La peste italiana il caso Basilicata N.86 06/08/2011

Maurizio Bolognetti è un radicale. Non solo perché è membro della Direzione Nazionale dei Radicali Italiani, ma soprattutto perché da sempre le sue battaglie sono radicali e radicate sul territorio lucano. Proprio in questo contesto i reati ambientali diventano anche politici. Una regione in emergenza: da Tito Scalo alla Val Basento, passando di discarica in discarica attraverso il tour della monnezza fino ad arrivare all’inceneritore Fenice di Melfi. Tutto questo è racchiuso, documenti alla mano, nel libro uscito in questi giorni dal titolo “La peste italiana. Il caso Basilicata” di Maurizio Bolognetti edito da Reality Book e impreziosito dalla prefazione di Carlo Vulpio e dai testi introduttivi di Don Marcello Cozzi, Pietro Dommarco, Marco Cappato ed Elisabetta Zamparutti.

Quando nasce l’idea di questo libro?

Nel 2009 quando Marco Pannella sollecitò una mia relazione sui “veleni industriali e politici della Basilicata”. Buttai giù una ventina di pagine. Questo libro-dossier è il tentativo di far luce su una Basilicata che pochi conoscono, dove il dissesto idrogeologico è figlio del dissesto ideologico. Per me questo libro è uno strumento di lotta e di denuncia.

“In Basilicata non succede mai niente” e “Lucania felix” sono dei luoghi comuni duri a morire. Come mai?

In questa regione si concentrano interessi enormi e, quindi, deve rimanere in un cono d’ombra. Anche importanti trasmissioni d’inchiesta raramente se ne occupano. Parafrasando Roberto Saviano si potrebbe dire che in Basilicata il puzzo del malaffare è coperto dalle parole rassicuranti di quelli che ripetono a oltranza che tutto va bene.

E’ vero, come affermato nel libro, che per capire a pieno il fenomeno delle discariche lucane bisognerebbe analizzare la situazione patrimoniale di alcuni dipendenti pubblici?

E’ nei fatti di cronaca ed è un’opinione diffusa tra gli inquirenti con i quali ho avuto modo di parlare.

Come si spiega il mancato aggiornamento del Piano regionale dei rifiuti?

Il piano c’è, ma non si vede. Le cose positive scritte nel Piano redatto nel 2001sono rimaste lettera morta. Dieci anni dopo la raccolta differenziata resta incollata a un misero 10% e continuiamo ad assistere al “Tour della monnezza”. L’impressione è che per incompetenza o per dolo qualcuno abbia lavorato non per innescare una gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti, ma per creare i presupposti di una situazione emergenziale. Come insegna il “Caso Napoli”, sulle emergenze croniche si fanno sempre buoni affari.

Chi guadagna dal sistema discariche/inceneritori?

Il disastro lucano sul fronte dei rifiuti, proprio com’è avvenuto nel napoletano, è il frutto avvelenato dell’incontro di due monopoli: quello “arcaico” dei clan delle discariche e quello “tecnologico” degli inceneritori. Manteniamo in funzione, inoltre, un inceneritore che da almeno quattro anni inquina le matrici ambientali del vulture-melfese. Solo incompetenza e incapacità?

Lei propone l’anagrafe pubblica dei rifiuti. Ci può spiegare meglio?

Noi chiediamo che ogni anno sul sito della Regione sia indicata la produzione complessiva e per singolo comune dei RSU, la produzione procapite degli stessi, notizie dettagliate sulla raccolta differenziata, sull’impiantistica, sulle discariche e sulla Tarsu. Ovviamente, occorrerebbe fare qualcosa di analogo anche sul fronte dei rifiuti industriali, speciali e pericolosi. Si tratta di dare concreta attuazione alla convenzione europea di Aarhus (Libero accesso all'informazione, partecipazione dei cittadini e accesso alla giustizia in materia ambientale).

Già nel 1979 Colombo aveva lanciato l’allarme sulla condizione degli invasi lucani? Com’è ora la situazione?

Il senatore a vita Emilio Colombo, intervenendo nell’aula di Montecitorio il 23 dicembre del 1979, affermava testualmente: “Vi sono scarichi di acque sporche che vanno nei corsi d’acqua; questi corsi d’acqua alimentano gli invasi; gli invasi, a loro volta, alimentano l’irrigazione”. Trenta anni dopo e decine di milioni di euro dopo parliamo ancora di “acque sporche” che finiscono nei fiumi e di una rete fognaria e di depurazione che presenta numerose criticità.

Quale può essere il giusto compromesso tra tutela ambientale e attività estrattive?

Un compromesso già c’è stato ed è stato al ribasso, cioè fatto di assenza di studi epidemiologici e di monitoraggi ambientali carenti, assenti e inadeguati. Aver consentito attività estrattive in una regione che può essere considerata un unico bacino idrico di superficie e di profondità è stata una scelta miope e poco saggia. Si continua a trivellare in prossimità d’importanti invasi, di sorgenti, a ridosso di centri abitati, di aree a rischio frana e a rischio sismico e addirittura all’interno di parchi e zone Sic e Zps. L’unico compromesso possibile oggi è una moratoria delle attività estrattive.

Numerosi medici hanno lanciato l’allarme circa il nesso tra aumento di alcune patologie e l’intensificarsi delle attività estrattive. Le istituzioni, invece, restano in silenzio.

Dall’unico studio epidemiologico noto, condotto dalla Regione Basilicata nel 2000, emergono dati inquietanti. Nel triennio 1996-98 nella Val d’Agri si è registrato un tasso di ospedalizzazione per infezioni/infiammazioni polmonari più che doppio rispetto al resto della regione. All’epoca non era ancora attivo l’inceneritore Fenice, ma era operativo, invece, il Centro Oli di Viggiano. Inoltre dallo studio “Current cancer profiles of the italian regions” emerge che in Basilicata l’incidenza delle malattie tumorali cresce come in nessun’altra parte d’Italia.

Facciamo una breve ricognizione sui temi caldi. Qual è lo stato attuale di conservazione del materiale radioattivo dell’Itrec?

Il 20 gennaio 2010 il dottor Nicola Maria Pace, intervenendo in sede di Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, ha parlato di “usura delle strutture ingegneristiche” e di cedimenti strutturali che “avevano dato luogo a tre rilevanti incidenti”. Lo stesso Pace ha espresso forti perplessità sulle tecniche di gestione adottate nel centro.

Qual è la situazione dei due siti d’interesse nazionale? Solo conferenze di servizio?

Nei due siti citati è mancato sia l’interesse sia la bonifica. Dalla stessa lettura dei verbali redatti in sede di conferenze di servizio decisorie e istruttorie emergono notizie di reato. Non a caso l’area di Tito fu sequestrata dalla magistratura già nel 2001. Ho realizzato su questi due Sin alcune video-inchieste che ho consegnato alla magistratura.

I sacchi d’amianto sul ciglio della Basentana in prossimità di Ferrandina sono l’immagine di una Basilicata stuprata.

Quei sacchi con il loro carico mortale sono un atto d’accusa nei confronti di chi sapeva e non ha agito e di chi ha operato per cancellare dalla memoria dei lucani le tracce di un passato scomodo. Pensando a certe aree di questa nostra terra, saccheggiata e martoriata, mi viene da definirle come “non luoghi”. Luoghi dimenticati e da far dimenticare.

Una voce solitaria nel deserto lucano: lei ha pagato più volte di persona per le sue esternazioni. Perché, secondo lei, in Basilicata non si crea un movimento popolare organico a difesa dei diritti ambientali?

S’indaga su chi denuncia e non su chi inquina; lo si fa con accuse risibili che non tengono conto della Convenzione di Aarhus. Ritengo che l’antipolitica espressa da alcuni movimenti finisca solo per favorire chi non ha saputo governare questo territorio.

In che termini si può parlare di ecomafia in Basilicata?

Già nel 2000 la Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti affermava che la Basilicata per caratteristiche morfologiche e per la sua scarsa densità abitativa è un luogo ideale per lo smaltimento illecito di rifiuti tossico-nocivi. Io credo che con la monnezza qualcuno abbia costruito anche fortune elettorali.

Possiamo definire la Basilicata un feudo politico facilmente controllabile?

In Basilicata c’è un controllo sociale a volte asfissiante. La partitocrazia lucana ha gioco facile a occupare manu militari ogni interstizio della vita di questa regione. Troppo spesso al cittadino si sostituisce il cliente.

Quali sono le responsabilità politiche dei gravi problemi ambientali lucani?

Ci sono responsabilità politiche di coloro che avrebbero dovuto controllore e non lo hanno fatto; macroscopici conflitti d’interesse e responsabilità anche della magistratura. Ancora oggi mi chiedo perché la Procura di Melfi non abbia sequestrato l’inceneritore Fenice. Troppo spesso si ha la sgradevole sensazione che il ceto dirigente sia supino di fronte a certi interessi. La politica, nella migliore delle ipotesi, anziché governare certi fenomeni si è lasciata governare. Penso, ad esempio, a tutta la vicenda collegata alla gestione dei rifiuti.  

I fatti lucani descritti nel libro sembrano seguire sempre lo stesso canovaccio. Uno stupro reiterato della legalità. Che cosa può fare il cittadino comune?

Il contesto lucano richiama alla memoria una frase di Marco Pannella: “La strage di legalità ha sempre per corollario, nella storia, la strage di popoli”. Intanto, sarebbe già un importante passo avanti non chiudere gli occhi e non cadere nella rassegnazione e nell’ignavia. Dobbiamo reagire per far sapere ai farisei e ai sepolcri imbiancati che occupano questo territorio che rivendichiamo un futuro altro e diverso.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto  N.86 06/08/2011

La peste italiana il caso Basilicata