi, tra i significati impliciti del dipinto, la corrispondenza fra il mito della nascita di Venere dall'acqua marina e l'idea cristiana della nascita dell'anima dall'acqua del battesimo, bisogna però notare che Lucifero è storicamente associato al pianeta Venere come stella del mattino, ovvero quando sorge verso est all'aurora, poco prima del sorgere del sole. Questo potrebbe essere il senso mediato e celato della primavera inteso come il sorgere del primo sole. Ecco perché forse nell’opera La Primavera Zefiro soffia da levante e non da ponente, proprio per indicare il pianeta Venere (che sorge proprio verso est) e quindi astrattamente la figura di Lucifero. In altre parole probabilmente Botticelli ha incarnato, con la sua vena artistica geniale, nella figura di Venere l’Eva primordiale e la figura di Satana e quindi la primavera del genere umano dopo la cacciata dal paradiso terrestre, proprio perché nel Rinascimento l’uomo viene posto divinamente al centro dell’universo.
L’eresia velata di Botticelli non si esaurisce in queste due dipinti. Nell’opera Compianto su Cristo morto del 1485 è raffigurato la deposizione di Cristo nel Santo Sepolcro. I personaggi che caratterizzano l'insieme sono: il Cristo defunto sulle gambe di Maria, sua madre, i santi Pietro, Paolo e Stefano, Giovanni, due figure femminili e una figura probabilmente maschile che si nasconde il viso con un mantello. Le due donne chine risultano strane: la figura femminile che stringe i piedi è facilmente riconoscibile in Maddalena, ma la figura che stringe in maniera affettuosa il capo di Gesù baciandolo forse è Maria di Betania. Osservando attentamente si può notare che le due figure si somigliano in maniera impressionante. Ancora una volta Botticelli pone l’attenzione sulla figura femminile e sulla sua sacralità, come nel caso di Venere.
Il Cristo invece risulta glabro, pulito e immacolato. I segni della sofferenza sono appena accennati e non figurano macchie di sangue, quasi a voler sottolineare e affievolire il sacrificio di Cristo nella Passione.
L’esaltazione della figura della Maddalena è presente anche in un altro strano dipinto eseguito dal Botticelli tra il 1500- 1505. Si tratta de La figura di Gesù in croce. Cristo sembra avvolto da un intenso fumo e ancora una volta ritroviamo la figura della Maddalena, unica figura evangelica, prona sotto la croce. Nella parte alta del cielo volano, in maniera inspiegabile, scudi bianchi con croce rossa che potrebbero essere un chiaro rimando al mondo templare. Nella parte destra staziona un angelo il quale porge alla Maddalena (e non a Cristo) un ermellino, simbolo di regalità terrena.
A un’analisi più attenta delle opere di Botticelli viene fuori quindi un complesso dedalo di interpretazioni che aprono certamente interessanti itinerari alternativi di ricerca.
Diceva Giorgio Vasari di Botticelli: «Fu Sandro persona molto piacevole e fece molte burle ai suoi discepoli et amici». Forse le burle “più serie”, però, sono state nascoste nelle sue opere sebbene sotto gli occhi di tutti per secoli.