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Uno si distrae al bivio ma la centrale non si fa N.60 05/02/2011

“Ecco che uno si distrae al bivio, si perde. E chi gli dice “Prendi da questa” e chi “Prendi da quest’altra”. E uno resta lì, stordito. Aspetta che le gambe si muovano da sole”. E’ questo il senso di uno dei primi racconti del poeta contadino Rocco Scotellaro, già sindaco di Tricarico nel dopo guerra a soli 23 anni. “Uno si distrae al bivio” è anche il nome del comitato di cittadini di Tricarico e Grassano che da anni ormai si battono contro la costruzione della centrale a biomasse di quattordici megawatt, approvata in via definitiva con delibera di Giunta Regionale  n. 151 del 3 febbraio 2009. E’ Acqua Frisciana, cioè appunto il bivio di questi due paesi lucani, lo scenario della protesta che ormai monta giorno dopo giorno. Per ora la centrale non si farà. Il comitato civico intercomunale il 20 gennaio, a due giorni dalla scadenza dell’autorizzazione regionale, ha bloccato i primissimi lavori di recinzione della zona dove sarebbe dovuto nascere l’impianto della società Clean Energy. Il giorno seguente, inoltre, un gruppo di oltre sessanta persone si è radunato al bivio Tricarico-Grassano-Calle e ha iniziato un presidio per opporre in maniera decisa il loro diniego all’inizio dei lavori. Nel pomeriggio si è tenuto un incontro-dibattito dal titolo “La Rivolta del Filo di Paglia” presso l’aula magna dell’Istituto Tecnico Commerciale di Grassano. La rivolta del filo di paglia è un’immagine intrisa di poesia; un’immagine che certamente sarebbe piaciuta a Scotellaro: è rappresentativa di un intero territorio, prettamente a vocazione agricola, che rivendica il diritto a salvaguardare l’ambiente e la propria salute. Secondo il comitato, infatti, la centrale che si vuole costruire in località Piani Sottani potrebbe essere utilizzata anche come inceneritore poiché a livello legislativo la biomassa (cippato vergine, legna, oli vegetali) è assimilabile al Cdr (Combustibile derivato da rifiuti). Il Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale della Basilicata, inoltre, prevede entro il 2020 la regimentazione di cento megawatt di energia da biomassa. Poiché per ogni impianto da dieci megawatt occorrono circa 120 mila tonnellate di biomassa l’anno, servirebbero 1milione e 200mila tonnellate all’anno di materiale biologico per alimentarle tutte. Non basterebbero per questo i boschi di tutta la regione, né i derivati delle produzioni agricole. Allo stesso tempo, però, sarebbe antieconomica la scelta di importare tutto questo materiale da fuori regione. Non è tutto. Sono previste, infatti, altre quattro centrali dello stesso tipo, per raggiungere i cento megawatt del PIEAR: una a Ferrandina di tredici megawatt, due a Pisticci, una da diciotto e l’altra da sedici e una a Stigliano da trentacinque. Perché così tante? Una spiegazione potrebbe essere rintracciata nel mercato dei certificati verdi, ossia nelle quote pagate da chi inquina per finanziare chi produce energia da fonti rinnovabili, come nel caso delle biomasse. La costruzione di questi impianti desta preoccupazione anche per le emissioni di polveri fini ed ultrafini, metalli pesanti e diossine fino a un raggio di circa venti chilometri. Forse neanche lo stesso Scotellaro, uno dei maggiori promotori della riforma agraria nel sud, avrebbe potuto immaginare che dalle maggiori risorse della propria terra, ossia la legna e prodotti simili, potessero venire anche una delle maggiori possibili minacce per la salute.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto N.60 05/02/2011