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Attualmente redattore del mensile Mistero

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Lo straniero di Claudio Santamaria N.54 18/12/2010

E’ approdato al Teatro Duni di Matera nell’ambito della rassegna dell’Associazione culturale Incopagnia la tournèe teatrale del monologo “La notte poco prima della foresta” interpretato dall’attore romano Claudio Santamaria. Romano solo a metà poiché nelle sue vene scorre anche sangue lucano; infatti, la madre è di Senise, in provincia di Potenza. Dopo l’esordio al cinema nel film “Fuochi d'artificio” (1997), regia di Leonardo Pieraccioni e la fiction “Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu”, regia di Marco Turco (2007), Santamaria si cimenta con un monologo impegnato del drammaturgo e regista francese Bernard-Marie Koltès, morto di Aids oltre vent’anni fa. L’ambientazione di scena è scarna e desolata, calcinacci e rovine, sovrastati da pallide luci. Il protagonista entra in scena solo un cappotto e a petto nudo. Lo spettatore è coinvolto sin dall’inizio, con non poco disagio emotivo, nel flusso disordinato dei pensieri che accompagna tutto il monologo. Il personaggio sulla scena esprime un disagio ben visibile sin dalla postura spesso ricurva e scomposta. Un uomo qualunque, uno straniero dell’anima, che inizia un colloquio con un passante immaginario. E’, però, solo il pretesto per esternare in maniera apparentemente disordinata tutti i suoi pensieri. Le riflessioni sembrano a loro volta straniere rispetto a chi li pronuncia, tanto che sulla scena a un certo punto diventa ridondante l’eco della sua stessa voce. In uno dei passaggi cruciali dello spettacolo cresce il pathos: Ho potuto ascoltare le storie di specchi di spalle, ponti su cui fare l’amore con “mamma”, prostitute morte e pioggia incessante, tutte narrate da uno sciamano moderno. Parlo proprio di uno sciamano, un mago, un narratore, un cantastorie di antica data che svela alla sua tribù la moderna realtà”. Agli occhi dello straniero il mondo è cupo; esistono solo persone invisibili che comandano la vita di ognuno, imponendo, per esempio, il lavoro precario in fabbrica; un lavoro che è sempre altrove, lontano. I veri ladri non sono coloro che rubano i soldi nella metropolitana, ma un’élite misteriosa che ruba la vita delle persone, forti della loro condizione subdola di invisibilità. L’unica speranza, allora, rimane il grido disperato di ricerca e invocazione della figura materna. Al protagonista non resta che il delirio finale, l’unico modo per sopravvivere. Il suo è un grido di dolore e di denuncia per scuotere un mondo che non offre risposte, in cui anche gli elementi primordiali, acqua e terra, suggeriscono la strada della solitudine. Resta, allora, solo il rumore sordo dei colpi violenti contro una grata di ferro presente nella scenografia. Tutto si confonde: dolore, colori, rumori, pensieri. Il testo di Bernard-Marie Koltès riprende le tematiche de “Lo straniero” di Camus dove sono affrontati i temi dell'esistenzialismo nella sua versione tragica e negativa, l'incolmabile distanza, anzi la vera e propria "estraneità" che separa l'uomo dal mondo. Un mondo dove gli eventi accadono, anzi avvengono senza che il pensiero possa coglierne motivi e significati plausibili. Il testo di Bernard-Marie Koltès è del 1977 ma conserva ancora un’attualità sconcertante. La notte è la condizione solitaria dell’uomo che resta sempre a un passo dall’imperscrutabile foresta della vita.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto N.54 18/12/2010