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Notizie ANSA

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Garibaldi: eroe della massoneria - Luglio 2015

 

 

 “Pio IX è un metro cubo di letame…acerrimo nemico dell'Italia e dell' unità. La più nociva di tutte le creature, perché egli, più di nessun altro, è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli...Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e
preti, mi arruolerei nelle sue file".

Queste sono parole di Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi. Forse un eroe, ma non certamente un diplomatico. Quando si parla del personaggio italiano più celebre del risorgimento la prima cosa alla quale si pensa è proprio questa: il profumo di eroismo che contraddistingue le sue gesta tanto in Europa quanto nell’America Latina. Non esiste città italiana che non gli abbia dedicato una piazza, una strada o un monumento. Un protagonista assoluto della storia nazionale.

Il Garibaldi dei libri di storia

Nasceva a Nizza il 4 luglio 1807. I genitori avrebbero voluto avviarlo alla carriera di avvocato, medico o sacerdote, ma il giovane Giuseppe non amava gli studi, prediligendo gli esercizi fisici e la vita di mare. Dopo numerosi viaggi marittimi, a partire dal 1834 pur di partecipare a un’insurrezione popolare in Piemonte fu dichiarato prima latitante e poi condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della patria e dello stato; iniziava così un’avventurosa fuga, durante la quale cambiò la sua identità in Giuseppe Pane. Per sfuggire alle misure restrittive si trasferì in America Latina dove si rese protagonista di numerose imprese militari. Fu proprio durante il soggiorno d’oltreoceano che conobbe Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, una ragazza diciottenne che diventerà poi nota con il vezzeggiativo di "Anita". L’eroina garibaldina fu solo una, forse la più famosa,  delle numerose donne che lo accompagnarono nella sua vita.

 Nel 1848 tornò in Italia per partecipare alla prima guerra d’indipendenza. Dopo l’esperienza fallimentare della Repubblica Romana, viaggiò in giro per il mondo: Caraibi, Perù, America, Cina e Australia. Al suo rientro in Italia organizzò la spedizione dei Mille. Famoso l’incontro con Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, lungo la strada che portava a Teano, quando pronunciò la famosa frase “Obbedisco!”. Morì il 2 giugno 1882 nell’isola di Caprera all'età di quasi 75 anni per una paralisi della faringe. Fin qui il Garibaldi conosciuto e storico. É stato solo questo?

Il Garibaldi poco noto

Ci sono aspetti dell’eroe nizzardo che spesso passano sottotraccia e sono stati certamente poco approfonditi. Aspetti questi che potrebbero essere importanti in funzione di una riscrittura della nostra storia risorgimentale.

Giuseppe Mazzini lo definì “una vera canna al vento” e lo storico inglese Denis Mack Smith lo valutò “rozzo e incolto”.

Fra i 28 e 40 anni visse come un corsaro e imitò i grandi pirati del passato assaltando navi e saccheggiando bastimenti. Nel maggio del 1837, con i soldi della carboneria, mise in mare una
barca di venti tonnellate per predare le navi brasiliane; per questo fu dichiaro pirata e
corsaro sul fiume Rio Grande.

In Uruguay preferì combattere dalla parte degli inglesi per garantirne il monopolio commerciale sul Rio della Plata e contrastare così l'egemonia spagnola, nazione considerata troppo cattolica.

Nel 1852 al suo ritorno dal Perù fu artefice di un vero e proprio traffico di schiavi, in barba ai suoi ideali di libertà e fratellanza.

Una curiosità della sua vita privata spalanca le porte su alcuni aspetti molto controversi. Inserì nel proprio testamento alcuni passaggi tesi a sventare eventuali tentativi forzosi di conversione alla religione cattolica negli ultimi attimi di vita: ”Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada”.

Da questo passaggio viene fuori il Garibaldi, massone e anticlericale convinto, deista ma comunque non ateo. Una figura complessa, dunque, con luci e ombre.

L’altro Garibaldi

L’impresa garibaldina certamente più importante è stata la spedizione dei Mille, determinante per il processo dell’Unità d’Italia. Un’operazione epica ed eroica: soli mille uomini che salparono all’improvviso da nord conquistando in maniera trionfale tutta l’Italia meridionale; un esercito improvvisato che miracolosamente batté a più riprese un esercito molto più numeroso e attrezzato. Questo nei libri di storia. Andò veramente così? Fonti storiche certe evidenziano che i fatti si svolsero diversamente.

La spedizione dei Mille fu finanziata dalla massoneria inglese con una somma spaventosa di piastre turche, equivalenti a una somma ingente se paragonata alla moneta attuale. Si parla di circa tre milioni di franchi francesi solo in Inghilterra. Con tale montagna di denaro poté corrompere generali, alti funzionari e ministri borbonici, tra i quali non pochi erano massoni. La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali. A Londra, per esempio, si costituì il “Garibaldi Italian Fund Committee”, un fondo utile a ingaggiare i mercenari che formarono la “Legione Britannica”, un gruppo scelto di uomini feroci che aiutarono il generale italiano in modo determinante.

 L’approdo avvenne proprio dirimpetto al consolato inglese e in prossimità delle fabbriche inglesi di vini, con le spalle coperte dai piroscafi britannici.

Tra i Mille e tra i loro sostenitori più o meno ufficiali, ci furono molti massoni: a iniziare da Nino Bixio passando per Francesco Crispi fino ad arrivare allo stesso Cavour. Un fatto questo che ci riporta alla militanza di Garibaldi nella massoneria internazionale.

Garibaldi nutrì interesse per le società clandestine sin da tenera età. Venne affiliato con il nome di “Giovanni Borel” alla Giovane Italia nel 1832 all’età di 25 anni in una locanda di Taganrog sul Mar d’Azov; il suo padrino fu Giambattista Cuneo detto “il Credente”. L’anno successivo a Marsiglia incontrò anche Giuseppe Mazzini.

Nel 1844 a Montevideo iniziò la sua vera carriera di massone che culminò col 33° grado ricevuto a Torino nel 1862 e con la suprema carica di “Gran Hierofante del Rito Egiziano del Menphis-Misraim” nel 1881. Nel 1850 a New York e nel 1854 a Londra frequentò i lavori dell’Arte Reale. Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi dal 4° al 33° sotto l’egida di Francesco Crispi.

In seguito venne affiliato anche nella loggia “Les Amis de la Patrie” nella capitale uruguayana e all’obbedienza del Grande Oriente di Francia. La sua affiliazione comparve successivamente anche nella “Loggia Tomp Kins” a Stapleton nello Stato di New York.

Dopo la nomina a “Sovrano Gran Commendatore del Gran Consiglio”, conferita nel 1863, l'assemblea dei liberi muratori italiani, riunitasi a Firenze nel maggio del 1864, lo elesse al primo scrutinio con quarantacinque voti (fave) su cinquanta, gran maestro dei liberi muratori comprendenti i due riti, quello scozzese e italiano. L’obiettivo principale in questa fase era di assegnare alla massoneria la regia dell’imminente breccia di Porta Pia.

Nel 1864 Garibaldi s’impegnò in prima persona per  la creazione di logge femminili (irregolari secondo la tradizione massonica conservatrice) e nel 1867 cominciò a conferire diplomi onorari di maestro alle mogli di massoni.

Nell’ottica di sancire una ricomposizione nell’ambito della frazionata galassia delle obbedienze massoniche, nel giugno 1867, pur conservando la carica di “Gran Maestro” del consiglio scozzesista palermitano, accettò la nomina anche a “Gran Maestro Onorario” del Grande Oriente d’Italia che gli fu conferita dalla costituente massonica di Napoli.

Dal suo esilio, nel luglio del 1868, inviò al Supremo Consiglio della Massoneria una missiva per comunicare la sua rinuncia a qualunque titolo o grado a lui attribuito.

Nella sua lunga militanza massonica gli furono attribuiti anche i titoli di “Gran Maestro dell’Umanità” e di “Primo Massone del Mondo”. Giosuè Carducci nell’orazione funebre tenuta due giorni dopo la sua morte lo definì “Il Cavaliere di Umanità”.

Garibaldi, inoltre, s’interessò anche di spiritismo e occultismo. Credeva nella reincarnazione e nella cremazione dopo la morte.

Il suo nome fu il più diffuso fra quelli dati alle logge italiane ed estere.

Il generale italiano per antonomasia e il mondo massonico ebbero, dunque, un legame a doppio senso: da un lato Garibaldi sfruttò gli ideali massonici per i suoi fini politici e dall’altro le varie consorterie a loro volta lo utilizzò, sia prima sia dopo la sua morte, come straordinario testimonial e come veicolo di propaganda dei propri ideali.

I simboli massonici

Quando si parla di Garibaldi la prima immagine che ci sovviene è la sua casacca rossa, adottata anche nella spedizione dei Mille. Quel particolare tessuto fu comprato sotto prezzo in America Latina da uno stock svenduto da alcuni macellai che lo utilizzavano in funzione del fatto che proprio il rosso copriva lo sporco del sangue degli animali macellati.

Cosa  rappresenta il colore rosso? Il rosso è il colore del sangue, dei muscoli e del cuore, ossia degli elementi indispensabili alla vita. Non a caso gli antichi romani veneravano il dio Marte, re della guerra e il colore rosso rappresentava proprio il sangue sparso durante le battaglie. Indica, inoltre, la passione, il valore dell'aggressività, della voglia di fare, di vincere e primeggiare. Il rosso è anche, guarda caso, il colore emblematico del grado iniziatico massonico dell’Arco Reale.

La conferma definitiva dell’imprimatur della massoneria viene poi da due monumenti dedicati a Garibaldi. Il primo è la stele commemorativa dell'impresa dei Mille sullo scoglio da cui partì la spedizione; in cima c’è in bella mostra una stella a cinque punte, la stella fiammeggiante ossia il pentalfa che nel dizionario dei simboli massonici ha un significato ben preciso: l’uomo e la sua natura divinizzante.

Ancora in maniera più esplicita ritroviamo la squadra e il compasso nella parte inferiore del monumento equestre romano dedicato all’eroe dei due mondi.

Due mondi: uno materiale e prosaico e l’altro più espressamente esoterico e che lo stesso Garibaldi non nascondeva neanche più di tanto per esempio quando affermava: “Per pessimo che sia il governo italiano, ove non si presenti l'opportunità di facilmente rovesciarlo, credo meglio attenersi al gran concetto di Dante: Fare l'Italia anche col diavolo”.

 

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