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Notizie ANSA

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Il Parkour la disciplina dei salti impossibili N.46 23/10/2010

Saltare un’intera rampa di scale con un solo salto. Superare con un balzo muretti di due metri. Passare al volo e con agilità attraverso spazi strettissimi. Sono queste le spettacolari azioni praticate dai "traceurs" ovvero alla lettera dai "creatori di percorsi”. Così sono chiamati, infatti, i praticanti del Parkour (neologismo ottenuto mettendo la k alla parola francese “parcours”, ovvero percorso). Questa è una disciplina metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni ’80 ma affonda le sue origini nelle modalità del percorso di guerra utilizzato nell'addestramento militare da Georges Hébert, militare francese della fine dell'800. Laurent Piemonte, David Belle e Yann Hnautra sono stati i pionieri più recenti di questo sport estremo che si esercita in una palestra del tutto particolare: la strada e più in generale il contesto urbano. Muretti, pali, panchine e in generale gli elementi dello spazio urbano, addirittura l’esterno delle scuole o i centri commerciali, nella filosofia de “l'art du déplacement”, così chiamata dai suoi fondatori, non sono considerate come barriere da aggirare o schivare, bensì come ostacoli da affrontare e superare. Forza, coraggio e un pizzico di pazzia sono le doti necessarie. I praticanti sono dei veri e propri atleti che cercano di superare in modo creativo, fluido, atletico ed esteticamente accettabile le barriere naturali o artificiali che si trovano ad affrontare. Per riuscirci utilizzano corsa, salti, volteggi, cadute e arrampicate. Forza e bellezza è il binomio di riferimento. L'allenamento si divide in due fasi: il potenziamento fisico e la pratica sui percorsi (o tracciati). Lo scopo del Parkour, quindi, è spostarsi nel modo più efficiente possibile, ossia nel modo più sicuro, semplice e veloce. In Italia si è sviluppato soprattutto dal 2005 e sta registrando un numero crescente di praticanti. Tra questi c’è un addestratore, Domenico Armento, che ha creato nel 2007 uno dei primi team di Parkour in Basilicata.

Come si è avvicinato a questa disciplina?

Prima di avvicinarmi a questa disciplina ho praticato la ginnastica acrobatica e contestualmente varie arti marziali. Da adolescente mi piaceva molto Jackie Chan, famoso attore di film sulle arti marziali. Poi nel periodo dei miei studi universitari a Roma ho conosciuto alcuni ragazzi che praticavano il Parkour. Mi è piaciuto immediatamente perché in esso ho intravisto la sintesi delle mie due passioni: la ginnastica acrobatica e alcuni elementi delle arti marziali.

Quante ore al giorno si allena?

Parecchie. L’allenamento è giornaliero. Il 70% del tempo è dedicato alla preparazione atletica. Si tratta di un allenamento completo e complesso perché è sia di tipo aerobico sia anerobico. Bisogna in particolare prestare attenzione e curare la capacità di corsa, le azioni di forza, la velocità, la resistenza, l’equilibrio, la coordinazione e la destrezza. Ovviamente poi bisogna sviluppare delle tecniche specifiche per affrontare i tracciati in modo veloce e sicuro.

Quali doti fisiche sono necessarie per praticare questo sport?

In realtà è più corretto parlare di disciplina più che di sport vero e proprio. Il Parkour, infatti, è una disciplina proprio perché non si sfida nessuno se non se stessi. A dispetto di ciò che si può pensare a prima vista può essere praticato da tutti, dopo essersi sottoposto ad un adeguato allenamento. Infatti, ognuno può scegliere il tracciato personale con il quale misurarsi nei limiti delle proprie possibilità e capacità.

Quali sono i pericoli e i rischi principali?

I pericoli e i rischi sono correlati all’esasperazione di questa pratica. Questa disciplina va praticata con una buona dose di concentrazione e responsabilità, ovviamente corredata sempre da un’adeguata preparazione che non deve mancare mai. Il ruolo dell’istruttore, soprattutto per chi si avvicina a questa disciplina, è fondamentale.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto N.46 23/10/2010