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Caffè, un inspiegabile oblio - Marzo 2016 - Giuseppe Balena

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Caffè, un inspiegabile oblio - Marzo 2016

 

 

Roma, 15 aprile 1987. In un’elegante strada del quartiere Monte Mario è quasi l’alba; la brezza mattutina fa sentire sulla pelle gli ultimi segni del rigore invernale che tarda a dissolversi nell’incalzare dei primi tepori primaverili. Un giorno come tanti nella sonnacchiosa ma rampante capitale italiana della fine degli anni’80.

Un uomo piccolo di statura e con l’andatura incerta esce in strada e si muove meccanicamente, quasi a scatti; si sposta a fatica, come se di colpo tutta la vita vissuta lo schiacciasse con il peso assoluto della forza di gravità dei ricordi. Rimembranze sfumate, in via di dissolvimento.

È giorno. Le prime luci del mattino conquistano in fretta ogni anfratto della città che si rimette in movimento.

L’uomo resta immobile per un momento, avvolto nel suo silenzio ovattato. Poi fa un passo verso la direzione ignota di sé stesso. Quell’uomo aveva 73 anni ed era il professore di economia Federico Caffè.

Potrebbe sembrare l’incipit di un romanzo giallo, invece è la realtà; è stata la realtà sfuggente ma contingente di un giorno che, a distanza di molti anni, tende a sbiadire e a immergersi silenziosamente nei ricordi di una storia rimasta in sospesa, di una vita rimasta appesa nel limbo, proprio come le vite di chi scompare nel nulla senza lasciare nessuna traccia.

Chi era Federico Caffè

Federico Caffè era nato a Pescara il 6 gennaio 1914. Si è laureato con lode all'Università di Roma nel 1936 in Scienze Economiche e Commerciali. Nel 1945 è stato consulente del Ministro della Ricostruzione durante il governo Parri. Ha lavorato inizialmente presso la Banca d'Italia e poi si è dedicato completamente all’insegnamento prima nelle Università di Messina e di Bologna e poi, dal 1959 fino al suo ritiro per raggiunti limiti di età, in quella di Roma.

Oltre ai suoi scritti accademici, è stato un attento commentatore dell'attualità economica su giornali e riviste con la pubblicazione di numerosi articoli e saggi.

Tra i suoi studenti più importanti vi sono stati Mario Draghi e Ignazio Visco.

Gli ultimi anni della sua vita sono stati segnati da alcuni episodi che lo hanno emotivamente provato molto: la morte della madre e della tata che lo aveva cresciuto, la scomparsa dei colleghi Ezio Tarantelli assassinato dalle Br nell'85 e di Fausto Vicarelli in un incidente stradale e quella del suo studente Franco Franciosi, stroncato da un tumore. Al momento del congedo dalla vita accademica ha sofferto un profondo sconforto. Agli amici più stretti confessò di non riuscire a scrivere e di avere amnesie sempre più frequenti.

Ha emozionato l'opinione pubblica italiana la notizia dell’impegno dei suoi studenti nelle ricerche in tutta la città di Roma nei giorni successivi alla scomparsa; ricerche che, purtroppo, non diedero nessun esito.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 30 ottobre 1998, ha dichiarato la morte presunta.

Alla scomparsa di Federico Caffè è dedicato il film di Fabio Rosi "L'ultima lezione", dove la parte dell'economista è interpretata dall'attore Roberto Herlitzka. Il film è tratto dal libro inchiesta di Ermanno Rea “L' ultima lezione” (Einaudi).

Il professore e lo studioso

Federico Caffè prima di essere un economista era un professore universitario e ci teneva molto a questo ruolo. Diceva: “Un professore non è un conferenziere, non parla occasionalmente a degli sconosciuti che con tutta probabilità non rivedrà più. Un professore dialoga con gli studenti dei quali conosce spesso tutto o quasi tutto: problemi e speranze, capacità e lacune, ansie e incertezze. Li assiste nei loro bisogni. Li segue lungo una strada che può finire il giorno dell'esame ma che può anche andare avanti fino a quello della laurea e oltre”.

È stato uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia. Al centro delle sue riflessioni economiche c’è stata sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli.

Il suo pensiero economico si colloca nell’ambito di quella si può definire “la terza via”: la ricerca di un capitalismo storico, cioè funzionante nella pratica, che avesse, però, una regolamentazione nell’interesse generale. Il filo rosso che lega insieme i numerosi interventi nell’ultimo decennio della sua vita è l’individuazione e la regolamentazione degli strumenti per il controllo democratico dell’economia.

Afferma in particolare l’economista nei suoi scritti: “Nessun male sociale può superare la frustrazione e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle collettività umane”. 

Una visione dell’economia, dunque, a servizio dell’uomo e a sostegno dei più deboli; questa è la concezione portante del suo pensiero che si può definire come “cristianesimo laico”.

Un intellettuale contro

Posizioni idealiste, dunque, perseguite con lo spirito del riformismo applicato alla realtà. Per capire chi era effettivamente Federico Caffè e, forse, per comprendere il motivo della sua scomparsa bisogna soffermarsi non solo sulla sua personalità, ma anche e soprattutto sul pensiero economico. Una vita da autentico riformista, da sempre contro l’arroccamento del sistema politico e finanziario.

Soprattutto negli ultimi anni della sua vita i suoi interventi pubblici si sono orientati verso una critica dura per quanto concerne la deriva piratesca degli speculatori finanziari e più in generale nei confronti di un sistema economico che non garantiva la stabilità, la trasparenza e la partecipazione democratica.

A più riprese ha affermato la necessità di arrivare a una separazione fra la gestione dell’intermediazione finanziaria da affidare ai poteri pubblici e l’attività produttiva che, invece, doveva essere lasciata al mercato, garantendo condizioni effettivamente concorrenziali e non posizioni oligarchiche imperanti.

In questa prospettiva, senza timore, si scagliava anche contro i soggetti istituzionali, anche sovranazionali, che a suo modo di vedere non garantivano l’equità. La sua preoccupazione per gli effetti negativi di un sistema internazionale che funzionava da sé, ma senza regole eque, emergeva anche nei commenti sprezzanti sul ruolo del Fondo Monetario Internazionale.

Perché è scomparso?

Un intellettuale scomodo, dunque, che dava fastidio all’establishment? O semplicemente la sua scomparsa è dovuta a motivi personali? Forse entrambe le cose.

C’è, però, un aspetto che può rappresentare una possibile chiave di lettura. L’economista ha avuto sempre una posizione molto netta nel denunciare la progressiva e inesorabile rinuncia alla sovranità monetaria, avvertita come un danno, in quanto aggravava il divario fra paesi ricchi e quelli poveri. A più riprese contestava il fenomeno dei movimenti “anormali” di capitali, evidenziando tutta la sua diffidenza verso formule semplicistiche che affidavano ad autorità sovranazionali di estrazione tecnocratica e non democratica l’esclusività dei controlli in ambito finanziario.

In uno dei suoi articoli ipotizzava, come provocazione ma neanche tanto, addirittura la chiusura delle borse.

Da sempre era convinto che “la sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori in un quadro istituzionale che di fatto consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro risparmi“. Una visione che, alla luce anche degli ultimi fatti di attualità, è stata più di una profezia.

Nonostante l’euro fosse all’epoca ancora poco più di un progetto, le sue perplessità sul sistema monetario europeo appaiono incredibilmente e tragicamente attuali.

Profetiche le sue parole quando dichiarava: ”in Europa abbiamo circa 10 milioni di disoccupati; né si prevede che il loro numero diminuisca negli anni ottanta”. 

Parole lungimiranti e lucide soprattutto quando sinistramente denunciava il prepotere nelle borse degli “incappucciati”, come egli definiva “gli operatori ignoti che dall’interno o dall’estero sono in grado di avere una influenza non chiara e non verificabile su decisioni di rilevante importanza finanziaria o sull’andamento della borsa”. Parole pesanti come macigni, alla luce di cosa è successo in questi anni e di quello che continua a verificarsi.

Ci sono, poi, un paio di episodi che fanno riflettere: poco tempo prima della sua scomparsa, il 27 marzo 1985, il suo allievo Ezio Tarantelli è stato ucciso nel parcheggio dell’Università La Sapienza; attentato poi rivendicato dalle fantomatiche Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

L’altro episodio riguarda Aldo Moro. Nel 1974 il presidente democristiano ha favorito l'emissione di moneta cartacea a corso legale, le famose 500 lire con la testa di Mercurio, sottraendo di fatto la sovranità monetaria alla banca centrale e attribuendola allo stato, così come stabilito dalla costituzione. Moro si era avvalso per questa emissione proprio della consulenza di Federico Caffè che poco prima aveva pubblicato studi significativi sulla moneta “buona” e quella “cattiva” e si era messo di traverso alle privatizzazioni delle banche pubbliche, poi negli anni successivi, di fatto, tutte privatizzate.

Questioni non di poco conto se pensiamo che più o meno la stessa cosa aveva fatto anche Kennedy in America e dopo poco, come sappiamo, fu assassinato.

Per Federico Caffè l’incedere del capitalismo moderno era percepito come una sconfitta culturale e politica. A un certo punto della sua vita si sono mischiati insieme in una miscela esplosiva il suo imminente deperimento fisico e i primi sentori della crisi finanziaria e di riflesso, dunque, la sconfitta di alcuni ideali in cui credeva fermamente. Troppo per un uomo coriaceo come lui, troppo per una voce che gridava nel deserto lucidamente, nel ruolo infausto di una moderna Cassandra.

Il giornalista Giuseppe D’Avanzo in suo articolo parlando di Caffè lo ha definito come: ”economista disubbidiente e seduttore intellettuale, ha voluto lasciare il mondo e il peso di un enigma a chi è rimasto”.

Una vita dedita allo studio del sistema economico che improvvisamente diventa evanescente, esattamente come la sua vita sotto l’attacco della senilità: così a quel punto la sua vita diventa priva di senso, quasi presunta, proprio come la sua morte.

 

 

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