Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Un grosso e alto serpente con artigli e ali è forse la descrizione più fedele del drago. Può essere nero, ma conviene che sia anche lucente; anche se si vuole esigere che esali boccate di fuoco e fumo... in Occidente il drago fu sempre immaginato malvagio. Una delle imprese classiche degli eroi (Ercole, Sigurd, San Michele, San Giorgio) era di vincerlo e ucciderlo... nell'Apocalisse di Giovanni si parla due volte del drago, "il vecchio serpente che è Diavolo e Satana", analogamente Sant’Agostino scrive che il Diavolo è leone e drago; leone per l'impeto, drago per l'insidia. Jung osserva che nel drago ci sono il serpente e l'uccello, l'elemento della terra e quello dell'aria».
Così descrive la figura del drago lo scrittore Jorge Louis Borges nel suo libro “Manuale di zoologia fantastica” e lo riconduce, tra le altre, anche a un personaggio allo stesso tempo mistico e misterioso oltre la valenza prettamente religiosa: il suo nome è San Giorgio.
Il suo appellativo deriva dal greco gheorgós che significa agricoltore e lo troviamo menzionato addirittura già nelle Georgiche di Virgilio.
Oltre San Giorgio la lista dei cosiddetti santi sauroctoni, cioè uccisori di draghi, è molto lunga: Teodoro, Silvestro, Margherita e Marta solo per citare i più famosi. A questi bisogna poi aggiunge anche l’arcangelo Michele, famoso e importante perché a capo della battaglia contro il drago apocalittico proprio secondo quanto riportato dalle sacre scritture.
Chi era San Giorgio?
Notizie biografiche
San Giorgio nacque in Cappadocia tra il 275 e il 285 circa e può essere considerato un martire cristiano. Il suo culto è molto diffuso e risale almeno al IV secolo.
Le principali informazioni provengono dalla “Passio Sancti Georgii” sebben già il Decretum Gelasianum del 496 lo classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte Giorgio era figlio del persiano Geronzio sposato con Policromia. I genitori lo educarono alla religione cristiana, ma trasferitosi in Palestina si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso imperatore.
Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e si confessò apertamente cristiano; all'invito dell'imperatore di rendere sacrifici agli dèi egli si rifiutò fermamente: secondo la leggenda venne battuto, lacerato e gettato in carcere dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e le tre resurrezioni.
Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò e si rese protagonista della conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati; entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; infine convertì l'imperatrice Alessandra che a sua volta venne martirizzata. A richiesta del re Tranquillino risuscitò due persone morte da quattrocentosessanta anni, le battezzò e le fece poi sparire.
L'imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio affinché l'imperatore e i settantadue re fossero inceneriti; Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana a Lydda (l'odierna Lod in Israele).
Il culto
Le gesta in vita di San Giorgio gli valsero ovviamente la santificazione. La festa liturgica, infatti, si celebra il 23 aprile sebbene nel 1969 la Chiesa cattolica abbia declassato il santo nella liturgia a memoria facoltativa, ma, nonostante ciò, la devozione dei fedeli è continuata. San Giorgio è onorato anche dai musulmani che lo riconoscono come profeta.
Il nome di San Giorgio si dall’antichità era invocato per proteggersi contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra, la sifilide e nei paesi slavi contro le streghe.
San Giorgio è inoltre patrono dell'Inghilterra, del Portogallo, della Lituania, del Montenegro, della Georgia e dell'Etiopia.
Nell’iconografia del santo ritroviamo due figure fondamentali in funzione di archetipi: un drago cattivo e un guerriero coraggioso. Viaggiando a ritroso nella memoria collettiva troviamo le tracce di questa leggenda comune già in Mesopotamia, poi in Egitto ma anche nel mondo greco dove il drago era temuto anche dagli dèi dell'Olimpo, mentre all’epoca dell'Impero Romano la figura del mostruoso animale è passato progressivamente nel dimenticatoio, fin quasi a sparire, per rifarsi viva intorno all'anno Mille soprattutto in Europa.
Nella “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti per placarlo gli offrivano due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane sorteggiato tra la popolazione. Un giorno fu estratta proprio la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio il quale tranquillizzò la principessa promettendole il suo intervento nel nome di Cristo per evitarle la brutale morte. Quando il drago si avvicinò l’eroe salì a cavallo e con grande audacia lo affrontò ferendolo gravemente con la lancia; disse quindi alla ragazza di avvolgere la sua cintura al collo del drago il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Allora il re e la popolazione si convertirono, il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città trascinato da quattro paia di buoi.
Gli aspetti simbolici
La storia di San Giorgio e il drago sembra essere modellata su quella di Perseo e Andromeda. Di ritorno dalla vittoriosa impresa con la quale Perseo uccise Medusa, l'eroe incontrò Andromeda, la figlia del re d'Etiopia, che legata a una rupe stava per essere sacrificata in favore di un orribile e terribile mostro marino. L’amore dei due personaggi permise di sconfiggere il mostro e di liberare la fanciulla. L'episodio è stato raffigurato da Piero di Cosimo in un famoso dipinto presente attualmente agli Uffizi.
Nel medioevo la lotta di San Giorgio contro il drago divenne il simbolo della lotta del bene contro il male e per questo il mondo della cavalleria vi vide incarnati i suoi ideali. Vari ordini cavallereschi, infatti, portano oggi il suo nome e i suoi simboli: l'Ordine della Giarrettiera, l'Ordine Teutonico, l'Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Reale e militare ordine di San Giorgio della Riunione e molti altri.
Nell'iconografia classica San Giorgio spesso compare con l'epiteto "O Τροπαιοφόρος" (tropeoforo ossia il vittorioso) e raffigurato alla stregua della divinità riconducibile al Sol Invictus che può essere considerata la trasposizione pagana della figura di Cristo, infatti tale festa è diventata poi quella cristiana del Natale.
La croce rossa in campo bianco rappresentata sui suoi vestiti è stata poi utilizzata come vessillo dai crociati e in seguito adottata da molte città tra cui Milano e Bologna, ma fu addirittura concessa in uso all'Inghilterra dai Genovesi.
Secondo vari studiosi la figura di San Giorgio, ma anche quella di San Michele, sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago e che in maniera mediata rappresenta la fase solare del mito della creazione, il cui archetipo è riconducibile al dio babilonese Marduk.
Nelle varie rappresentazioni iconografiche generalmente la scena dove opera il santo è raffigurata in luogo aperto, talvolta con la presenza di un lago proprio come nella descrizione della Legenda Aurea, ma alle spalle c'è sempre una boscaglia, una foresta o una caverna. Questo indica simbolicamente che l'eroe ha attraversato uno spazio oscuro come momento di iniziazione interiore prima di poter giungere nel luogo aperto dove affrontare il mostro. Talvolta la scena è ambientata proprio dentro la foresta. La caverna o la boscaglia indicano la profondità e l'oscurità dell'inconscio ossia un luogo oscuro dove si annida il male. La funzione del santo-cavaliere è quella di frenare le forze incontrollate e di ricondurle all'interno dell'essere. La lotta con il mostro avviene all’aperto e solo dopo aver attraversato il buio della foresta o della caverna cioè solo dopo aver attraversato e superato una maturazione intrinseca e intima.
L’altro elemento simbolico molto importante è certamente il drago. Queste creature generalmente avevano il corpo da serpente, le zampe da lucertola, le fauci da coccodrillo, gli artigli d'aquila, i denti da leone e le ali da pipistrello; il corpo era ricoperto di squame protettive e la maggior parte di loro era in grado di sputare fuoco e volare per percorsi indefiniti. La figura del drago è molto antica: si ritrovano ad esempio presso gli antichi Egizi, i Sumeri e i Greci.
Il drago (o dragone) era una creatura presente in moltissimi racconti mitologici; la rappresentazione più diffusa in occidente, sviluppatasi soprattutto nell'iconografia medievale, gli attribuiva una vista acutissima e occhi molto grandi, infatti lo stesso termine drago (drakon) era un riferimento etimologico al verbo greco derkesthai che significa proprio guardare.
Il simbolismo del drago ha una forte valenza psicologica: suscita paure ancestrali ma anche fascino e ammirazione; a livello esoterico racchiude un significato molto complesso e ambivalente: ossia indica allo stesso la potenza distruttrice ma anche la trasformazione della coscienza.
Nella cultura esoterica occidentale la figura del drago è di solito connessa al ruolo del divoratore (spesso in presenza di sacrifici umani) e del guardiano o custode di qualche tesoro, ruolo questo che si accentua soprattutto nell'epoca cavalleresca dove l'eroe che uccide il drago solitamente salva una donzella o libera la popolazione oppressa.
Nel simbolismo cristiano la figura del drago è spesso considerata attigua a quella del diavolo diventando simbolo e incarnazione del male da abbattere; esiste comunque anche un'accezione positiva che riguarda i Serafini detti "draghi alati" o "serpenti fiammeggianti".
Il drago inoltre simbolicamente compartecipa e sintetizza in sé i quattro elementi: può essere creatura terrestre o sotterranea, acquatica, aerea ed è certamente connessa al fuoco. La parte terrestre si ricollega al fatto che abita in grotte sotterranee e potrebbe essere custode di tesori nascosti; la parte acquatica rappresenta la componente della potenza caotica; la parte aerea rappresenta il volo, come anche nel mito tolteco e azteco di Quetzalcoatl ossia del Serpente Piumato portatore di conoscenza e maestro di sapienza; infine, la parte del fuoco conferma il carattere ambivalente: fecondatore e distruttore.
La principessa infine è interpretata simbolicamente come il principio psichico femminile che tenendo al guinzaglio il drago lo domina e metaforicamente rappresenta il controllo delle passioni dell'inconscio.
In questo scenario simbolico è significato l’interpretazione illuminante dello storico e studioso Franco Cardini: «Ciascuno di noi ha il suo drago da abbattere: per questo il Drachenkampf (letteralmente "battaglia con il drago"), la vittoria su sé stessi e sulle pulsioni più abbiette dell'io, diviene un momento centrale del "processo d'individuazione" proposto da Carl Gustav Jung. Tale battaglia, volta alla conquista del tesoro che sta nel fondo di noi stessi, è però, appunto perché tale, una iniziazione. […] Mostro ma anche maestro, il drago si sacrifica rivelando al suo uccisore - che perciò è anche suo allievo e quindi ritualmente suo figlio - il segreto profondo dell'essere. L'iniziazione termina con la morte dell'iniziatore e con il suo rivivere - attraverso l'ingestione del cuore e del sangue - nell'iniziato. E l'eroe sa bene che affrontare il "suo" drago significa guerreggiare con sé stesso, suicidarsi come uomo vecchio per risorgere come Uomo Nuovo».
«Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo». I passi biblici del libro di Apocalisse sono per loro natura ermetici e allo stesso tempo affascinati, ma in questo testé citato, in particolare, viene evidenziata la figura dell’arcangelo Michele; oltre all’aspetto prettamente religioso egli cela numerosi aspetti simbolici interessanti.
San Michele, in latino “Quis ut Deus?” ossia “Chi è come Dio?”, è un arcangelo riconosciuto come tale nell'Ebraismo, nel Cristianesimo e anche nell'Islam. La parola arcangelo deriva dal greco ed è composta da àrchein che significa comandare e da ànghelos che significa invece messaggero. Quindi gli arcangeli sono gerarchicamente e comandano sugli altri angeli. Nell'antica tradizione di origine giudaica gli arcangeli erano in numero di sette.
L'arcangelo Michele è di gran lunga il più noto perché secondo la tradizione era colui che aveva guidato le milizie angeliche nella lotta contro gli angeli ribelli capitanti da Lucifero. Quest'ultimo si era ribellato a Dio sostenendo di potersi paragonare a lui, ma l'arcangelo era intervenuto gridando: "Chi è come Dio?". Questo grido di battaglia che in antico ebraico si pronuncia "Mi ka El" è divenuto il nome proprio dell'arcangelo. Da qui viene anche l'appellativo di arcangelo guerriero: San Michele, infatti, viene spesso raffigurato bardato con un’armatura e munito di lancia o di spada nell'atto di uccidere un drago o una figura simil umana rappresentativa del diavolo.
Il culto religioso
Per la chiesa cattolica la solennità liturgica dei tre arcangeli (Michele, Gabriele e Raffaele) ricorre il 29 settembre. San Michele, in particolare, si festeggia anche in altre date come per esempio l'8 novembre, l'8 maggio, il 6 settembre, il 16 ottobre e la seconda domenica dopo Pasqua.
Egli è il patrono di numerose città e paesi ed è protettore anche del popolo Ebraico, custode della chiesa cattolica, protettore degli infermi e dei paramedici, delle forze dell’ordine, dei paracadutisti, dei radiologi e dei droghieri e di tutti coloro che usano bilance, come farmacisti, pasticcieri e merciai.
Il suo culto è molto diffuso e antichissimo.
Esiste una linea sacra che collega tutti i luoghi di culto più importanti dedicati a San Michele nota anche come Ley Line di San Michele; questa linea è composta dai seguenti santuari: Skellig Michael in Irlanda, St. Michael Mount in Cornovaglia, Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele in Val di Susa, San Michele a Monte Sant’Angelo in Puglia, il monastero di San Michele sull’Isola di Simi in Grecia e il monastero di Monte Carmelo in Israele. Oltre a trovarsi lungo la stessa linea retta immaginaria tre di questi luoghi sono anche equidistanti l’uno dall’altro: si tratta di Mont Saint Michel in Francia, della Sacra di San Michele in val di Susa e del santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano.
La Ley Line di San Michele è anche detta Ley Line del Drago e, tra le altre cose, i santuari presenti su questa linea sono perfettamente allineati con il tramonto del sole nel giorno del solstizio d’estate.
Fin dall’antichità il culto di San Michele o è stato studiato da molteplici punti di vista, seguendo suggestioni che spesso trascendevano la religione e il valore spirituale dei luoghi di devozione e forniscono interessanti spunti con una marcata valenza simbolica.
Aspetti simbolici
La figura di San Michele, in effetti, raccoglie in sé molti elementi e aspetti simbolici di altri culti che hanno preceduto il Cristianesimo, in particolare, per esempio, con la rappresentazione mitologica di Ercole/Eracle, di Mercurio/Hermes e del Mitra dei Persiani, il cui culto è stato ampiamente diffuso poi anche nell’impero romano fino al III-IV secolo d.C.
Michele, come detto, è menzionato nell'ultimo libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse di Giovanni, dopo la prima guerra in paradiso. Un tempo insieme a Lucifero guidavano le milizie divine ed erano considerati gli angeli più forti, coraggiosi e i più vicini a Dio. Dopo il tradimento di Lucifero la perfezione rappresentata da questi due angeli venne spezzata e divennero acerrimi nemici. Nell’immaginario l’arcangelo è impegnato nella guerra contro il suo antico fratello come ragione ontologica della sua stessa esistenza, scacciandolo dal cielo, perseguitandolo attraverso i millenni e difendendo l’umanità dalle sue insidie e dalle sue tentazioni. Da allora Michele è divenuto il punitore di tutti coloro i quali si innalzano contro Dio.
Secondo la profezia biblica, alla fine dei giorni, San Michele squillerà la tromba annunziatrice del gran giudizio finale quando il regno dei cieli verrà riconsegnato da Gesù Cristo a Dio Padre per l'eternità.
Gli elementi iconografici caratteristici sono rivelatori del significato simbolico, tra questi, per esempio, ritroviamo l’armatura con la lancia o più comunemente con una spada con le quali trafigge il diavolo. A volte ha in mano una bilancia con cui pesa le anime (psicostasia), particolare questo che deriva dalla tradizione islamica (a sua volta derivante dalla mitologia egizia e persiana), ma che non ha nessun fondamento nelle scritture cristiane o nella tradizione cristiana. A volte ritroviamo nella stessa rappresentazione anche la figura di Satana che di nascosto cerca di abbassare il piatto della bilancia nell'intento di aggiudicarsi l'anima in maniera fraudolenta. Sempre in questo contesto iconografico alcune volte è possibile scorgere una bestia immonda che divora i dannati.
L'iconografia bizantina predilige, invece, l'immagine dell'arcangelo in abiti da dignitario di corte (con il cosiddetto loron) rispetto a quella del guerriero che combatte il demonio o che pesa le anime, adottata invece maggiormente in Occidente.
Secondo vari studiosi, tra cui lo scrittore scozzese Robert J. Stewart, San Michele e San Giorgio hanno ereditato l'immagine dell'eroe radioso che uccide una creatura mostruosa (con le sembianze del drago o del diavolo), parte della fase solare del mito della creazione il cui prototipo fu il dio babilonese Marduk: «In epoca ellenistica l'equinozio autunnale, come quello primaverile, era consacrato a Mitra-Sole considerato demiurgo e cosmocrator, signore e animatore del cosmo, la cui funzione era simboleggiata da una sfera che teneva in mano; ma anche mediatore cosmico e dunque, per tanti aspetti, analogo a Hermes-Mercurio. […] Molte funzioni equinoziali e mediatrici di Mitra-Sole-Hermes vennero ereditate da San Michele, la cui festa cade in Occidente nel periodo subito successivo all'equinozio».
A partire dal periodo longobardo la figura è stata identificata e sovrapposta con il dio germanico Odino e per il mondo pastorale e agricolo dell'Italia centro-meridionale finì per assimilare elementi del culto di Ercole. Questo, infatti, era il guerriero per eccellenza: vestito di una pelle di leone e armato di una potente clava veniva spesso raffigurato nell'atto di uccidere un mostro ossia l'Idra di Lerna in una delle sue più celebri "fatiche".
Spesso il culto di San Michele si intreccia con quello della Vergine Maria. Entrambi combattono contro il demonio ed entrambi sono rappresentati mentre lo schiacciano sotto i loro piedi. Entrambi, soprattutto, sono protettori dell’umanità contro le sue lusinghe e custodi del gregge di Dio contro il male. In tale prospettiva l’Arcangelo Michele simbolicamente aiuta l’uomo a sviluppare l’intelligenza, ma è anche colui che cerca di risvegliare il pensiero cosciente e la via del cuore per combattere l’egoismo di tipo materialistico.
Alcuni elementi tipici dell’iconografia ci aiutano a decodificare la valenza simbolica della figura dell’arcangelo. La spada è, in primo luogo, il simbolo della condizione militare e della sua virtù. Nella tradizione cristiana la spada è l’arma nobile che appartiene ai cavalieri e agli eroi. In quanto guerriero di Dio e vincitore delle potenze infernali, l’arcangelo Michele ha spesso una spada fiammeggiante. Si tratta della “fiamma della spada folgorante” posta, come descritto nei passi di Genesi, a guardia dell’Eden.
Vi è poi la bilancia ossia il simbolo dell'essenza stessa dell'equilibrio raggiunto alla fine del cammino di lotta di Michele. La bilancia è in generale il simbolo della giustizia e del retto comportamento. Egli, quindi, rappresenta l'equilibrio che deve essere trovato tra il bene e il male e più in generale tra una dimensione materiale e quella spiritale, tra la terra e il cielo ossia proprio i luoghi dove si combatte la disputa. La bilancia e la spada sono simboli complementari e indicano la giustizia che si coniuga con la verità.
Risulta illuminante l’analisi simbolica proposta dall’esoterista Rudolf Steiner: «I veri pensatori sono coloro che servono Michele, che essi considerano come il reggitore del pensiero cosmico. Michele infatti libera i pensieri dal giogo del cervello e gli apre il mondo del cuore… In lui l’immagine del mondo diviene rivelazione piena di saggezza che svela l’intelletto del mondo quale divina azione universale. In questa azione universale, vive la sollecitudine del Cristo per l’umanità; mediante la rivelazione universale di Michele, tale sollecitudine può così rivelarsi al cuore degli uomini».
«La nostra opera è la conversione e la trasformazione di un essere in un altro essere, di una cosa in un’altra cosa, dalla debolezza alla forza, dal corporeo allo spirituale». Questi enigmatici versi di Nicolas Flamel sono riportati in un antico testo di alchimia; ma cos’è questa oscura pratica?
Il termine alchimia è spesso abusato ed è entrato forse impropriamente nel linguaggio comune. Deriverebbe dal termine arabo al-khīmiyya composto dall'articolo determinativo “al- “e dalla parola “kīmiyya” che significa chimica che a sua volta sembrerebbe discendere dal termine greco khymeia (χυμεία) che significa fondere, colare insieme, saldare, allegare. Un'altra ipotesi etimologia collega la parola con l’espressione “Al Kemi” che farebbe riferimento al termine locale con il quale il popolo del Nilo chiamava la loro terra (ossia Kemi).
Il vocabolo potrebbe anche derivare da kim-iya ossia un’espressione del lessico cinese che significa “succo per fare l'oro”.
Che cos’è l’alchimia
L'alchimia è un antico sistema filosofico esoterico collegato attraverso un linguaggio codificato a svariate discipline come la chimica, la fisica, l'astrologia, la metallurgia e la medicina ma che ha codificato numerose tracce, per esempio, anche nella storia dell'arte.
Il pensiero alchemico è altresì considerato da molti il precursore della chimica moderna prima della nascita del metodo scientifico.
Diversi sono gli obiettivi che si proponevano gli alchimisti: conquistare l'onniscienza, ovvero raggiungere il massimo della conoscenza in tutti i campi della scienza; creare la panacea universale, ossia un rimedio per curare tutte le malattie e generare e prolungare indefinitamente la vita; la trasmutazione delle sostanze e dei metalli per la realizzazione ultima della pietra filosofale.
Dal punto di vista simbolico e concettuale invece l'alchimia implica un'esperienza di crescita e un processo di liberazione e maturazione intima e spirituale. In quest'ottica la scienza alchemica rappresenta un sistema di conoscenze metafisiche e filosofiche, assumendo connotati mistici e soteriologici, nel senso che i processi e i simboli, oltre al significato materiale relativo alla trasformazione fisica, possiedono un significato interiore relativo proprio allo sviluppo interiore.
Dal punto di vista materiale l'alchimia è una scienza esoterica il cui primo fine in passato era trasformare il piombo, ovvero ciò che è negativo, in oro ovvero ciò che è positivo. La trasmutazione dei metalli di base in oro (si parla in tal caso ad esempio della pietra filosofale, grande elisir, quintessenza, pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggia il tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell'esistenza. Gli alchimisti credevano che l'intero universo stesse tendendo verso uno stato di perfezione e l'oro, per la sua intrinseca natura di incorruttibilità, era considerato la sostanza che più si avvicinava alla perfezione.
L'obiettivo principale dell’opus alchemicum è ottenere la pietra filosofale mediante sette procedimenti divisi in quattro operazioni: Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione e tre fasi ossia Soluzione, Coagulazione e Tintura. Attraverso queste operazioni la "materia prima", mescolata con lo zolfo e il mercurio e scaldata nella fornace (atanor) si trasformerebbe gradualmente passando attraverso vari stadi contraddistinti dal colore assunto dalla materia durante la trasmutazione.
Nel linguaggio simbolico alchemico esistono due essenze primordiali considerate nel quadro di un sistema dualistico che ritiene qualsiasi materiale come miscela di questi due componenti, vale a dire un elemento "in combustione" (zolfo ) e uno "volatile" (mercurio ).
I tre stadi fondamentali sono: Nigredo o opera al nero in cui la materia si dissolve putrefacendosi; Albedo o opera al bianco durante la quale la sostanza si purifica sublimandosi; Rubedo o opera al rosso che rappresenta lo stadio in cui si ricompone fissandosi.
Gli antichi testi alchemici
Come si può notare, dunque, la pratica alchemica sebbene concreta comprende in sé molti elementi simbolici che nel corso dei secoli sono stati sapientemente trasmessi o spesso celati in numerosi testi anch’essi però non di facile approccio. Tale tradizione parte da molto lontano.
La leggenda vuole che il fondatore dell'alchimia egiziana fosse il dio Thot chiamato dai Greci Ermes-Thoth o Ermes il tre volte grande (Ermete Trismegisto). Thot avrebbe scritto i quarantadue libri della conoscenza coprendendo tutti i campi dello scibile, tra cui anche l'alchimia. Il suo simbolo rappresentativo era il caduceo che divenne poi uno dei principali emblemi alchemici. La Tavola di Smeraldo, nota solamente attraverso traduzioni greche e arabe, è considerata la base per la pratica e la filosofia alchemica occidentale. Il testo era inciso su una lastra di smeraldo ed è stata tradotta dall'arabo al latino nel 1250. Esso apparve per la prima volta in versione stampata nel “De Alchemia” di Johannes Patricius nel 1541.
Tra le prime figure ad avere prodotto testi alchemici troviamo anche una donna. Si tratta di Maria la Giudea, anche conosciuta come Maria Prophetissima, Miriam la Profetessa o Maria d'Alessandria: filosofa e alchimista che si ritiene sia vissuta nei territori dell'Impero Romano orientale, probabilmente ad Alessandria d'Egitto, tra il primo ed il terzo secolo d.C. A lei viene attribuita l'invenzione di diversi apparati chimici e alchemici e viene considerata la prima alchimista esistita realmente. Gli alchimisti successivi credevano che Maria fosse in realtà Miriam, sorella di Mosè e del profeta Aronne. Maria scrisse diversi libri di alchimia sebbene nessuno dei suoi lavori sia sopravvissuto nella loro forma originale, i suoi insegnamenti sono stati citati doviziosamente da diversi autori ermetici successivi. Lo scritto principale che è sopravvissuto è un estratto fatto da un anonimo filosofo cristiano chiamato “Il dialogo fra Maria e Aros sul magistero di Hermes” in cui sono descritte e definite molte operazioni che diventeranno in seguito la base della pratica alchemica, come la leukosis (sbiancamento o macinazione) e la xanthosis (ingiallimento o calcinazione).
Diversi aforismi ermetici sono stati attribuiti proprio a Maria Profetessa, in particolare quelli che avevano come oggetto l'unione degli opposti ossia dell’elemento maschile e femminile per raggiungere un terzo elemento. Tra i suoi motti più celebri, infatti, è possibile ricordare quello ermetico che recitava: «L'Uno diventa Due, i Due diventano Tre, e per mezzo del Terzo il Quarto compie l'Unità».
La tradizione alchemica codificata non è un retaggio culturale solo dell’Occidente ma affonda le sue radici anche in Oriente e in epoche antiche. La Cina in particolare può essere considerata il centro di una tradizione alchemica risalente forse già al IV-III secolo a.C., ma documentata con sicurezza per la prima volta nel Ts'an T'ung Ch'i scritto nel 142 a.C. da Wei Po-Yang sotto forma di commentario all'I-Ching, ossia il “Libro delle Mutazioni”. Egli fonda il processo alchemico delle dottrine dei cinque stati di mutamento, erroneamente chiamati "elementi" (acqua, fuoco, legno, metallo e terra) combinati con il sistema dualistico dei contrari (yin e yang); di questi due il primo è associato alla luna mentre il secondo al sole e dalla loro dinamica si originano gli elementi. Il testo, di non facile interpretazione per le numerose combinazioni e interferenze con le dottrine cosmologiche e magiche, presenta una concezione esoterica molto evoluta.
Ritornando in occidente invece si può riscontrare un aumento della produzione dei testi alchemici a partire dal XV secolo quando lo sviluppo della stampa ne ha permesso la pubblicazione e in alcuni casi anche una diffusione sebbene ancora abbastanza limitata.
Tra questi, per esempio, possiamo citare alcune opere di Arnaldo da Villanova (Valencia o Villeneuve-lès-Maguelone, 1240 – Genova, 1312) che è stato un medico e scrittore catalano di opere a tema religioso. Culturalmente molto vicino al francescanesimo spirituale, è stato un personaggio influente nelle corti europee, consigliere del re d'Aragona, del papa e del re di Sicilia. Subito dopo la sua morte gli è stata riconosciuta fama di alchimista e mago. Gli sono state attribuite molte opere alchemiche tra cui “Flos Florum”, “Epistola Super” e “Lo Specchio dell'Alchimia”; ma tra queste si può citare in particolare il “Rosarium philosophorum” detto anche "Rosario dei filosofi". Il titolo Rosarium farebbe pensare alla simbologia della rosa che dall'antichità e per tutto il Medioevo è stata associata all'idea della perfezione e dell'infinito, ma anche alla custodia in segreto delle conoscenze misteriche. L'opera contiene venti illustrazioni che rappresentano i momenti fondamentali dell'opus alchemica, ossia il procedimento che porta alla creazione della Pietra Filosofale. La complessità simbolica e metaforica che lo caratterizzano rende il Rosarium oscuro e di difficile comprensione almeno per i profani.
Un altro testo alchemico antico è il “Commentarius” attribuito a Raimondo Lullo anche conosciuto come Ramon Llull (Palma di Maiorca, 1232 – Palma di Maiorca, 29 giugno 1316); egli è stato uno scrittore, teologo, astrologo, alchimista, mistico e missionario spagnolo tra i più celebri dell'Europa del tempo. Il corpus lulliano comprende circa 260 opere riconosciute come autografe e 44 forse apocrife: tra queste ultime tutte quelle di argomento alchemico scritte in arabo, in latino e in catalano. Si tratta di opere di filosofia, teologia, mistica, pedagogia, medicina, scienze naturali, fisica e matematica. Tra le opere a carattere alchemico una in particolare è degna di nota: il “Liber de segretis naturae seu de quinta essentia” nel quale sostiene che mentre Dio può esercitare solo il bene, l'uomo può cadere nel male perché dispone solo del fuoco per purificare le cose terrene, ma con l'aiuto dei principi essenziali alchemici e con la fede può realizzare trasmutazioni naturali e tendere al bene. La scelta tra il bene ed il male appartiene al libero arbitrio che pur essendo una conseguenza dell'ignoranza umana è però voluta dalla stessa volontà divina ed è perciò anch'essa un bene. Altra opera alchemica attribuita a Lullo è “Fugax Vitae”, ossia una ricerca interiore seguendo metaforicamente la pietra dura alchemica filosofale (simboleggiata dall'acronimo V.I.T.R.I.O.L. ossia l’acronimo di Visita Interiora Terra Rectifficando Invenium Occultum Lapidem che tradotto significa in “Visita l'interno della terra, operando con rettitudine troverai la pietra nascosta).
Come abbiamo visto in apertura un autore a cui tradizionalmente viene attribuita la paternità di testi alchemici antichi è Nicolas Flamel (Pontoise, 1330 – Parigi, 22 marzo 1418). Egli è considerato forse l’ultimo degli alchimisti della scienza antica e in particolare si potrebbe citare la traduzione del mitico libro di “Abramo l'ebreo” acquistato dallo stesso Flamel nel 1357 e contenente i segreti per la costruzione della pietra dei filosofi. Dopo la sua morte il suo nome è stato collegato alla leggenda della pietra filosofale a causa di una serie di opere alchemiche pubblicate nel XVII secolo e a lui attribuite, ma considerate apocrife. Da qui poi deriverebbe la leggenda di Flamel alchimista eccelso che secondo alcuni sarebbe riuscito a ottenere la pietra filosofale e l'immortalità.
Con Flamel si chiude il ciclo degli alchimisti classici e da quel momento, a partire poi in particolare dal XVII scolo, l’arte misteriosa cerca faticosamente di convivere con la modernità e con i fiumi d’inchiostro sono stati versati sull’argomento, sdoganando di fatto la misteriosa pratica anche fuori dai circoli esoterici e ristretti.
Dice Carl Gustav Jung nel 1944 nella sua poderosa opera dal tiolo “Psicologia e alchimia”: «È sicuro e al di là di ogni dubbio che una vera tintura o un oro artificiale non furono mai prodotti durante i molti secoli di seria e tenace applicazione. Ci sembra quindi lecito chiedere: che cosa ha indotto gli antichi alchimisti a proseguire indefessamente nel loro lavoro, oppure - come dicevano - a "operare", e scrivere tutti quei trattati sull'arte "divina", se tutta la loro impresa era irrimediabilmente disperata?». Lo stesso Jung può essere considerato un moderno alchimista; allora qual è il confine tra la mistificazione calcolata e il mistero custodito nei secoli?