Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«L'unico modo per riconoscere se un libro sui Templari è serio è controllare se finisce col 1314, data in cui il loro Gran Maestro viene bruciato sul rogo». La citazione di Umberto Eco fotografa, in maniera ineccepibile, con la sua proverbiale ironia quello che è un tema discusso e allo stesso tempo affascinante. Se provassimo a fare una semplice ricerca online sui Cavalieri Templari o altresì provassimo a stilare una bibliografica sullo stesso argomento ci troveremmo al cospetto di una enorme mole di materiale, quasi infinito. Perché, dunque, tutto questo interesse considerato che tali vicende storiche risalgono a oltre settecento anni fa? La risposta è difficile e comunque non unica e univoca. Forse le vicende dei Templari, ma più in generale anche degli altri ordini religiosi e cavallereschi, affascinano a prescindere per uno strano alone di mistero che ci riconduce a un’epoca altresì leggendaria.
Le fonti storiche a disposizione sono risicate ma in questo contesto di ricerca a parlare sono più le tracce ancora visibili per esempio in alcune chiese più che ingialliti documenti. Questo è vero anche in un territorio come la Lucania che in queste vicende storiche potrebbe sembrare periferica, ma solo a prima vista. La presenza o il passaggio degli ordini cavallereschi nel territorio lucano potrebbero evidenziare un indissolubile intreccio tra le micro-storie e la storia cosiddetta ufficiale.
Panoramica sugli ordini cavallereschi
Dal XI secolo c’è stato un fiorire di ordini religiosi che possiamo definire anche cavallereschi. Questa precisazione diventa importante in relazione alle attività svolte parallelamente a quelle spiccatamente religiose. Infatti a partire proprio dalla fondazione dell’ordine dei Templari all’aspetto teologico se ne aggiunge un latro più pratico che riguarda per esempio la partecipazione in azioni militari contro gli infedeli o le opere di mutua assistenza per i pellegrini e i fedeli.
In questo mutato contesto storico un ruolo prioritario è stato svolto dai cosiddetti Pauperes commilitones Christi templique Salomonis ovvero i Poveri compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone. Nasceva con questa dicitura uno dei più noti ordini religiosi cavallereschi cristiani medievali meglio noti semplicemente come Cavalieri Templari.
La nascita di un nucleo originario secondo alcuni studiosi potrebbe essere avvenuta in Terra Santa nel 1096 in seguito alla prima crociata indetta da papa Urbano II durante il concilio di Clermont; la loro costituzione rispondeva in prima battuta essenzialmente all’esigenza di difendere i luoghi santi e gli pellegrini dagli assalti degli islamici. Intorno al 1118-1119 nove cavalieri decisero di fondare il primo nucleo dell'ordine, ma fu ufficializzato solo nel 1129, assumendo la regola monastica con l'appoggio di Bernardo di Chiaravalle, conosciuto all’epoca come Doctor Mellifluus per la dolcezza della sua oratoria. In un primo tempo l’abate non nutriva una particolare simpatia per la causa templare e solo nel 1128 scrisse un trattato intitolato De Laude Novae Militiae (In lode della nuova milizia), ossia una specie di libretto di propaganda a favore dell’ordine.
Le attività di protezione dei pellegrini in Terra Santa probabilmente era solo una copertura e in realtà la vera missione dei nove cavalieri era un’altra. I nove cavalieri alloggiarono nei sotterranei del Tempio di Salomone e probabilmente entrarono in contatto con pergamene o tesori materiali o di conoscenze iniziatiche e segrete. I fondatori dopo circa nove anni abbandonarono Gerusalemme con alcune casse colme di oggetti e il prezioso carico fu trasportato probabilmente prima in Scozia e poi potrebbe essere stato segregato nella famosa cappella scozzese di Rosslyn.
Un aspetto importante della vicenda templare riguarda la loro potenza economica: crearono infatti il primo sistema di lettere di cambio, anticipando di fatto la nascita dei titoli di credito e del moderno sistema bancario. I Templari in tal modo gestivano il patrimonio delle monarchie dell’epoca e in particolare quello del re di Francia. All’inizio del XIV secolo mentre il Gran Maestro era a Cipro per organizzare l’ennesima crociata e riconquistare la Terra Santa proprio il re di Francia chiese in prestito e ottenne circa 400.000 fiorini che ovviamente, vista la situazione economica precaria, non avrebbe potuto restituire. Filippo il Bello, dunque, in accordo con il papa, iniziò una costante azione di contrasto contro l’ordine che sfociò nel disfacimento dello stesso.
Nel 1307, con l'arresto dei Templari in Francia, iniziava il processo di dissoluzione dell'ordine, concluso il 18 marzo 1314 con l'esecuzione di Jacques de Molay e di Geoffrey de Charnay. Il rogo fu acceso a Parigi su un'isoletta sulla Senna davanti alla Cattedrale di Notre-Dame.
La missiva del sovrano con gli ordini di arresto, al fine di giustificare l’azione persecutoria, elencava i presunti crimini che potevano essere riassunti in cinque capi d'accusa: il rinnegamento di Cristo ossia durante la cerimonia di ammissione, dopo avere proceduto al rituale conforme alla regola, il commendatario prendeva da parte il nuovo fratello e gli ordinava di sputare tre volte sulla croce; i baci osceni ossia il nuovo cavaliere doveva spogliarsi e il fratello che lo accoglieva lo baciava alla base della colonna vertebrale, sotto la cintura, poi sull'ombelico e quindi sulla bocca; l'omosessualità ossia al nuovo cavaliere veniva spiegato che, mentre era proibito avere rapporti sessuali con le donne, un fratello era tenuto a unirsi carnalmente con un altro se questi ne faceva espressa richiesta; l'idolatria ossia i fratelli dovevano portare una cordicella che era stata in precedenza messa al collo di un idolo a forma di testa umana con la barba (ossia il cosiddetto Bafometto), oggetto di culto in occasione dei capitoli segreti; la mancata consacrazione dell'ostia ossia quando celebravano la messa i preti dell'ordine omettevano la formula rituale della consacrazione dell'ostia.
Secondo la leggenda l’ultimo maestro in punto di morte lanciò una maledizione che non tardò ad avverarsi; infatti nel giro di poco più di un anno morirono Guglielmo di Nogaret (esecutore degli ordini del re) e poi in rapida successione Filippo il Bello e il papa Clemente V.
Alcuni ricercatori e appassionati di esoterismo sostengono che l'ordine sarebbe stato depositario di conoscenze segrete e sia stato dunque anche un'organizzazione sapienziale, custode di un complesso modello di sapere iniziatico.
Molto probabilmente i Templari sfuggiti alla persecuzione trovarono rifugio in Scozia o addirittura in America molto prima della spedizione di Cristoforo Colombo; infatti la flotta superstite presumibilmente riuscì a partire dal porto francese de La Rochelle.
In Portogallo i Templari non furono sciolti, ma cambiarono il loro nome in Cavalieri di Cristo. Nel 1492 questo gruppo avrebbe fornito uomini per la spedizione di Cristoforo Colombo e la croce dell’ordine sarebbe comparsa sulle vele delle sue navi.
A proposito della flotta templare bisogna ricordare che l'emblema del Jolly Roger, ossia la bandiera nera sulla quale spiccavano un teschio che sovrastava due tibie incrociate, con molta probabilità potrebbe avere un'origine templare. Nel libro Pirates & The Lost Templar Fleet di David Hatcher Childress si afferma che il termine fu coniato in riferimento del nome del re Ruggero II di Sicilia (1095-1154). Questo ebbe una disputa col papa in seguito alla conquista della Puglia e di Salerno nel 1127. Anche questo particolare ci riconduce allo stretto rapporto dei Templari con le terre del sud Italia e in particolare proprio con quelle lucane e pugliesi. Childress afferma che, molti anni dopo lo scioglimento dell'ordine templare, una flotta di seguaci si separò in quattro unità indipendenti e si diede alla pirateria, bersagliando le navi amiche di Roma. La bandiera quindi era un’eredità e le ossa incrociate rappresentavano un chiaro riferimento al logo templare della croce rossa con le estremità ingrossate.
Un altro sodalizio importante (non fosse altro per il fatto di aver ereditato il patrimonio templare) è stato l'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni dell'Ospedale noti anche come Cavalieri Ospitalieri, Cavalieri Gerosolimitani, Cavalieri di Cipro, Cavalieri di Rodi o più semplicemente come Cavalieri di Malta.
Nacque a Gerusalemme intorno all'anno 1050 per iniziativa di alcuni ricchi mercanti originari della Repubblica Marinara di Amalfi che ottennero dal Califfo d'Egitto il permesso di costruire una chiesa, un convento e un ospedale per la cura e l'assistenza ai pellegrini senza distinzione di fede e di razza. L'indipendenza dell'ordine venne sancita ufficialmente nel 1113 con la bolla Pie Postulatio Voluntati emanata da papa Pasquale II quando alla sua reggenza vi era il beato maestro Gerardo Sasso. Si è molto discusso sulle sue origini: ritenuto da alcuni francese e da altri amalfitano, più precisamente proveniente dal borgo di Scala attualmente detta Del Monastero dove era in antichità il seggio dei nobili. Non esistono documenti coevi che testimonino in modo inequivocabile l'origine del Beato Gerardo, sebbene l'adozione da parte dell'ordine della croce di Amalfi faccia propendere per le origini amalfitane.
Infine l'Ordine Teutonico, definito anche per completezza Ordine dei Fratelli della Casa di Santa Maria in Gerusalemme, è un sodalizio monastico-militare e ospedaliero sorto in Terra Santa nel 1191 all'epoca della terza crociata, per iniziativa di alcuni cavalieri tedeschi, per assistere i pellegrini provenienti dalla Germania. Il 6 febbraio 1191 all'ordine venne concessa l'approvazione e la protezione del pontefice Clemente III. La regola seguita dagli appartenenti all'ordine era quella dei cavalieri ospitalieri di San Giovanni mentre la fazione militare adottò la regola dei Templari. Papa Innocenzo III il 19 febbraio 1199 stabilì la foggia del loro abbigliamento ossia il mantello bianco con croce nera. Sugli scudi e nei sigilli era impresso l’emblema di un'aquila con le ali spiegate e gli artigli protesi a ghermire.
Il culto delle Madonne Nere
Uno degli elementi certamente più affascinante nell’ambito del sistema sapienziale ed esoterico, in particolare dei Templari, è la venerazione delle cosiddette Madonne Nere. Gli studiosi le ricollegano alle divinità venerate dai Celti e in particolare la Dea Bianca (la Luna Nuova) e la Dea Nera (la Luna Vecchia) in rapporto alla morte e alla divinazione. La vergine nera è collegata anche alla principessa islamica Ismérie.
Il culto è molto diffuso e possiamo citare per esempio la Madonna di Loreto (presso Ancona), la Madonna Nera all'interno del santuario di Oropa, fino ad arrivare alla Madonna di Viggiano (presso Potenza).
La diffusione del culto in occidente sembra essere stato particolarmente intenso all'epoca delle crociate, sia perché diversi crociati portarono in patria icone orientali, sia per l'azione di diffusione di alcuni ordini religiosi.
Secondo gli esperti di astrologia esisterebbe, inoltre, una relazione tra l'ubicazione delle chiese dove sono venerate le Madonne Nere e la costellazione di Cassiopea.
Infine l’immagine della Madonna Nera potrebbe essere collegata alla venerazione segreta e codificata della Maddalena.
In Basilicata si venera in particolare a:
Cavalieri e misteri in terra di Lucania
L’epoca leggendaria degli ordini cavallereschi è un periodo particolare pieno di fascino e di mistero. A questa regola non si sottrae neanche il territorio lucano.
Una delle cattedrali più grandi della Basilicata, nata proprio in questo periodo, è quella intitolata a santa Maria Assunta e san Canio vescovo di Acerenza. Prima di tutto notiamo che la cattedrale si trova in una piazza chiamata Glinni che in gaelico si significa “valle chiara” e per attinenza richiama Bernardo di Chiaravalle, fondatore spirituale dei Templari.
Sotto il presbiterio è presente la cripta o cappella Ferrillo consacrata nel 1524; si tratta di un importante testimonianza rinascimentale, rifatta da Tommaso Malvito sul modello della più famosa Cappella del Succorpo di San Gennaro nel Duomo di Napoli. È proprio il restauro della cripta che pone un ulteriore collegamento con in Cavalieri dell’Ordine di Gerusalemme essendo il conte Ferrillo Balsa presumibilmente proprio un membro dello stesso ordine. Siamo due secoli dopo la soppressione dei Templari ma gli elementi presenti sembrano fortemente intrisi del loro sapere.
Le pareti sono ricoperte in basso da affreschi di Giovanni Todisco da Abriola che rappresentano S. Andrea, S. Girolamo (forse San Matteo), l'Adorazione dei Magi e infine la Donna dell'Apocalisse (secondo altri studiosi si tratterebbe di santa Margherita – santa Maria d’Antioca e il Drago orante nell’atto di calpestare la bestia). Proprio quest’ultima raffigurazione potrebbe avere forti attinenze con l’iconografia più celebre di San Giorgio e il Drago ben presente nell’impianto di conoscenze esoteriche dei Templari. Sarebbe, in altri termini, la rappresentazione al femminile di San Giorgio e tutto ciò che significa simbolicamente.
C’è poi una curiosità molto strana che forse potrebbe far parte di un coerente codice simbolico presente all’interno della cattedrale. Secondo alcuni studiosi (tra cui Raffaello Glinni) la città-cattedrale custodirebbe i resti della figlia del conte Vlad III di Valacchia, il famigerato conte Dracula. L’ipotesi è emersa partendo dall’osservazione sulle mura della cattedrale di un drago alato, simbolo del nobile della Transilvania. Le sculture poste sulle colonne del portale d’ingresso che raffigurano delle creature che mordono sul collo vittime sacrificali aggiungono ulteriori indizi all’ipotesi; inoltre nella cripta è possibile intravedere anche il demone Lilith, sottoforma di sirena bicaudata, che secondo la leggenda compariva soltanto di notte per nutrirsi del sangue delle vittime che trovava sul suo cammino proprio come Dracula.
A questo punto si incrociano elementi di storia, mistero, leggenda ed esoterismo; alcuni avanzano l’ipotesi, come già detto, che la principessa di Acerenza, Maria Balsa o Barsa, fosse una discendente di Vlad III Tepes, più noto come Dracula. La famiglia dei Conti Ferrillo –Balsa ottennero dal Re di Napoli Ferdinando D’Aragona, tramite Matteo Ferrillo, il titolo di signore di Acerenza; a Matteo Ferrillo era succeduto il figlio Giacomo Alfonso che convolò a nozze con Maria Balsa, una principessa che proveniva dai Balcani. Maria sarebbe stata adottata dal re di Napoli pronto a darla in sposa al suo parente Giacomo Alfonso Ferrillo, considerato l’alto lignaggio della fanciulla. Dopo il matrimonio la donna probabilmente finanziò la ricostruzione della cattedrale di Acerenza con ben 16.000 ducati. Pertanto lo stemma che compare sulla facciata della cattedrale di Acerenza, col drago nella parte alta, sarebbe un ibrido fra le armi della Balsa (il drago di presunta derivazione paterna) e quelle dei Ferrillo (scaglione sormontato da tre stelle e un elmo).
I riferimenti all’oscuro signore romeno però non terminano qui: il suo volto sarebbe identificabile nel profilo maschile con barba ricurva, naso porcino e denti in vista che appare nell’angolo posteriore sinistro del fregio che adorna le pareti della cripta. Vlad comparirebbe anche nelle vesti dell’uomo inginocchiato davanti alla Vergine con Bambino nel secondo affresco della parete sinistra della cripta, in una sorta di atto di contrizione per i propri peccati. Inoltre il cappello dell’uomo, adorno di perle, una parte del fregio del suo mantello e la pietra preziosa incastonata su una stella appesa al collo della Vergine, sarebbero dei chiari riferimenti alla iconografia nota di Vlad III. Infine la raffigurazione di sant’Adrea, sempre nella cripta, potrebbero far pensare a un collegamento con la terra natia di Vlad dove proprio questo santo è il protettore.
Ritornando alla titolazione della cattedrale, invece, sembra significativo il fatto che il nome Canio in gaelico significherebbe "Magnifico Sorvegliante". Cosa doveva sorvegliare San Canio? Il culto di questo martire è collegabile in qualche modo con i cavalieri e magari con il tesoro reale o esoterico del Graal visto che questo generalmente era custodito da un sorvegliante? Siamo ovviamente nel recinto delle ipotesi, ma secondo una tradizione sulla parete di fronte all'ingresso ci sarebbe una finestra murata dietro la quale pare ci sia nascosto un tesoro e alcuni parlano addirittura del Graal. Sta di fatto che il 25 maggio si venera la traslazione delle ossa di San Canio e in quel giorno da due finestre entrano raggi di sole che si intersecano in un punto specifico. Cosa vogliono indicare?
Restiamo nella provincia di Potenza ma spostiamoci nell’incantevole scenario delle dolomiti lucane. Un luogo dove la presenza dei Templari è storicamente accertata è Castelmezzano.
La chiesa più importante del paese è intitolata a santa Maira dell’Olmo. Durante i lavori di ristrutturazione del 1992 è stata scoperta una porta, fino ad allora celata, in corrispondenza di un architrave triangolare dove al centro è presente una croce templare a otto punte iscritta in un cerchio; al centro della croce è presente un altro piccolo cerchio. Inoltre nella parte superiore, appena visibile, è possibile scorgere una croce a X che spesso accompagna la stessa croce più tipicamente templare e che potrebbe essere un riferimento, come detto, al simbolo piratesco delle ossa incrociate. Sulla stessa facciata appare anche un altro simbolo prettamente templare ossia la rosa pentalobata rappresentativa della rosa mistica e del rapporto dell’ordine con la figura di Maria.
La Lucania non smette di stupire. Ci Spostiamo a Pietragalla, un comune ancora della provincia di Potenza. Vi è in particolare un elemento che forse potrebbe essere collegato alla storia dei Templari.
Andiamo per ordine. La chiesa medioevale di San Nicola sembrerebbe conservare nell’affresco del battistero una raffigurazione di un cactus, pianta questa, come è noto, di origini americane quindi sconosciuta al momento della fondazione della medesima chiesetta. La scena rappresenta il momento del battesimo di Gesù con san Giovanni in una posizione sopraelevata rispetto al Cristo; inoltre sono presenti quattro figure angeliche in primo piano e nella scena sono inseriti due palme e altre due piante con uno strano fogliame. L’affresco rimanda alla mente alcuni bassorilievi della cappella di Rosslyn datati prima del 1450, quindi antecedenti alla scoperta dell’America, dove sarebbero raffigurati granturco e aloe, anche queste piante tipicamente americane. Sappiamo dello stretto legame della cappella di Rosslyn proprio con i Templari. Abbiamo già analizzato la bandiera dei pirati, quella con il teschio e le ossa incrociate su campo nero, ma l’affresco ritrae stranamente o forse solo per pura coincidenza il Cristo proprio con le braccia incrociate sul petto. È assolutamente certo che i sovrani del Portogallo, tutti Cavalieri di Cristo, un ordine cavalleresco derivato da quello templare, possedevano mappe in cui comparivano le nuove terre, prima ancora che venissero ufficialmente scoperte dall'Occidente. Per mera curiosità e anche in questo caso forse solo per pura coincidenza notiamo la strana coincidenza e assonanza tra Pietragalla e Portogallo.
La presenza dei Templari a Pietragalla potrebbe aver trovato ulteriore conferma durante i lavori di ristrutturazione che hanno interessato la locale chiesa madre San Nicola di Bari dove è presente l’affresco del cactus. Sono stati portati alla luce, infatti, due croci scolpite che potrebbero essere di matrice templare.
La ricerca, forse, è ancora all’inizio e ritornando a Umberto Eco possiamo affermare, come diceva lo stesso studioso, altresì che «i Templari c’entrano sempre».L’Italia è il paese dell’arte e della bellezza per eccellenza. Il suo patrimonio artistico è immenso e distribuito nelle innumerevoli città della penisola, ognuna ricca di storia, di arte e di fascino; ingredienti questi che spesso ben mescolati donano ai luoghi un aspetto magico e misterioso. Tra tutte le città italiane certamente possiamo citare, come simboli, Roma e Napoli, geograficamente lontane ma accomunate dal loro inestimabile patrimonio artistico e storico. Le due città inoltre hanno una particolarità in comune molto curiosa che crea un misterioso parallelismo; stiamo parlando di due punti nevralgici di entrambe le città che hanno stranamente lo stesso nome ed esoteriche affinità. Entrambe, infatti, hanno una chiesa e una piazza dedicate a Gesù, come accade in molte altre città. Allora cosa hanno di così particolare questi due posti?
La brezza del diavolo a Roma
Partiamo dalla capitale. La chiesa del Santissimo Nome di Gesù a Roma, conosciuta soprattutto come chiesa del Gesù o più semplicemente come Il Gesù, è la chiesa madre della Compagnia di Gesù.
La chiesa si affaccia su piazza del Gesù ed è considerata il prototipo di una svolta importante nella storia dell'arte poiché è stata costruita seguendo i dettami incarnati nei decreti del Concilio di Trento; pertanto è stata progettata a navata unica affinché l'attenzione dei fedeli fosse concentrata sull'altare. La chiesa era stata pensata, già nel 1551, come un desiderio di Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù ed attivo durante la riforma protestante e la successiva riforma cattolica.
Anticamente, dalla piazza fino a Palazzo Grazioli, si estendeva il Portico dei Due Divi, una grande piazza porticata in cui erano situati due piccoli templi uguali e simmetrici fatti realizzare da Domiziano per rendere omaggio ai trionfi del padre Vespasiano e del fratello Tito.
A proposito di Piazza del Gesù si narra un’antica storia dovuta al fatto che sia sempre molto ventosa; ma dietro questa caratteristica climatica si nasconderebbe ben altro. A raccontare questa strana vicenda è lo scrittore francese Stendhal secondo cui un giorno il Diavolo e il Vento, passeggiando per la città, si fermarono davanti alla Chiesa del Gesù. Il Diavolo disse al compagno che avrebbe avuto da fare nella chiesa e di aspettarlo fuori, ma da lì non uscì mai più e si dice che il Vento, da allora, sia rimasto nella piazza ad attendere il suo ritorno facendo avanti e indietro impaziente; da qui le correnti di vento che caratterizzano la piazza.
Due sono le possibili interpretazioni di questo aneddoto: c’è chi ritiene che Stendhal l’abbia raccontato per alludere alle capacità di conversione dei Gesuiti che sarebbero riusciti a convincere persino il demonio. Altri pensano, invece, che la storia fosse stata raccontata per denigrare il potente Ordine dei Gesuiti, titolare della Chiesa, accusandolo di essere tanto corrotto da riuscire a trattenere tra le sue fila di proseliti addirittura il diavolo.
Entrando in chiesa, però, viene da pensare che il diavolo sia rimasto affascinato dalla ricchezza degli affreschi, degli stucchi, delle decorazioni e delle illusioni prospettiche tanto da rimanere all’interno; all’interna l’attenzione viene rapita soprattutto dalla stupenda Cappella di Sant’Ignazio con le quattro colonne di lapislazzuli e bronzo dorato e l'architrave di verde antico costruita nel 1696-1700 dall'artista gesuita Andrea del Pozzo in onore del soldato spagnolo Ignazio di Loyola che qui riposa.
Da questo nasce un’altra versione della leggenda legata proprio alla straordinarietà e alla bellezza della Chiesa del Gesù: sembrerebbe che Lucifero vedendola si ingelosì terribilmente. Deciso a distruggerla, arrivò a notte fonda su un carro trascinato dal Vento. Rimase così affascinato dalla bellezza della chiesa che all'arrivo l’alba, nella fretta di fuggire, abbandonò la piazza lasciando lì da solo il Vento.
Napoli e lo spartito di pietra
Lasciamo la ventosa piazza romana e ci spostiamo a sud, direzione Napoli. La chiesa del Gesù Nuovo o della Trinità Maggiore è una chiesa basilicale sita in piazza del Gesù Nuovo di fronte all'obelisco dell'Immacolata e alla basilica di Santa Chiara.
Si tratta di una delle più importanti chiese della città, massima espressione della pittura e scultura barocca. All'interno è custodito il corpo di san Giuseppe Moscati, canonizzato da papa Giovanni Paolo II nel 1987.
In origine insisteva in quell'area il palazzo Sanseverino progettato e ultimato nel 1470 da Novello da San Lucano per espresso volere di Roberto Sanseverino principe di Salerno. I beni dei Sanseverino passarono successivamente al demanio e furono messi in vendita per volontà di Filippo II.
Nel 1584 il palazzo con i suoi giardini fu venduto ai gesuiti, grazie anche all'interessamento del nuovo vicerè spagnolo don Pedro Girón, duca di Osuna. I gesuiti, tra il 1584 e il 1601, riadattarono l'edificio civile a chiesa, istituendo poi nella stessa area la cosiddetta "insula gesuitica" cioè il complesso di edifici ospitanti la Compagnia di Gesù e composta oltre che dalla chiesa anche dal palazzo delle Congregazioni (1592) e dalla casa Professa dei Padri Gesuiti (1608).
Entrati in possesso del palazzo, i gesuiti si incaricarono della ristrutturazione di tutto il complesso risparmiando la facciata a bugne e il portale marmoreo rinascimentale. La nuova chiesa venne fin da subito chiamata correntemente "del Gesù Nuovo" per distinguerla dall'altra già esistente divenuta per l'occasione "del Gesù Vecchio".
La facciata di palazzo Sanseverino divenne la facciata della chiesa. Essa è caratterizzata da particolari bugne, ossia una sorta di piccole piramidi aggettanti verso l'esterno, normalmente usate in Veneto in epoca rinascimentale. Le pietre a forma piramidale presentano degli strani segni incisi dai tagliapietra napoletani che avevano sagomato la durissima pietra di piperno; questi segni tradizionalmente sono stati interpretati come caratterizzanti le diverse squadre di lavoro che le avevano predisposte durante la costruzione. Già in epoca medioevale, infatti, vi erano a Napoli confraternite di artigiani organizzate sul modello franco templare. Giunti dal nord Europa, gli intagliatori di pietre erano particolarmente abili nel lavorare il duro piperno che era usato largamente in città nell'edilizia pubblica e privata per fare non solo strade, ma anche le scale, le soglie dei balconi e le facciate dei palazzi. Queste confraternite nel periodo Normanno, Svevo ed Angioino, divennero particolarmente importanti e molto ricercate nel successivo periodo rinascimentale. Prima di costruire un edificio importante, sceglievano con cura l’area dove edificare, secondo riti magici antichi, cercando i punti energetici. Trovato il luogo, per proteggere la parte dell’edificio a contatto con gli inferi, usavano porre nelle fondamenta alcune monete per omaggiare i morti.
Gli strani segni incisi che si possono vedere sulla facciata ai lati delle bugne hanno dato luogo a una curiosa leggenda: si pensa che chi fece edificare il palazzo (che a questo punto bisogna presupporre sia stato Roberto Sanseverino) avesse voluto servirsi in fase di costruzione dell’opera e della saggezza dei maestri pipernieri che avevano anche conoscenze esoteriche tramandate solo oralmente e sotto giuramento dai maestri agli apprendisti; tali conoscenze venivano applicate ai lavori in muratura e in particolare alle pietre al fine di caricarle di energia positiva. I segni misteriosi graffiti sulle piramidi della facciata avrebbero dovuto convogliare tutte le forze positive e benevole dall'esterno verso l'interno del palazzo. Per imperizia o malizia dei costruttori, però, queste pietre segnate non furono piazzate correttamente per cui l'effetto fu esattamente opposto: tutto il magnetismo positivo veniva convogliato dall'interno verso l'esterno dell'edificio, attirando così ogni genere di sciagure sul luogo.
Questa sarebbe la ragione per cui nel corso dei secoli tante sventure si sono abbattute su quell'area: nel 1639 ci fu un devastante incendio; nel 1688 ci fu il crollo della originale cupola dopo un terremoto e nonostante fosse stata ricostruita, crollò nuovamente e fu poi sostituita con una diversa e più leggera.
Nel 2010 lo storico dell'arte Vincenzo De Pasquale e i musicologi ungheresi Csar Dors e Lòrànt Réz hanno identificato delle lettere aramaiche nei segni incisi sulle bugne; non solo, ma alcuni segni, letti in successione rappresenterebbero le note di uno spartito da leggersi da destra verso sinistra e dal basso verso l'alto. Si tratterebbe in altre parole di un concerto per strumenti a plettro della durata di quasi tre quarti d'ora al quale gli studiosi hanno dato il titolo di Enigma.
Nella stessa piazza però ci sarebbe anche un altro mistero. A colmare lo spazio di Piazza del Gesù vi è la famosa Guglia dell’Immacolata eretta nel 1747 a opera di padre Francesco Pepe il quale per compiacere il re Carlo di Borbone organizzò una raccolta fondi tra il popolo per decorare l’obelisco. La struttura è altissima e imponente con i suoi circa trenta metri; sulla cima c’è una statua rappresentante la Santa Vergine Maria. Proprio su questa statua circola una sinistra leggenda: si racconta che cambierebbe aspetto durante l’arco del giorno, trasformandosi nella personificazione della Morte; tutto questo forse è solo frutto di normali giochi ottici e di insolite ombre notturne che accosterebbero la scultura dell’Immacolata alla figura della Santa Muerte di origine messicana. Particolari giochi di ombre e luci farebbero apparire quello che è il velo con cui è coperto il capo della Madonna, se visto da dietro, come un viso stilizzato e scheletrico il cui sguardo cupo è diretto verso il basso. Nella mano si intravvederebbe persino uno scettro o secondo alcuni una falce. Tale trasformazione sarebbe la vendetta e la rivendicazione della famiglia Sanseverino, la nobile famiglia caduta in disgrazia e scacciata dalla loro primordiale residenza che poi fu convertita nell’attuale chiesa.
Insomma, Napoli e Roma, dunque, non sono solo accomunate dall’indiscutibile bellezza del loro patrimonio artistico ma sembrerebbero legate da misteriose leggende cariche di esoterismo che hanno sullo sfondo la presenza dell’ordine dei gesuiti.
Allora, per restare ai detti famosi possiamo dire che tutte le strade portano a Roma con la speranza di non imbattersi a Piazza del Gesù in una giornata ventosa; allo stesso tempo nell’omonima piazza napoletana, guardando il bugnato e l’obelisco, facendo i dovuti scongiuri, meglio non pensare al famoso detto “vedi Napoli e poi muori”.